Nel 2008 il Parlamento e il Consiglio UE hanno emanato la Direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale con il precipuo scopo di facilitare e promuovere l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie, favorendone la composizione amichevole. La Direttiva citata è il primo intervento generale in materia di mediazione da parte dell’Unione che quo ante aveva operato, per favorire la risoluzione alternativa, mediante l’individuazione di specifici settori di intervento a partire dalla materia del consumo mediante la Raccomandazione 98/257/CE del 30 marzo 1998.
La Direttiva 2008/52/CE si prefigge una serie di obbiettivi: mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone[1] ; agevolare un miglior accesso alla giustizia[2] , più semplice e veloce[3] ; di sancire principi fondamentali nel settore della mediazione – passo ritenuto necessario verso l’appropriato sviluppo e l’operatività dei procedimenti stragiudiziali per la composizione delle controversie[4]; fornire uno strumento per la risoluzione extragiudiziale della controversia che sia più aderente alle esigenze delle parti e quindi con maggiori probabilità di effettiva esecuzione[5]; promuovere lo sviluppo dei diritti fondamentali tenendo conto dei principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[6].
La Direttiva si applica a tutte le controversie transfrontaliere, ossia a quelle controversie in cui almeno una delle due parti sia domiciliata o sia residente in uno Stato membro[7] diverso dalla sua controparte anche se il Considerando n. 8 afferma che:<<nulla dovrebbe vietare gli Stati membri di applicare tale disposizione anche ai procedimenti di mediazione interni>>. L’Italia,infatti, recependo la Direttiva ha scelto di seguire la strada comunitaria proprio per i procedimenti interni. Nella Direttiva il legislatore comunitario precisa che la mediazione dovrà essere svolta da soggetti dotati di professionalità, indipendenza e trasparenza, qualità garantite dall’obbligo continuo di formazione prescritto dall’ art. 3. Le parti potranno ricorrere al procedimento di mediazione sia sulla base di una scelta volontaria sia su invito dal giudice e l’accordo raggiunto,se le parti o anche solo una di esse con il consenso dell’altra lo richiede, è reso esecutivo o in una sentenza o in una decisione o in un atto autentico da un organo giurisdizionale o da un’ autorità competente in conformità del diritto dello Stato membro in cui è presentata la richiesta.
La Direttiva 2008/52/CE dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 21 maggio 2011. L’Italia ha già provveduto a dare attuazione al provvedimento comunitario conferendo al Governo con la legge n. 69 del 19 giugno 2009 delega in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali, nonché attraverso il D.Lgs. n. 28/2010 e relativo decreto di attuazione D.M. 180/2010.
Il D.M. 180/2010 all’art.1 definisce il mediatore: << la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo>>. L’intero operato del mediatore è rivolto ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia o a formulare una proposta per la risoluzione della stessa. Ai sensi del D.Lgs. 28/2010 artt. 14 e 16 i mediatori, devono fornire garanzie di serietà ed efficienza oltre che porre esplicito divieto di assumere diritti,ovvero obblighi, connessi anche indirettamente con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera (per il mediatore) o del servizio (per l’organismo), vietando altresì di ottenere compensi direttamente dalle parti coinvolte. Si evince che il mediatore è obbligato a sottoscrivere una dichiarazione d’ imparzialità, ad informare l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione ed a formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative. L’imparzialità e la serietà del mediatore significano la sua capacità di divenire catalizzatore della fiducia delle parti. Per quanto riguarda i requisiti soggettivi di legittimazione dei mediatori, il D.M. 180/2010 prevede che non debba trattarsi necessariamente di giuristi[8], il comma 4 dell’art. 4 prevede che sia sufficiente essere in possesso di un diploma di laurea anche triennale ma, lo stesso articolo, pone come condizione essenziale il possesso di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione accreditati ai sensi del medesimo decreto( art. 4, comma 3,lettera b).
Per quanto attiene il ruolo del mediatore, oltre a semplice collante tra le discordi posizioni delle parti, sarà chiamato anche alla realizzazione di atti formali: formare processo verbale indicando l’eventuale proposta e le ragioni del mancato accordo ovvero formare processo verbale cui è allegato il testo dell’accordo in caso di esito positivo[9]; certificare l’autografia delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere, senza che con ciò si attribuisca allo stesso poteri di autentica. Si è detto che tra i requisiti per la qualifica di mediatore non rientra la formazione giuridica creando delle perplessità sia per l’omologazione dell’accordo che per il contegno delle spese processuali dell’eventuale giudizio successivo all’infruttuosa mediazione. Il dubbio attiene alla possibilità che un mediatore con formazione non giuridica possa formulare un accordo che ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. 28/2010 possa essere omologato” previo accertamento della regolarità formale” divenendo immediatamente dopo titolo esecutivo per l’espropriazione. I dubbi aumentano leggendo l’art.13 del citato decreto che prevede che la parte che ha rifiutato la proposta di conciliazione può vedersi addossare le conseguenze economiche del processo anche se vittoriosa quando vi è piena coincidenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio. La ratio del legislatore è chiara: le spese saranno accollate alla parte che ha rifiutato la proposta perché l’atteggiamento da essa tenuto nel corso della mediazione è stato ispirato a scarsa serietà e che la giurisdizione è stata impegnata per un risultato che il procedimento di mediazione avrebbe conseguito in tempi molto più rapidi e meno dispendiosi. Come può verificarsi l’ipotesi, nel caso in cui il mediatore non abbia una formazione giuridica, di una sentenza pronunciata da un giudice che trovi “piena coincidenza” ad un accordo non formulato sulla base di disposizioni normative e non adeguatamente motivato in diritto?
MEDIAZIONE: OBBLIGATORIA, FACOLTATIVA, CONCORDATA.
Il D.Lgs. 28/2010 distingue tre tipi di mediazione:la mediazione obbligatoria, quella facoltativa e quella concordata.
L’art. 5, comma 1, introduce la “mediazione obbligatoria” con riferimento ad un elevato numero di controversie che possono insorgere in materia di:
- Condominio
- Diritti reali
- Divisione
- Successioni ereditarie
- Patto di famiglia
- Locazione
- Comodato
- Affitto di azienda
- Risarcimento del danno derivante da circolazione di veicoli e natanti
- Responsabilità medica
- Diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità
- Contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Il tentativo obbligatorio di mediazione a partire dal 20 marzo 2011,ossia dodici mesi dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 del 2010, interesserà, ai sensi di quanto previsto dall’art. 24 di tale decreto, tutti i processi iniziati dopo tale data, aventi ad oggetto taluna delle materie sopra indicate.
Ai sensi di quanto previsto dall’art.. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 chiunque intenda esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in taluna delle suddette materie <<è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto, ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007 n. 179, ovvero il procedimento istitutivo in attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 e successive modificazioni per le materie ivi regolate>>. L’anima della mediazione obbligatoria sta nell’aver introdotto una nuova ipotesi di giurisdizione condizionata, l’esperimento del tentativo di conciliazione, infatti, è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore ai quattro mesi per cui il decorso di tale termine, nonostante la mancata conclusione del procedimento di mediazione, rende legittima la proposizione della domanda giudiziale ad opera delle due parti[10]. L’improcedibilità della domanda giudiziale deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di quattro mesi; se la mediazione non è stata avviata, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di quattro mesi, assegno alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Il legislatore del 2010 ha previsto anche un tentativo di mediazione “facoltativa”, rimesso ad una possibile iniziativa delle parti o del giudice stante, per un verso, il disposto di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 28/2010 il quale stabilisce che:<<chiunque può accedere alla mediazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto>>[11]per altro verso, il disposto di cui all’art. 5, secondo comma, del medesimo decreto in forza del quale, il giudice, anche in sede di giudizio d’appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa, può invitare le stesse a procedere alla mediazione; in tal caso, se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza di quattro mesi e, quando la mediazione non è stata già avviata, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il procedimento non sarà più ipotizzabile nel giudizio di legittimità. Condicio sine qua non per la mediazione facoltativa è che le parti aderiscano tutte all’invito.
Ferma l’applicabilità delle regole in tema di mediazione obbligatoria e facoltativa le parti possono spontaneamente decidere di rivolgersi ad un organismo di mediazione sia dopo la lite che prima dell’insorgere della controversia mediante una clausola di mediazione prevista nel contratto, nello statuto ovvero nell’atto costitutivo dell’ente. Se il tentativo non viene esperito, su eccezione di parte proposta nella prima difesa il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, comma 1 (quattro mesi). La domanda è presentata davanti all’organismo di conciliazione indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, in mancanza, davanti ad un altro organismo. In ogni caso le parti possono concordare l’individuazione di un diverso organismo iscritto.
RESPONSABILITÀ DEL MEDIATORE E DELL’ORGANISMO DI CONCILIAZIONE.
I mediatori operano in seno ad organismi di conciliazione, costituiti da enti pubblici o privati abilitati a fornire il servizio di mediazione, in quanto iscritti nell’apposito registro, regolato dall’art. 16 del D.Lgs. 28 del 2010[12].
Il mediatore è designato dall’organismo all’atto della presentazione della presentazione della domanda di mediazione (art.8, comma 1, D.Lgs n.28/2010). Il rapporto che si instaura tra l’organismo accreditato e il mediatore designato per svolgere l’attività, a seguito della richiesta del servizio proposta dai soggetti interessati, è un rapporto contrattuale che ha i caratteri propri della prestazione d’opera professionale, come regolato dagli artt. 2230 e ss. c.c. Con il perfezionamento dell’accordo negoziale, il mediatore assume nei confronti dell’organismo varie obbligazioni. Le principali sono: assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia o formulare una proposta per la risoluzione della stessa personalmente; compiere o concludere l’attività nel termine di quattro mesi; attenersi all’obbligo della riservatezza e dell’informazione dell’organismo e delle parti circa eventuali ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità; svolgere il servizio senza possibilità di rifiutarsi, salvo ipotesi che ne compromettano la imparzialità. Dall’altro lato costituiscono obbligazioni gravanti sull’organismi: corrispondere il compenso per ogni attività svolta; mettere il mediatore nelle condizioni di poter svolgere l’attività con specifico riferimento al supporto organizzativo e di sede per le sessioni di mediazione. Il mediatore non è un dipendente dell’organismo è un lavoratore autonomo che, nell’ipotesi in cui cagioni danni, crea però effetti anche in capo all’organismo. Potrebbe quindi sussistere responsabilità dei committenti o, in genere dei mandanti, volendo ritenere che l’organismo con l’atto di nomina del mediatore stia commissionando a costui lo svolgimento della prestazione di cui godono le parti litiganti. Responsabilità che pare esclusiva solo nei confronti dei terzi in lite che si sono rivolti all’organismo stipulando un contratto di appalto di servizi di mediazione; nei confronti del mediatore, infatti, le parti non hanno rapporto diretto. L’azione di responsabilità contrattuale della parte nei confronti dell’organismo e del mediatore, non esclude la rivalsa del primo sul secondo, in applicazione del principio delle obbligazioni in solido. Questo quando vi siano profili colposi; quando invece il mediatore abbia operato recando pregiudizio con dolo interrompe il nesso causale con la condotta dell’organismo, con conseguente esclusione della responsabilità di quest’ultimo cui l’attività del mediatore non sarà più riferibile, secondo i principi generali.
[1] Considerando n. 1
[2] Considerando n. 2
[3] Considerando n. 3
[4] Considerando n. 3
[5] Considerando n. 6
[6] Considerando n. 27
[7] Art. 1 n. 3: <<Nella presente Direttiva per Stato membro si intendono gli Stati membri ad eccezione della Danimarca>>. Invece, come si evince dal Considerando n. 29 sia il Regno Unito sia l’Irlanda hanno <<notificato l’intenzione di partecipare all’adozione e all’applicazione della presente direttiva>>.
[8] Art .4 D.M 180/2010 attribuisce al responsabile dell’organismo l’onere di verificare oltre il requisito del possesso di un diploma di laurea anche triennale e alla specifica formazione di cui all’art.18, il requisito di onorabilità consistente in : “a. non aver riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; b. non essere in corso di interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; c. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o sicurezza; d.non aver riportato sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento”
[9] Art. 11 D.Lgs. n.28/2010
[10] Cfr., per tutt in tal senso DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.Lgs.28 2010, cit., 17
[11] Si è ritenuto che <<se a prima vista la limitazione dei diritti disponibili pare comprensibile…in tal modo vengono espunte dall’area della mediazione tutte le liti di famiglia, ed in particolare quelle connesse ala separazione e al divorzio e all’affidamento dei figli, che più di altre potrebbe beneficiare- beninteso,assoggettate ad un controllo successivo da parte del giudice ordinario- di un’attività conciliativa ad opera di un mediatore professionista, sollecitata dal giudice statale>>così L. DITTRICH,Il procedimento di mediazione nel D.L.gs. n.28 del 4 marzo 2010, cit., 6.
[12] La formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze, anche in materie di consumo e internaionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della Giustizia.
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