Attraverso l’iniziativa economica (art. 41 Cost.), ciascun privato può realizzare le proprie idee e la propria personalità, attuando in tal senso il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e quello di sovranità (art. 1 Cost.), ed esercitare il proprio diritto al lavoro (art. 4 Cost.) ed, altresì, ottemperare ai doveri di solidarietà (art. 2 Cost.).
Anche secondo l’ordinamento giuridico, il criterio economico, dunque, costituisce un parametro di riferimento per qualificare situazioni, beni e/o rapporti e valutare le azioni, positive e negative ovvero commissive ed omissive, delle persone, fisiche e giuridiche (es. art. 97 Cost.): si parla, infatti, di situazioni soggettive ed oggettive, di diritti patrimoniali, reali e di garanzia, e di beni economici e giuridici nonché di rapporti economici (statistici, finanziari) e giuridici.
La domanda di mercato
Vexata quaestio è individuare quali siano i “meccanismi” economici reali e, cioè, quali possano essere, in economia, gli elementi che innescano il circuito economico e/o che influenzano i comportamenti negoziali dei soggetti economici in quello che si può chiamare “ciclo”, appunto, economico.
In primis, va ricordato che i soggetti economici sono tutti coloro che partecipano alla produzione e/o allo scambio di beni e/o servizi e, dunque, le famiglie ovvero i potenziali consumatori, le imprese ovvero i produttori, le banche, gli operatori esteri, lo Stato e ciascuno è portatore di propri interessi: sul punto, è da sottolineare che nel mercato, emergendo e configurandosi appunto posizioni differenti e spesso opposte tra i soggetti economici “trattanti”, si svolgono le contrattazioni. Si passa, così, dalla domanda (ed offerta) individuale dei beni alla domanda (ed offerta) aggregata ovvero la somma delle richieste (e delle produzioni) di tutti i consumatori (ed imprenditori) di un dato mercato.
A riguardo, va sottolineato, però, che la domanda è, crono-logicamente, influenzata dal reddito, dai consumi, dai risparmi e dagli investimenti: “deve fare i conti” con tale dato di fatto l’obiettivo del sistema economico che consiste, infatti, nel realizzare e nel conservare, il più a lungo, l’equilibrio dell’imprenditore, quale produttore portatore di interessi economici soggettivi, nel settore produttivo in cui esso opera (o ha deciso di operare).
Premesso che per “produzione” si intende l’insieme delle operazioni necessarie per trasformare (in termini fisici, spaziali e/o temporali) le risorse della natura e le energie umane in oggetti ed attività che soddisfino i bisogni e che tale insieme determina beni di consumo e/o beni strumentali e rappresenta il “ciclo produttivo”, sono quattro i settori produttivi: primario, inerente l’agricoltura, la pesca, la silvicoltura e la zootecnia; secondario o industriale; terziario, inerente i servizi (commercio, trasporti, turismo, bancario etc.); terziario avanzato o quaternario, di cui fanno parte particolari servizi come le consulenze, le attività informatiche e telematiche (c.d. new economy), ricerca e sviluppo.
La domanda e l’offerta di lavoro
La produzione, dunque, richiede l’avvio di un’attività imprenditoriale: all’uopo, va notato che le imprese si distinguono a seconda della forma di gestione, del numero dei soggetti imprenditori, della tipologia di attività svolta e delle dimensioni. Rispettivamente, abbiamo, quindi, l’impresa pubblica e privata, la ditta individuale e le società, l’impresa agricola e quella industriale, la micro-impresa e la piccola, media e grande impresa.
A tale ultimo riguardo, sono tre i parametri (annuali), di matrice europea, che identificano le dimensioni dell’impresa e, cioè, occupazionali, finanziari (di fatturato) e patrimoniali (di bilancio) nonché l’indipendenza (capitale o diritti di voto non devono essere detenuti per il 25% o più da una sola impresa o da più imprese non aventi le caratteristiche della stessa tipologia dell’impresa in esame): per la micro-impresa, meno di 10 dipendenti ed un fatturato non superiore a 2 milioni di euro; per la piccola impresa, meno di 50 dipendenti ed un fatturato (o bilancio) non superiore a 10 milioni di euro; per la piccola/media impresa, meno di 250 dipendenti ed un fatturato non superiore a 50 milioni di euro (o bilancio non superiore a 43 milioni di euro); la grande impresa, infine, è quella che richiede l’impiego elevato di risorse materiali ed umane.
Premessa la necessità di un’indagine statistica tesa alla rilevazione, alla rappresentazione, all’elaborazione ed all’interpretazione dei dati (es. popolazione, carattere, frequenza, intensità e serie) inerenti i fenomeni economici ed il mercato “particolare”, gli elementi che determinano le scelte del produttore in termini di produzione e di localizzazione dell’impresa sono, generalmente, di due tipologie: da un lato, i fattori produttivi e, cioè, natura, lavoro, capitale e capacità organizzativa, con le relative remunerazioni, rispettivamente rendita, salario o stipendio, interessi e lucro; dall’altro lato, il c.d. “ambiente esterno” e, cioè, i fattori politici, sociali, culturali, demografici, naturali, tecnici, economici. Quest’ultimo aspetto, peraltro, mostra l’importanza, progressivamente crescente, delle innovazioni di processo e di prodotto per un’azienda contemporanea che voglia entrare o consolidarsi nel mercato “reale”.
Il produttore deve, dunque, prevedere, pianificare, laddove possibile, e perseguire la giusta “strada” per raggiungere un determinato equilibrio micro-economico che abbia, altresì, valenza, quando necessario e/o opportuno, in ambito macro: ciò, pertanto, richiede che tali fattori, intrinseci ed estrinseci all’impresa, siano adoperati nel modo migliore e nella misura più giusta e/o conveniente.
E’ detta “funzione di produzione” la relazione tra la quantità di input (fattori produttivi) e di output (beni) e può essere a coefficienti fissi o variabili, a seconda se tutti i fattori produttivi sono impiegati (o alcuni sono sostituiti) e nella stessa quantità (o meno).
Emergono, così, altri “indici” di cui il produttore deve, nel proprio interesse, tenere conto e, cioè, la produttività media (rapporto tra quantità e fattore produttivo), marginale (rapporto tra incremento della quantità totale ed incremento del fattore produttivo) e quella marginale ponderata (la produttività marginale rapportata al prezzo del fattore produttivo).
Più precisamente, va detto che con il termine “equilibrio” si può intendere, in termini aziendalistici, il bilanciamento tra uscite ed entrate ed, in termini produttivi, la combinazione ottimale dei fattori produttivi nonché l’incontro tra offerta e domanda.
A riguardo, è da notare, però, che il prezzo costituisce il vero “crocevia” del mercato: infatti, con l’aumentare del prezzo, per un verso, in base alla legge del neoclassico Marshall, l’offerta tenderà ad aumentare mentre, dal lato opposto, la domanda tenderà a ridursi, così come si ridurrà, altresì, l’utilità marginale (ad acquistare). Non solo.
All’impiego crescente di un determinato fattore produttivo, si verificheranno incrementi progressivamente minori del prodotto totale (c.d. legge dei “rendimenti decrescenti”).
In altri termini, si innescano due processi inversi che finiscono per contraddire la legge di Say secondo la quale il denaro deve essere comunque speso e pertanto qualsiasi quantità di beni troverà sempre una sua piena e spontanea allocazione nel mercato: da un lato, un rapporto direttamente proporzionale per il produttore e, dall’altro, un rapporto indirettamente proporzionale per il consumatore.
Il produttore deve, quindi, considerare anche tale “fenomeno” per evitare di incorrere nell’eccesso di produzione: nel settore degli allevamenti, ad es., vigeva un meccanismo normativo (c.d. “quote-latte”) istituito a livello europeo (Reg. CEE 31-03-1984 n. 856) ed abrogato nel 2015, creato proprio a tale scopo. Il superamento del limite determinava l’attivazione di un “prelievo finanziario supplementare”.
In termini economici, sussiste, dunque, una soglia massima (ideale) oltre cui la produzione di beni (può) entra(re) in perdita e la gestione in “sofferenza”: è il c.d. “ottimo” paretiano. Tale teoria di V. Pareto sostiene, più precisamente, che un’allocazione ottimale rende impossibile ottenere migliori livelli di benessere di qualcun altro o la produzione di qualche altro bene ovvero non è possibile alcuna riorganizzazione della produzione che migliori le condizioni di almeno una persona senza diminuire quelle degli altri: in tal senso, l’utilità di una persona può essere aumentata soltanto da una diminuzione dell’utilità di qualcun altro.
Pertanto, l’obiettivo del produttore va, innanzitutto, comparato con le aspettative nei confronti del mercato e deve essere (almeno) duplice: a) offrire la stessa quantità (possibile) di beni attraverso una combinazione, anche differente, dei fattori produttivi e ciò incrementando l’impiego di alcuni fattori nel caso in cui si debbano (o si voglia) utilizzare quantità minori di un altro fattore ovvero potendo utilizzare, per un fattore, le risorse risparmiate grazie al minore uso di un altro fattore (iso-quanto); b) offrire la massima quantità possibile utilizzando la stessa quantità unitaria, in termini di costi, di fattori produttivi (iso-costo).
In altri termini, il produttore avrà interesse a realizzare (e dovrà realizzare) un punto di equilibrio anche tra costi (dei fattori produttivi) e quantità (dei beni), senza dimenticare inoltre l’importanza delle risorse naturali e della loro salvaguardia: essendo l’economia “circolare”, infatti, soltanto un sistema economico (e commerciale) basato sul rapporto tra lucro e responsabilità etica può generare ricchezza, conciliando interessi generali, collettivi e personali.
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