La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze
Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 D.P.R. 448/1988[1] (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), in riferimento agli artt. 3, 27 III° e 31 II° Cost., nella parte in cui non prevede che la messa alla prova del minore possa essere disposta nella fase delle indagini preliminari.
Visto che l’art. 464-ter c.p.p.[2] consente l’applicazione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato adulto in fase di indagini preliminari, l’esclusione di un’analoga possibilità per il minore, secondo il giudice di prime cure, determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento, con l’effetto contrario al finalismo rieducativo del trattamento sanzionatorio e alla protezione della gioventù di impedire il più celere affrancamento penale del minore[3].
Stante l’importanza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice toscano, è necessario soffermarsi sulla differenza sostanziale tra i due istituti, i quali, pur avendo il medesimo “nomen iuris”, sono caratterizzati da diversi presupposti e finalità.
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L’istituto della messa alla prova degli imputati adulti
L’istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato adulto è un rito speciale che venne introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento con legge n. 67/2014[4].
In particolare, l’art. 464-ter c.p.p.[5] prevede la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova anche nel corso delle indagini preliminari, disponendo che il giudice, cui tale richiesta sia presentata, trasmetta gli atti al pubblico ministero affinché esprima entro cinque giorni l’eventuale consenso, in uno alla formulazione dell’imputazione. Ai sensi di quanto disposto dall’art. 464-quater c.p.p.[6], il giudice, qualora non debba pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., deve decidere sulla richiesta di messa alla prova con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti e la persona offesa, oppure in apposita udienza camerale partecipata.
Ad una lettura delle disposizioni del codice di procedura, viene espressamente prevista l’applicazione dell’istituto della messa alla prova degli imputati adulti anche nella fase delle indagini preliminari, previo consenso del pubblico ministero.
La stessa facoltà è ammessa per l’imputato qualora abbia optato per la scelta del giudizio patteggiato[7], come conferma l’analogia tra l’art. 464-ter c.p.p.[8] e l’art. 447 c.p.p.[9], che disciplina la richiesta di “applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari”, contemplando un istituto patteggiato tra indagato e pubblico ministero, con evidenti finalità di economia processuale.
Tale accostamento è confermato dal rilievo che, come per l’applicazione della pena su richiesta, anche per la messa alla prova in fase di indagini preliminari, con interessante analogia tra le previsioni degli artt. 448 e 464-ter c.p.p., il dissenso del pubblico ministero non è superabile dal giudice, salva la riproposizione dell’istanza in sede predibattimentale[10].
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice di prime cure del Tribunale di Firenze sul mancato riferimento normativo alla richiesta di messa alla prova in sede di indagini preliminari nel procedimento penale minorile muove dalla disposizione di cui all’art. 1 D.P.R. 448/1988[11], che espressamente sancisce: “Nel procedimento a carico degli imputati minorenni si osservano le disposizioni presenti nel seguente decreto, e per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale”.
Tale disposizione normativa istituisce un rinvio mobile temperato dal criterio di sussidiarietà, in quanto, le disposizioni del codice di procedura penale sopravvenute al decreto sul procedimento penale minorile si applicano a quest’ultimo solo per quanto non previsto dalle disposizioni del decreto medesimo.
Secondo quanto previsto dalla disposizione normativa di cui ut supra, l’art.464-ter c.p.p., che prevede l’applicazione dell’istituto della messa alla prova degli adulti nella fase delle indagini preliminari, dovrebbe quindi applicarsi anche nel procedimento penale minorile.
La messa alla prova degli adulti si presenta, quindi, come un istituto di carattere “negoziale”, perché espressivo di una libera opzione di convenienza dell’imputato; nella fase delle indagini preliminari, tale istituto acquista una configurazione “patteggiata” per la necessità di un consenso tra l’indagato e il pubblico ministero.
Prima di giungere alla soluzione espressa dalla Consulta per risolvere la controversia de qua, risulta necessario analizzare l’istituto della messa alla prova presente nel procedimento penale minorile[12].
L’istituto della messa alla prova degli imputati minorenni
L’istituto della messa alla prova previsto nel procedimento penale minorile si trova sancito all’art. 28 D.P.R. 448/1988[13] “Sospensione del processo e messa alla prova”: «Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma dell’art. 2» Il secondo comma del medesimo articolo prevede che: «Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno».
Ad una prima lettura della disposizione normativa de qua, risulta significativa la scelta del legislatore di definire la “sospensione del processo” e non del “procedimento[14]”, stante l’impossibilità della richiesta del rito in sede di indagini preliminari. Come noto, infatti, la fase processuale si ha solamente in caso di rinvio a giudizio (ex art. 416 c.p.p.)[15], dove la parte da mera “indagata” diviene “imputata” del procedimento penale a lei ascritto.
Il tenore letterale dell’art. 28 D.P.R. 488/1988, con l’impiego delle dizioni “processo” e “imputato”, univoche nel presupporre l’avvenuto esercizio dell’azione penale, indica espressamente che la messa alla prova del minore non può essere disposta nel corso delle indagini preliminari, prima dell’esercizio dell’azione, e quindi anteriormente all’udienza preliminare[16]. Tale inciso trova totale conferma nell’art. 29 D.P.R. 448/1988[17], dove, per le ipotesi di esito negativo della prova del minore, restituisce il processo nella fase dell’udienza preliminare: «Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e dell’evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo; altrimenti provvede a norma degli artt. 32 e 33» disposizioni, quest’ultime, che disciplinano lo svolgimento dell’udienza preliminare e, rispettivamente, dell’udienza dibattimentale.
Secondo quando previsto dal “corpus normativo” che regola le disposizioni del processo penale minorile, non è possibile richiedere l’istituto della messa alla prova del minore durante le indagini preliminari, in quanto tale rito speciale risulta essere connotato da finalità diverse rispetto al medesimo ed analogo istituto presente nel processo penale ordinario.
Risulta quindi necessario analizzare l’iter seguito dalla Corte Costituzionale per vagliare la sussistenza di presunti profili di incostituzionalità dell’art. 28 D.P.R. 448/1988.
La pronuncia della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale si sofferma in primis su alcune precedenti pronunce giurisprudenziali in relazione all’istituto della messa alla prova dell’imputato. In particolare, la Corte dichiara in alcune precedenti sentenze di aver già espressamente affermato la profonda differenza funzionale sussistente tra l’istituto della messa alla prova del minore rispetto a quella prevista per l’imputato adulto.
La messa alla prova del minore assume una finalità essenzialmente rieducativa, al contrario la messa alla prova degli imputati adulti risulta essere connotata da innegabili effetti sanzionatori.[18]
Secondo quando espresso dalla Consulta nella pronuncia n. 68/2019, la messa alla prova del minore: «Al contrario di quella dell’adulto, è in larga parte svincolata da un rapporto di proporzionalità rispetto al reato per cui si procede, tanto da essere consentita per tutti i reati, compresi quelli puniti in astratto con la pena dell’ergastolo, la diversa gravità dei quali si riflette solo nel diverso termine massimo stabilito per la durata della sospensione del processo[19]».
In particolare, prosegue la Corte: «La finalità essenzialmente rieducativa […..] ha indotto il legislatore a non subordinare la messa alla prova al consenso del minore, né a quello del pubblico ministero, viceversa affidandola unicamente alla discrezionalità del giudice[20]».
A differenza della messa alla prova del minore, l’istituto applicabile agli imputati adulti, oltre ad incontrare limiti oggettivi in rapporto alla pena edittale del reato per cui si procede[21], postula la richiesta specifica da parte dell’imputato[22] e, ove tale richiesta sia formulata nel corso delle indagini preliminari, il consenso del pubblico ministero[23].
Al fine di sottolineare la diversità sussistente tra i due istituti, la Corte, sempre in una precedente pronuncia aveva osservato come l’istituto del patteggiamento tout court possa condurre ad esiti incoerenti con la finalità rieducativa del processo penale minorile, essendo quest’ultimo caratterizzato da amplissimi e incoercibili poteri discrezionali del giudice, in funzione dell’esigenza primaria del recupero del minore[24].
La messa alla prova del minore risulta infatti applicabile e prevista per tutti i tipi di reati, anche quelli di gravità massima, rispetto ai quali l’ordinamento sospende il processo in vista dell’eventuale estinzione del reato per finalità puramente rieducative, non perché l’imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta, ma solamente qualora lo ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la personalità del minore.[25]
La diversità strutturale tra i due istituti emerge anche dalla composizione eterogenea dell’organo giudicante previsto per gli imputati minorenni. La scelta del legislatore di affidare la messa alla prova minorile al giudice dell’udienza preliminare e di non consentire una valutazione anticipata da parte del giudice per le indagini preliminari trova la sua ratio ispiratrice anche nella diversità di struttura dell’organo giudicante, collegiale e interdisciplinare nei procedimenti minorili, monocratico e togato nei procedimenti ordinari.
In una precedente pronuncia, la Consulta aveva precedentemente affermato che: «La preminente funzione rieducativa del procedimento penale minorile trova una fondamentale rispondenza nella particolare composizione “mista” del giudice specializzato […..]: è infatti grazie alle competenze scientifiche dei soggetti che compongono il collegio giudicante che viene svolta una corretta valutazione delle particolari situazioni dei minori, la cui evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede l’adozione di particolari trattamenti penali che consentano il loro completo recupero, ponendosi, quest’ultimo, quale obiettivo primario, cui tende l’intero sistema penale minorile[26].»
In particolare, la previsione sancita dagli artt. 50-bis comma 2 R.D. n. 12/1941[27] esige che i componenti onorari dei tribunali minorili siano “un uomo e una donna”, garantendo che: «Nelle sue previsioni il collegio possa sempre avvalersi del peculiare contributo di esperienza e di sensibilità proprie del sesso di appartenenza[28]». In tale particolare composizione dell’organo giudicante, sostiene la Corte: «I due esperti che affiancano il magistrato contribuiscono anche all’osservanza del principio di minima offensività, che impone di evitare, nell’esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per salvaguardare le correlate esigenze educative[29].»
L’assegnazione della messa alla prova del minore al giudice dell’udienza preliminare e non anche al giudice per le indagini preliminari appare quindi conforme a detti parametri, poiché assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere[30].
Alla luce di queste considerazioni, la Corte Costituzionale, dopo essersi soffermata sul genus iuris dell’istituto della messa alla prova in entrambi i procedimenti, dichiara la questione di legittimità sollevata dal giudice del Tribunale di Firenze non fondata, poiché il tertium comparationis, che il giudice a quo individua nell’art. 464-ter c.p.p.[31], risulta eterogeneo rispetto alla norma censurata.
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Note
*Corte Costituzionale, sentenza n. 139/2021. Per un approfondimento si veda: L. Camaldo, C. Cost. 139/2020, sulla messa alla prova del minore durante le indagini preliminari, su Sistema Penale, 10 febbraio 2021.
[1]Art. 28 D.P.R. 448/1988: Sospensione del processo e messa alla prova
[2]Art. 464-ter c.p.p.
[3]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 139/2020, Punto 1.1 in Considerato in Diritto.
[4]L. n. 67/2014: “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”.
[5]Art. 464-ter c.p.p., cit.
[6]Art. 464-quater c.p.p.
[7]Art. 444 c.p.p., recante “Applicazione della pena con il consenso delle parti, breviter, patteggiamento.
[8]Art. 464-ter c.p.p., cit.
[9]Art. 447 c.p.p.
[10]In questo senso, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 33216/2016.
[11]Art. 1 D.P.R. 488/1988
[12]Art. 28 D.P.R. 488/1988.
[13]Art. 28 D.P.R. 488/1988, cit. (“Sospensione del processo e messa alla prova”)
[14]Si rinvia, in dottrina, alla distinzione tra la fase processuale e procedimentale del processo penale.
[15]Art. 416 c.p.p.
I6In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 139/2020, Punto 4.1.1, in Considerato in Diritto.
[17]Art. 29 D.P.R. 488/1988.
[18]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 75/2020 e n. 68/2019.
[19]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 68/2019, cit.
[20]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 125/1995.
[21]Art. 168 bis c.p.
[22]Art. 464-bis c.p.p.
[23]Art. 464-ter c.p.p.
[24]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 135/1995.
[25]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 139/2020, cit., Punto 4.5, in Considerato in Diritto.
[26]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 310/2008
[27]Art. 50-bis comma 2 R.D. 12/1941.
[28]In questo senso, Corte Costituzionale, ordinanza n. 172/2001
[29]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 1/2015.
[30]In questo senso, Corte Costituzionale, sentenza n. 139/2020, cit., Punto 4.6.5., in Considerato in Dirito.
[31]Art. 464-ter c.p.p.
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