Il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale ha emesso un decreto con il quale è stato accolto il ricorso presentato da un imputato in regime di messa alla prova avverso il decreto della Questura di Milano che negava la concessione del passaporto ordinario.
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Indice
1. Messa alla prova
Prima di entrare nel vivo della questione, appare giusto fare dei cenni sull’istituto della messa alla prova.
Previsto, dapprima, solo per i processi penali minorili, è stato esteso anche ai maggiorenni con l. n. 67/2014.
La messa alla prova consente di evitare una condanna attraverso lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, di volontariato di rilievo sociale o di affidamento al servizio sociale o a una struttura sanitaria, o attraverso prescrizioni relative alla dimora, alla libertà di movimento, di divieto di frequentare determinati locali. Durante l’espletamento di tali attività o prescrizioni, a norma dell’art. 168-bis c.p., il procedimento resta sospeso, in attesa del loro esito: se questo è positivo, il reato si estingue, in caso contrario il processo riprenderà da dove è stato sospeso.
L’istituto può essere concesso solo agli imputati per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni oppure per reati per i quali si procede con le forme di citazione diretta a giudizio.
La medesima norma prevede che la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato.
Per quanto riguarda il lavoro di pubblica utilità, questo consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria o di volontariato.
La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.
La sospensione del procedimento con messa alla prova non può essere concessa per più di una volta.
Nell’insieme di norme che regolano il funzionamento dell’istituto, tuttavia, non risultano esserci disposizioni che vietino l’espatrio del soggetto sottoposto ad esso.
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2. La vicenda da cui scaturisce il decreto del Sottosegretario di Stato
Premessi brevi e doverosi cenni sull’istituto della messa alla prova, focalizziamo ora l’attenzione sul decreto emesso dal Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
La vicenda da cui scaturisce tale decreto prende avvio dalla richiesta di rilascio del passaporto ordinario da parte di una persona in regime di messa alla prova.
La Questura di Milano, basandosi sull’interpretazione di un parere del Ministero della Giustizia del 9 agosto 2019, ha ritenuto opportuno rigettare la domanda prendendo in considerazione quale elemento ostativo l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova che “comporta limitazioni di libertà personale, al pari di quelle conseguenti all’espiazione di una pena restrittiva della libertà personale” e ricollegandosi, dunque, all’art. 3, lett. d), l. n. 1185/1967 secondo il quale è espressamente vietato il rilascio del passaporto.
Il parere del Ministero della Giustizia su cui la decisione della Questura di Milano è basata, inoltre, pone in risalto “un’irragionevole disparità di trattamento” tra il soggetto in regime di messa alla prova ed il soggetto in esecuzione di una pena, nel caso in cui il primo sia in grado di espatriare liberamente, al contrario del secondo.
3. Ricorso gerarchico
Avverso tale provvedimento, dunque, l’imputato ha proposto ricorso gerarchico dinanzi al Ministero degli Affari Esteri ai sensi dell’art. 10, co. 1, l. n. 1185/1967, lamentando la falsa applicazione dell’art. 3, lett. d) cit.
Quest’ultima norma dispone, infatti, che non possono ottenere il passaporto “coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempre che la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto“.
Si desume che l’elemento ostativo al rilascio del passaporto debba essere, dunque, una sentenza di condanna o un provvedimento equiparabile all’esecuzione di una condanna, natura del tutto estranea a quella dell’istituto della messa alla prova che, anzi, ha come obiettivo evitare la condanna tramite l’estinzione del reato conseguente all’esito positivo della stessa.
Lo stesso decreto in oggetto osserva come “il caso di specie non sia riconducibile all’alveo delle previsioni tassative dell’art. 3 lettera d) della legge 1185/67, giacché lo stesso non è posto in essere in forza di una sentenza di condanna, bensì in costanza di fase dibattimentale del procedimento in itinere, e pertanto non può essere considerato equiparabile all’esecuzione di una sentenza di condanna“.
Pertanto è stato decretato che il ricorso presentato dall’imputato è stato accolto.
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Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2022
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