Migranti, per l’Europa decide il Paese d’arrivo

Redazione 28/07/17
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Carica di conseguenze per l’Italia la decisione della Corte di giustizia europea riguardo i migranti: per i richiedenti asilo è sempre competente il Paese di arrivo e non lo Stato che gli aspiranti rifugiati vogliono raggiungere. Anche in una situazione di crisi come quella attuale. Una decisione che inevitabilmente penalizza le nazioni che, come l’Italia, si trovano alle frontiere dell’Europa e a più stretto contatto con Africa e Asia.

Vediamo allora quali possono essere le conseguenze pratiche della decisione della Corte UE e quali le norme attuali sull’accoglienza dei migranti.

 

Rifugiati, devono pensarci i Paesi di primo ingresso

Le richieste di asilo dei cittadini extracomunitari che sbarcano in Europa, dunque, devono essere esaminate solo dal Paese di primo ingresso. Quindi, nella maggior parte dei casi, dall’Italia e dalle altre nazioni “di frontiera”.

Neanche in una situazione di crisi migratoria, secondo la Corte di giustizia dell’Unione Europea, si può derogare al regolamento di Dublino che disciplina il diritto di asilo negli stati membri. In base alle norme attualmente in vigore, in caso di passaggio illegale delle frontiere di un Paese europeo è la stessa nazione di sbarco o di arrivo che deve occuparsi della faccenda e non il Paese che il cittadino extracomunitario intende effettivamente raggiungere. Nella pratica, questo vuol dire anche che sono le nazioni di frontiera a dover accogliere sul proprio territorio i migranti, senza possibilità di “spedirli” direttamente in un altro Stato dell’Unione.

 

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Confermate le attuali norme, delusa l’Italia

Il caso dibattuto dalla Corte di giustizia UE e di particolare interesse per l’Italia riguardava l’ingresso nel territorio della Croazia di un cittadino siriano e due famiglie afghane. I migranti volevano raggiungere altri Paesi dell’Unione Europea e così le autorità croate li hanno scortati al confine con la Slovenia, da dove i cittadini extracomunitari hanno chiesto asilo in Austria e nella stessa Slovenia. Le due nazioni, però, si sono rifiutate di accogliere i migranti sulla base del regolamento di Dublino.

E la Corte europea ha dato ragione ad Austria e Slovenia: nemmeno in caso di crisi e di flussi migratori particolarmente consistente, stante il regolamento attuale, i Paesi europei possono venire meno al loro obbligo di occuparsi degli aspiranti rifugiati che entrano illegalmente nel loro territorio.

È possibile, quindi, derogare al principio del primo Paese di arrivo solo se un’altra nazione europea decide volontariamente di farsi carico dei rifugiati per ragioni di solidarietà.

Sì al piano di emergenza per Italia e Grecia

Dovrebbe però essere confermato, nonostante le decisioni della Corte UE, l’attuale piano di emergenza che prevede la riallocazione di 160mila richiedenti asilo in Italia e Grecia in altre nazioni dell’Unione Europea. Una boccata d’ossigeno che sarebbe necessaria per il nostro Paese in un momento in cui i flussi migratori si fanno sempre più consistenti a causa delle guerre e dell’instabilità delle nazioni africane e asiatiche.

L’avvocato generale dell’Unione Europea ha infatti chiesto ai giudici di respingere i ricorsi presentati da Slovacchia e Ungheria, che si opponevano proprio alla “spartizione” dei richiedenti asilo tra i vari Stati membri. Sorte simile toccherà a Polonia e Repubblica Ceca.

Verso una riforma delle regole UE?

Una possibile ancora di salvezza per l’Italia potrebbe arrivare dalla tanto sospirata modifica degli accordi di Dublino: al lavoro è infatti un nuovo regolamento che porterebbe alla distribuzione automatica dei migranti tra i 27 Paesi dell’Unione Europea in caso di flussi straordinari. La modifica, tuttavia, potrà essere votata solo a partire da ottobre, anche a causa delle imminenti elezioni in Germania.

Nel frattempo, segnaliamo che i giudici della Corte europea hanno respinto il ricorso di un cittadino del Mali che aveva denunciato l’Italia dopo che gli era stata respinta la richiesta di asilo. Al migrante era stato rifiutato l’asilo perché i motivi che lo spingevano ad arrivare in Italia erano “puramente economici”.

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