Minaccia: chiarimenti su presupposti ed ambito di indagine

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La Suprema Corte di Cassazione rileva i presupposti integrativi della fattispecie delittuosa e l’ambito di indagine dell’autorità giudiziaria.

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Indice

Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – sentenza n. 19364 dell’8-05-2023

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1. Reato di minaccia e relativi elementi costitutivi

Disciplinato all’art. 612 c.p. il reato di Minaccia punisce chiunque, volontariamente, prospetti ad un altro individuo un futuro male ingiusto ledendone altresì la libertà psichica.
Se ne deduce pertanto, che la norma è posta a tutela oltre che del mero benessere psichico del soggetto, anche della sua libertà morale da eventuali condotte altrui che possano in qualche modo ledere il suo stato di “tranquillità” inteso in senso lato.
Trattasi di un’ipotesi di reato a forma libera pertanto la condotta tipica può sostanziarsi in qualsiasi atto con cui un soggetto annunci ad un altro un futuro male ingiusto; in ragione di ciò, quindi, risultano del tutto indifferenti le modalità con le quali la condotta criminosa viene posta in essere, purché siano idonee ad intimidire il soggetto passivo, ossia ad esercitare una evidente compromissione dell’altrui libertà psichica e capacità di autodeterminarsi.
Tale fattispecie, procedibile a querela della persona offesa, è punita nella sua forma semplice con la multa fino a 1.032 €, quantunque, in presenza di una serie di circostanze aggravanti di cui all’art. 339 c.p., potrebbe manifestarsi anche nella sua forma aggravata e quindi procedibile d’ufficio.
Tali circostanze assecondano la condotta tipica e possono essere sia oggettive (tempo, luogo, modo di attuazione dell’azione delittuosa), sia soggettive (età, sesso, condizioni psicofisiche del soggetto passivo); ragionevolmente, in quest’ultima ipotesi aggravata la pena sarà più aspra, prevedendo la reclusione fino a un anno.
Essendo un reato di pericolo al fine della sua configurabilità risulta sufficiente che il male augurato sia idoneo ad intimorire la vittima e che sia determinato ed ingiusto, al che, per la sua perfezione, non è richiesta l’effettiva incussione di timore in danno alla stessa, oltre che ad essere sufficiente il dolo generico e quindi la cosciente volontà di minacciarla del predetto un male.
Pertanto non integrerebbe il reato in trattazione, la minaccia della realizzazione di un proprio interesse legittimo, purché questa ovviamente, non risulti ingiusta in relazione alle modalità attuative della stessa da parte dell’agente.

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2. Questione di legittimità: la decisione della Suprema Corte

Il Tribunale di Benevento confermava la pronuncia resa dal Giudice di pace di Benevento, che aveva condannato Caio per il reato di minaccia alla pena di euro 500,00 di multa, nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile: nel caso di specie, Caio aveva minacciato un ingiusto danno a Mevio, il quale aveva segnalato alcune irregolarità nell’uso di una sua delega nel corso dell’assemblea del Club di cui il predetto era socio e l’imputato presidente del collegio dei probiviri, gli aveva detto “finiscila con questa storia delle deleghe, altrimenti ti roviniamo come uomo e come allevatore”.
Caio, tramite il proprio difensore, ricorreva in Cassazione, deducendo come quarto motivo l’inosservanza ed erronea applicazione di legge rispetto alla qualificazione come minaccia delle frasi asseritamente pronunciate nei confronti della persona offesa che non sarebbero state serie, non avrebbero prospettato un male ingiusto e non avrebbero potuto determinare in Mevio alcun timore o turbamento psichico, anche alla luce del contesto nel quale erano state pronunciate.
La Cassazione nel dichiarare infondato il motivo dedotto si pronunciava ricordando che:
–      quanto ai presupposti del delitto di cui all’art. 612 cod. pen., la gravità della minaccia deve essere accertata avendo riguardo, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa;
–      il Tribunale di Benevento ha fatto buon governo di tale principio, in quanto le frasi pronunciate dall’imputato erano in concreto idonee a generare il timore della persona offesa di subire un danno grave ed ingiusto, stante la posizione di preminenza rivestita dal ricorrente, in qualità di Presidente dei probiviri, nel Club, posizione che, nella prospettiva di un semplice socio, era effettivamente idonea a determinare nello stesso il timore di subire il pregiudizio minacciato.

3. Conclusioni

Con la seguente pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce ulteriormente alcuni aspetti configurativi della fattispecie di Minaccia, in particolare si comprende come sia del tutto irrilevante, ai fini della sua integrazione, la presunta volontà dell’agente di augurare un danno/male ingiusto “scherzando”, essendo sufficiente il timore generato nel soggetto attinto dalla condotta lesiva.
Tuttavia, non è da considerarsi secondaria o trascurabile la circostanza che attiene alla sussistenza di un rapporto lavorativo tra imputato e persona offesa; infatti, seppur in sentenza viene esaustivamente chiarito tale aspetto, è ragionevole pensare che ricoprendo il primo una posizione di superiorità gerarchica rispetto al secondo, la condotta avrebbe potuto tutt’al più integrare l’aggravante di cui al comma 2 della norma e non gli elementi tipici di cui al 1 comma.
Tale pensiero si rafforza proprio in ragione della relazione di sudditanza psicologica insita nel “rapporto lavorativo”, che porta il soggetto passivo ad accettare inevitabilmente e tacitamente ogni forma di prevaricazione ed azione contra lègem.
Nel caso di specie, l’offesa così come riportata: “finiscila con questa storia delle deleghe, altrimenti ti roviniamo come uomo e come allevatorelascia senza alcun dubbio trasparire una volontà condivisa da più soggetti presenti all’assemblea e non già solo dal singolo, che pur essendo l’autore materiale della condotta oggetto di reato, si è limitato, in qualità di presidente, a riportare un pensiero verosimilmente condiviso anche dagli altri membri del collegio (al contrario non avrebbe avuto senso l’utilizzo del plurale)e che pertanto, potrebbe considerarsi alla stregua di un mero vettore/portavoce della volontà offensiva di tutti i presenti.
Alla luce di ciò, secondo l’impostazione dottrinale maggioritaria, è risaputo che affinché si integri il requisito delle più persone riunite (Art. 339 c.p – Circostanze aggravanti), non è necessario che tra queste vi sia un previo accordo, ma è sufficiente la presenza fisica di almeno due persone.
Concludendo, se da un lato la sentenza in esame traccia ulteriori percorsi ad una corretta interpretazione della norma penale de quo, dall’altro numerosissimi restano i dubbi sull’applicabilità o meno della condotta aggravata per i casi analoghi.

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Raffaele Della Corte

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