Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – Schema di decreto legislativo concernente “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale”.

decreti 27/12/07
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LA SEZIONE
 
Vista la relazione n. UL/2007/9895, in data 16 ottobre 2007, trasmessa con nota con pari numero e data, pervenuta in data 17 ottobre 2007 con la quale il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare chiede il parere sullo schema indicato in oggetto;
Esaminati gli atti e uditi i relatori ed estensori Cons. ****************, Cons. Filoreto D’Agostino e Cons. *******************;
 
PREMESSO:
 
1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso lo schema di decreto legislativo in oggetto, che costituisce il secondo decreto correttivo al c.d. codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006).
In via preliminare, l’Amministrazione riferisce che, in attuazione della delega conferita dalla legge 15 dicembre 2004 n. 308, è stato promulgato il decreto legislativo n. 152 del 2006, recante norme in materia ambientale, che ha delineato un nuovo quadro giuridico nei principali settori di cui si compone la materia ambientale, tranne quello riguardante la gestione delle aree protette.
A seguito dell’entrata in vigore del testo si è reso necessario il ricorso al meccanismo dei decreti legislativi correttivi, previsti dall’articolo 1, commi 6 e 7, della legge delega.
Sulla base di tali norme, il governo ha intrapreso una serie di iniziative volte alla correzione ed integrazione dell’originario decreto legislativo.
Vi è stato un primo decreto legislativo correttivo dell’8 novembre 2006 n. 284, con cui, tra l’altro, sono state soppresse le Autorità di bacino nonché l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e si è provveduto all’abrogazione degli articoli 159, 160 e 307 dell’originario decreto legislativo. Infine, è stato prorogato da sei a dodici mesi il termine posto dall’articolo 224, comma 2, per l’adeguamento dello statuto del CONAI ai principi del codice ambientale.
Premette ancora l’Amministrazione che il presente decreto correttivo era stato preceduto da un altro decreto correttivo per la parte “rifiuti” e “acque”, sul quale le commissioni parlamentari si erano espresse in data 27 giugno 2007 e sul quale la sezione aveva fornito il suo parere in data 10 luglio 2007. Tale decreto era stato riapprovato in seconda lettura dal Governo nel Consiglio dei ministri del 20 luglio 2007, salvo intese tecniche, chiuse effettivamente in data 3 agosto 2007.
Esso veniva trasmesso dal Dipartimento rapporti con il Parlamento alle Camere solo in data 29 agosto 2007, ossia oltre il termine di 45 giorni previsto dalla legge per la nuova trasmissione; termine, che decorre dalla espressione del parere preliminare delle commissioni parlamentari. Sicché, a causa di tale decadenza, i Presidenti delle Camere hanno ritenuto di non dare ulteriore corso al procedimento legislativo.
2. Riferisce l’Amministrazione che gli interventi di modifica alla normativa vigente sono urgenti, se non indifferibili, sia per recepire i rilievi effettuati nei pareri resi dalle competenti commissioni parlamentari e dalla conferenza unificata sul primo decreto correttivo, sia al fine di adeguare diverse disposizioni del codice ambientale al diritto comunitario; nonchè per favorire la chiusura di numerose procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia, rispetto alle quali vi è il serio rischio di pesanti condanne dell’Italia da parte della Corte di giustizia.
In particolare l’Amministrazione sembra preoccupata dalla comunicazione della Commissione europea (SEC 1658 del 13 dicembre 2005), con cui è stata inasprita la possibilità di infliggere sanzioni pecuniarie allo Stato membro che non abbia tempestivamente eseguito una prima sentenza comunitaria, laddove venga constatata, ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE., il suo inadempimento agli obblighi del trattato medesimo. La Commissione europea intende così porre fine alla prassi con la quale si è limitata a chiedere l’applicazione della sola penalità di mora, volta a sanzionare ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della seconda sentenza emanata dalla Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 228 del Trattato CE. Essa ha deciso che non desisterà più dalla procedura a seguito del tardivo adempimento da parte dello Stato membro in sede di esecuzione della sentenza comunitaria, ma chiederà comunque sempre la prosecuzione del giudizio per l’irrogazione della sanzione pecuniaria forfettaria, con la quale si censura la mancata tempestiva riparazione dell’infrazione.
La preoccupazione dell’Amministrazione si estende dunque all’esposizione, per il nostro Paese, al rischio di una condanna maggiore, da calcolarsi moltiplicando l’importo giornaliero analogo a quello applicabile per la penalità di mora, per il numero di giorni di persistenza dell’infrazione. Da ciò l’urgenza di adeguarsi agli obblighi comunitari.
3. Nel frattempo, in data 27 luglio 2007, veniva adottato, in prima deliberazione dal Consiglio dei ministri, un altro decreto correttivo riguardante la Parte seconda del decreto legislativo, trasmesso innanzitutto, come vuole la legge delega, per il parere alla Conferenza Unificata.
Dopo di che il Governo , nel Consiglio dei ministri del 13 settembre 2007, ha adottato un nuovo decreto correttivo, che accorpa in sostanza sia le modifiche relative alla parte “rifiuti” e in parte alla parte “acque” – già oggetto del precedente correttivo e quindi parzialmente esaminato dalla Sezione nel precedente parere – e sia le modifiche relative alle valutazioni ambientali (VIA e VAS).
Tale decreto correttivo ha già ottenuto il positivo parere della conferenza unificata riunitasi in data 20 settembre 2007. Il testo è stato anche inviato alle camere e la assegnazione per il parere preliminare delle competenti commissioni parlamentari é avvenuta in data 27 settembre 2007.
Le ragioni che hanno spinto l’Amministrazione a predisporre il secondo decreto correttivo sono da ricercare nei molteplici profili di non conformità alle disposizioni comunitarie rilevate nella parte seconda del decreto legislativo, oltre che nell’esigenza di dare adeguato seguito ai numerosi rilievi delle Commissioni parlamentari e della Conferenza Unificata non accolti nel corso dell’iter di approvazione sia del decreto originario sia in sede di esame del primo decreto legislativo correttivo (d.lgs. 8 novembre 2006 n. 284).
Esso, da un lato, mira a porre fine a svariate procedure di infrazione comunitaria pendenti nei confronti dello Stato italiano, come già riferito, e, dall’altro lato, mira a correggere difficoltà applicative e distonie evidenziate dal decreto legislativo.
Vi è inoltre il proposito di rendere l’attuale decreto legislativo (connotato dalla mera giustapposizione di una pluralità di normative previgenti) un vero e proprio “codice”, connotato da sistematicità e da un nucleo di principi comuni.
L’Amministrazione, dopo aver passato in rassegna le varie procedure di infrazione comunitaria pendenti ed aver criticato l’impostazione del decreto legislativo principale – che non avrebbe tenuto conto delle novità e delle esperienze maturate in quasi un ventennio di applicazione della normativa in materia di VIA -, si ripropone con il presente decreto correttivo “di contemperare le esigenze ambientali con gli interessi di un’economia dinamica, ancorando i procedimenti di valutazione a strategie di sviluppo sostenibile condivise, riconducendoli ad un sistema sopraordinato di obiettivi che collegano i disegni strategici a tutti i livelli territoriali”.
Inoltre con lo schema di decreto in esame si è inteso anche:
a) delineare in maniera chiara le competenze statali e quelle regionali, avendo come riferimento la corrente attribuzione;
b) uniformare le procedure di valutazione, evitando inutili discrasie fra Stato e regioni;
c) introdurre, come richiesto dalla delega, disposizioni anche in materia di IPPC;
d) restituire autonomia alla procedura di VAS, che, tenuto conto della peculiare natura di tale valutazione e secondo quanto richiesto anche dalla direttiva 2001/42/CE, non può concludersi con un provvedimento amministrativo, come avviene per la VIA;
e) assicurare ampi livelli di partecipazione attraverso il vasto ricorso al Web e la valorizzazione dei processi di Agenda 21 locale nell’ambito delle procedure di pianificazione e di valutazione;
f) e infine assicurare una reale semplificazione, sistematizzando in un unico testo tutta la produzione normativa degli ultimi 20 anni riguardante la VIA .
4. Lo schema in esame propone fondamentalmente tre diverse aree di intervento e si compone di cinque articoli e sette allegati.
La prima area di intervento, prevista dall’articolo 1, comma 1, e relativa all’introduzione nella parte “prima bis” di una serie di principi generali del diritto ambientale, viene per la prima volta all’esame della Sezione.
La seconda, inserita nell’articolo 1, comma 2, contiene le innovazioni sulla “Parte seconda” del codice, in tema di procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione dell’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione integrata ambientale (IPPC).
Sebbene costruita come una sostituzione di articoli, si tratta – cosi come riferisce l’Amministrazione – in concreto “di una serie di modifiche puntuali, introdotte per le ragioni sopra espresse, e di una diversa riorganizzazione delle norme preesistenti, al fine di mantenere l’articolato nei limiti della proposizione di mere correzioni ed integrazioni e al fine di semplificare il testo e di attribuire alla VAS il senso voluto dalla normativa comunitaria”.
La terza, contenuta nell’articolo 2, riguarda modifiche in tema di acque e rifiuti ed è stata già oggetto di valutazione da parte della Sezione, con il parere 2660/2007 del 9 luglio 2007, in relazione però ad un testo parzialmente diverso.
Infatti, nell’attuale formulazione, sono state recepite le indicazioni proposte dalla Conferenza Unificata e dal Parlamento sul testo del precedente correttivo, poi decaduto e qui riproposto contestualmente alle altre innovazioni.
Infine i successivi articoli 3, 4 e 5 recano, rispettivamente, la clausola di invarianza della spesa; la disciplina transitoria relativa alle norme applicabili ai progetti per i quali la VIA è in corso; la data di entrata in vigore del decreto.
 
CONSIDERATO:
 
A. Osservazioni generali
 
1. La Sezione osserva, anzitutto, che il parere del Consiglio di Stato deve intendersi richiesto ai sensi dell’art. 17, comma 25, lett. a), legge 15 maggio 1997, n. 127 (nonché dell’art. 16, comma 1, n. 3, t.u. n. 1054 del 1924).
Esso va circoscritto allo schema del decreto correttivo trasmesso, e non può pertanto estendersi, ora per allora, né al precedente d.lgs. n. 152 del 2006 né al primo decreto legislativo correttivo, testi sui quali il parere di questo Consesso non è stato richiesto.
Inoltre la Sezione dovrà riformulare il parere anche in relazione alla parte relativa alle acque e ai rifiuti, atteso che il testo oggi riproposto presenta delle modifiche.
La Sezione aveva già auspicato, in occasione del secondo decreto correttivo poi decaduto, che “il Governo, in luogo di una pluralità di decreti correttivi, ne adotti uno soltanto (compatibilmente con l’esigenza di interventi urgenti), atteso che una pluralità di correttivi, sebbene tecnicamente e giuridicamente consentita, non giova alla esigenza di certezza del diritto e stabilità delle norme, che costituisce una legittima aspettativa degli operatori, in una logica di qualità formale e sostanziale della regolazione e di semplificazione normativa e amministrativa”.
Pertanto, non può che prendere atto con soddisfazione del fatto che nel presente testo siano confluiti una pluralità di decreti e che ora il codice abbia ambizioni di compiutezza.
2. Giova premettere che la legge (art. 1, legge 15 dicembre 2004 n. 308), che delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative in materia ambientale, prevede la possibilità di successivi decreti correttivi. La legge delega dispone, in particolare, che entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge delega, il Governo può emanare, ai sensi dei commi 4 e 5, disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1, sulla base di una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell’intervento normativo proposto.
I decreti successivi all’esercizio originario della delega, pertanto, possono recare disposizioni “integrative” o “correttive”, e devono seguire lo stesso iter procedurale dell’originario decreto legislativo, atteso il richiamo espresso ai commi 4 e 5 dell’articolo di delega.
2.1. Sul piano procedurale, occorre, pertanto, – come per il decreto legislativo originario – anzitutto il concerto con i Ministri espressamente nominati e con gli altri Ministri interessati.
Nel caso specifico, la relazione riferisce dell’approvazione dello schema di decreto correttivo da parte del Consiglio dei ministri e della concorrente proposta del Ministro per le politiche europee, nonché dell’intervenuto concerto dei Ministri per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, per gli affari regionali e le autonomie locali, dell’interno, della giustizia, della difesa, dell’economia e delle finanze, dello sviluppo economico, della salute, delle infrastrutture, dei trasporti, delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Alla Sezione, peraltro, non sono stati trasmessi né gli atti di concerto, né il verbale del Consiglio dei ministri nella parte in cui reca l’approvazione dello schema di decreto correttivo, né l’attestazione del sottosegretario al Consiglio dei ministri o del D.A.G.L. in ordine all’intervento dei concerti e dell’approvazione governativa del testo trasmesso.
Attesa l’urgenza di rendere il parere di questo Consesso per consentire al Governo di rispettare il termine di 45 giorni assegnato dalla legge delega per il secondo invio alle Commissioni parlamentari, la Sezione prende atto di quanto affermato dalla relazione illustrativa, condizionando tuttavia il proprio parere favorevole alla effettiva sussistenza degli atti di concerto e alla approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del testo nella versione trasmessa.
2.2. Sempre sul piano procedurale, la Sezione rileva che ai fini del passaggio parlamentare, il decreto correttivo deve essere corredato dall’analisi tecnico – normativa, dall’analisi dell’impatto della regolamentazione e dalla relazione tecnica.
Le tre relazioni non sono state trasmesse alla Sezione.
Tuttavia è possibile prenderne visione in quanto si trovano allegate al parere della Conferenza Unificata, agli atti.
Si prende comunque atto che tali relazioni sono state redatte e trasmesse alle competenti Commissioni parlamentari, così come dispone la norma indicata.
2.3. Ancora sul piano procedurale, occorre osservare che di regola questa Sezione ha affermato di potersi pronunciare solo a seguito dell’espressione del parere da parte degli altri organi consultivi contemplati dalla norma che prevede il potere normativo del Governo, ad eccezione del parere delle Commissioni parlamentari.
Anche nel caso specifico, in cui la legge delega prevede un doppio passaggio parlamentare, la Sezione ritiene di confermare il proprio orientamento. E, invero, la legge delega prevede che il Governo ritrasmetta lo schema alle Camere entro 45 giorni dalla ricezione dei pareri delle Commissioni parlamentari (resi nel primo passaggio). Tale breve termine sarebbe incompatibile con l’acquisizione del parere del Consiglio di Stato dopo il primo passaggio parlamentare, considerato anche il termine legale assegnato a questo Istituto per la formulazione dei propri pareri.
Il testo dello schema, peraltro, come si legge nella relazione illustrativa, risulta già trasmesso alle competenti Commissioni parlamentari per il primo passaggio; e le stesse hanno cominciato la discussione nella seduta del 10 ottobre 2007.
Il Governo ha trasmesso :
– il parere espresso dalla Conferenza Unificata nella seduta del 20 settembre 2007;
– i pareri delle Commissioni di Camera e Senato, espressi in data 24 ottobre 2007.
3. Preliminarmente la Sezione deve prendere in esame la questione relativa alla possibilità o meno di riproporre nel testo in esame la parte relativa alle “acque” e ai “rifiuti”, disciplinati nel precedente decreto, poi dichiarato decaduto dai Presidenti delle Camere, in quanto presentato oltre il termine previsto dalla legge.
Su di esso, come già riferito, la Sezione ha già espresso parere nell’adunanza del 9 luglio 2007.
L’articolo 1, comma 5 ultima parte, della legge delega del 15 dicembre 2004, n. 308 stabilisce: “Il Governo, tenuto conto dei pareri di cui al comma 4 e dal presente comma, entro quarantacinque giorni dalla data di espressione del parere parlamentare, ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con le eventuali modificazioni, i testi per il parere definitivo delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro venti giorni dalla data di assegnazione. Decorso inutilmente tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Il mancato rispetto, da parte del Governo, dei termini di trasmissione degli schemi dei decreti legislativi comporta la decadenza dall’esercizio della delega legislativa”.
La Sezione osserva anzitutto che la norma indicata ha natura procedimentale e non sostanziale, ossia è diretta ad ordinare i modi e i tempi del procedimento legislativo innanzi alle Camere.
In siffatto contesto, ma con esclusivo riferimento al procedimento in itinere, il termine è da ritenersi perentorio, atteso che per il suo mancato rispetto è espressamente prevista la sanzione della decadenza, ossia l’impossibilità di continuare lo specifico procedimento così come attivato.
Tutt’altro problema è se il conseguente arresto procedimentale, disposto dai Presidenti delle Camere in ragione della su indicata perentorietà, comporti l’impossibilità di reiterare la delega nell’ambito temporale ancora a disposizione del Governo in virtù dell’articolo 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308 ovvero se la dichiarata decadenza concluda i suoi effetti nell’ambito di quello specifico procedimento, senza compromettere la potestà legislativa delegata.
La Sezione ritiene che costituisca un principio consolidato quello secondo cui la pronuncia di improcedibilità riguardi unicamente la sequenza in cui essa si forma e che, per la natura sua propria, non possa avere effetti al di fuori del procedimento stesso; mentre conclusioni diverse valgono per il provvedimento conclusivo, che esplica, salva diversa previsione di legge, gli effetti attribuitigli dall’ordinamento generale.
Nel caso di specie, poichè la legge usa l’espressione “decadenza dall’esercizio” e non “decadenza dalla delega”, non sembra abbia derogato al principio di carattere generale, riguardante sia il procedimento amministrativo e sia quello legislativo.
Se così non fosse si condizionerebbe a un adempimento essenzialmente formale la possibilità di dare un conforme assetto a una disciplina difettosa o inefficiente, in un termine peraltro interno a quello previsto in sede di delega.
Tra le varie interpretazioni va evidentemente data la preferenza a quella che consente la lettura delle norme più coerente al principio di ragionevolezza. Ora non v’è dubbio che un’esegesi dell’ultima parte del comma 5 dell’art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308, che escludesse la potestà legislativa (e non già il mero esercizio della stessa) per decorrenza di termini diversi da quelli assegnati per il compimento dell’opera correttiva e integrativa, si rivelerebbe in immediato contrasto con le ragioni di fondo alle quali è preordinata l’emanazione dei relativi decreti (come esposto in Corte costituzionale, sent. n. 206/2001, che è più ampiamente richiamata in prosieguo).
Questo consente di ritenere che l’esercizio della delega legislativa correttiva possa essere di nuovo attivato, mediante l’apertura di un nuovo procedimento, fermo restando la persistenza dei tempi (e dei modi) che lo consentono.
Come già riferito, l’articolo 1, comma 6, della legge delega n. 308 del 2004 consente l’esercizio della delega entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di riordino.
Pertanto, essendo stato il decreto legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 aprile 2006, l’esercizio della delega può essere legittimamente reiterato.
4. Per quanto attiene ai profili “sostanziali” dell’esercizio del potere correttivo e integrativo, la Sezione non può che ribadire quanto affermato nel parere reso a proposito del decreto correttivo decaduto e a quanto affermato dall’Adunanza Generale di questo Consesso nella seduta del 6 giugno 2007 (parere Cons. St., Ad. Gen., 6 giugno 2007 n. 1), reso in relazione allo schema di decreto legislativo correttivo del d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), in ordine ai limiti sostanziali al potere correttivo e integrativo.
L’Adunanza Generale ricorda che, con la sentenza n. 206 del 26 giugno 2001, la Corte costituzionale ha affrontato in maniera espressa il problema, affermando che l’istituto si presta ad essere utilizzato “soprattutto in occasione di deleghe complesse, il cui esercizio può postulare un periodo di verifica, dopo la prima attuazione, e dunque la possibilità di apportare modifiche di dettaglio al corpo delle norme delegate, sulla base anche dell’esperienza o di rilievi ed esigenze avanzate dopo la loro emanazione, senza la necessità di fare ricorso ad un nuovo procedimento legislativo parlamentare”. In particolare la Corte ha escluso che il potere correttivo abbia la stessa estensione del potere delegato sulla base del quale è stato emanato il decreto legislativo “principale”. Infatti nella medesima sentenza, si afferma che il decreto correttivo può intervenire “solo in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega “principale”.
A sua volta l’Adunanza Generale ha ritenuto che “(…) la delegazione ad emanare disposizioni integrative o correttive di precedenti decreti deve ritenersi autonoma rispetto alla delega principale, pur essendo normalmente collocata nello stesso testo legislativo e pur essendo sottoposta ai medesimi principi e criteri direttivi. (…) la finalità della previsione di un intervento correttivo e integrativo di decreti emanati sulla base della delega principale é quella di consentire una prima sperimentazione applicativa di questi, sperimentazione che sembra assumere i connotati di un presupposto indispensabile.
Ciò evidentemente è in linea con quella attenzione alla qualità anche sostanziale della legislazione che è da tempo all’attenzione del Parlamento e del Governo.
Ovviamente, a maggior ragione, deve ritenersi non solo possibile ma doveroso un intervento volto a garantire la qualità formale, e in particolare l’eliminazione di illegittimità costituzionali o comunitarie nonché di errori tecnici, illogicità, contraddizioni”.
“Quanto alla possibilità di attribuire una efficacia estensiva del potere del Governo all’endiadi “correzione e integrazione”, non sembra che si possa andare oltre al semplice ampliamento dell’oggetto del primo decreto legislativo a quei profili della materia delegata – come individuato nei criteri base – trascurati in prima attuazione”.
5. I principi affermati dall’Adunanza Generale vanno a maggior ragione ribaditi in relazione al correttivo del decreto legislativo che prefigura ormai il codice dell’ambiente, atteso che la legge delega pone in questo secondo caso un ulteriore limite ai decreti correttivi, e in particolare impone “una relazione motivata presentata alle Camere dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che individua le disposizioni dei decreti legislativi su cui si intende intervenire e le ragioni dell’intervento normativo proposto”.
Si tratta di un limite che era stato previsto anche dalla legge delega per il codice del consumo (v. l’art. 1, comma 6, legge n. 62 del 2005, secondo cui la proposta di decreto correttivo deve prevedere una relazione motivata da presentare alle Camere circa le disposizioni su cui intende intervenire e le ragioni della modifica), come ricordato dal citato parere dell’Adunanza Generale n. 1 del 2007.
Pertanto, si possono considerare, in linea di principio, conformi ai limiti del potere integrativo e correttivo le disposizioni del presente schema che mirano a eliminare illegittimità comunitarie e a correggere errori tecnici, illogicità, contraddizioni, ovvero disposizioni che si siano rivelate di difficile applicazione.
Inoltre, avendo la legge delega attribuito non solo un potere correttivo, ma anche integrativo, l’oggetto di intervento può essere ampliato a quei profili della materia delegata, come individuata nei criteri base, trascurati in sede di prima attuazione.
5.1. A queste osservazioni di carattere generale vanno unite quelle relative a una specifica parte dello schema in esame. Il testo qui trasmesso prevede, infatti, l’integrale sostituzione della Parte seconda del decreto legislativo, costituita allo stato dagli articoli da 4 a 52 e ordinata in quattro Titoli, di cui il secondo e il terzo composti da più Capi.
Occorre pertanto valutare, in sede di decreto correttivo e integrativo, la conformità alla delega e ai principi di una metodica che utilizza il criterio dell’intervento sistematico, senza ricorrere a espedienti tecnici come la novella o altre misure di più modesta incidenza sulla normativa.
L’intervento in questione, peraltro, non si risolve in una specie di trattamento estetico di un testo, che, seppure bisognoso di una migliore veste, mantiene inalterati i contenuti precettivi. Esso incide sulla materia così da dare nuova esposizione ai principi comunitari e costituzionali e rimedia alle incongruenze sopra rappresentate anche in relazione ai su citati procedimenti di infrazione che gravano sul Governo italiano.
Se tale è la ratio dell’intervento sistematico, si postula che le esigenze alle quali è preordinato non possano trovare idonea composizione con gli strumenti della novella o della sostituzione di singoli precetti.
Quando, come nel caso di specie, i punti sui quali si palesa necessaria la correzione per la salvaguardia della disciplina comunitaria e costituzionale riguardano la diversa natura e le modalità di svolgimento delle procedure, l’oggetto degli accertamenti con riferimento alle diverse fasi della progettazione, la partecipazione nonché la ripartizione delle competenze a livello territoriale, non v’è dubbio che l’unico modo per dare compimento alle finalità correttive e integrative non possa essere che quello dell’intervento sistematico. Ciò anche in relazione alla finalità codicistica, alla quale questa Sezione ha fatto riferimento in altra occasione, di garantire una disciplina di settore coerente ed unitaria sul piano formale non meno che su quello sostanziale.
Rimane ferma naturalmente la necessità di valutare il merito delle modifiche introdotte alla stregua dei criteri di ammissibilità suindicati.
 
 
B. Articolo 1, comma 1 dello schema – Modifica alla Parte prima del decreto legislativo
 
1. Con l’articolo 1 dello schema viene inserita, dopo la Parte prima del decreto legislativo, la Parte prima-bis, contenente a sua volta sei articoli, numerati non in ordine progressivo, ma secondo la ripetizione dell’ultimo articolo dopo il quale si intende intervenire, con l’aggiunta della numerazione romana, propria della tecnica della novellazione.
A parte l’ineleganza dell’impostazione, la Sezione ritiene che – sia per l’importanza delle disposizioni introdotte sia per la possibile sovrapposizione con le altre disposizioni della originaria Parte prima – si debba riformulare il testo pervenendo così ad un’unica Parte prima, composta di nove articoli progressivamente numerati.
In particolare si rileva che la mancata unificazione della Parte prima genera qualche evidente scompenso nel quadro normativo, essendo evidente che le nuove disposizioni sui principi, per la loro stessa rilevanza, vanno inserite subito dopo l’attuale articolo 2, riservando la chiusura della “Parte” all’attuale articolo 3 (con l’opportuno coordinamento).
Quanto al merito, le norme contenenti i principi di carattere generale servono in sostanza a dare una maggiore visibilità a principi comunitari che sono già applicabili nel nostro ordinamento per via dell’art. 1, commi 1 e 1-ter, della legge 7 agosto 1990 n. 241.
Pertanto essi possono essere inseriti nel decreto legislativo originario mediante lo strumento del decreto correttivo, anche in considerazione del fatto che, sul piano tecnico-sistematico, essi costituiscono già espressione delle singole disposizioni successive e quindi possono fornire all’interprete e all’operatore pratico utili strumenti applicativi.
2. Si passa ora all’esame delle singole disposizioni così introdotte.
2.1. L’articolo 3-bis stabilisce i principi sulla produzione del diritto ambientale.
La Sezione ritiene che nel comma 1 debba essere inserito anche l’articolo 117, commi 1 e 3, della Costituzione, sia perché si dà concretezza al principio secondo cui la potestà legislativa va esercitata nel rispetto della Costituzione, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, sia perché si chiarisce che lo Stato e le Regioni debbono esercitare tale potestà nel rispetto dei medesimi principi e sia perché si riafferma la regola costituzionale secondo cui la tutela dell’ambiente è riservata alla legislazione esclusiva dello Stato.
Ciò comporta, quanto al comma 3, che esso è da sopprimere in quanto superfluo. Qualora con esso si sia voluto stabilire la regola secondo cui i principi della Parte prima costituiscono anche principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente – quali la salute, il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e così via – si sarebbe dovuto fare espresso riferimento al comma 3 dell’articolo 117 della Costituzione, ma in tal caso si dovrebbe rilevare che la determinazione dei principi fondamentali nelle materie concorrenti va fatta con norme puntuali e specifiche alle singole materie, che non possono essere certo i principi generali in esame.
Anche il comma 2 può essere accorpato al primo comma. Esso avrebbe potuto avere un contenuto normativo ulteriore solo ove si fosse voluto inserire la distinzione tra “materia ambientale” in senso stretto e “ambiente come valore costituzionale”, stabilendo la regola che i principi generali si applicano sia nell’adozione degli atti normativi riguardanti la materia e sia in quelle materie che interferiscono con i valori ambientali.
Ma non sembra che ciò fosse nelle intenzioni dell’Amministrazione e comunque avrebbe avuto una valenza sostanziale non consentita in sede di decreto correttivo.
Infine, come già anticipato, il comma 4 va coordinato con il comma 1 del vigente articolo 3 del decreto legislativo, nel senso che, pur facendo il primo riferimento ai principi e il secondo alle norme del decreto legislativo, è bene unificare la regola in un unico comma nel momento in cui si procederà alla riscrittura, al fine indicato di fare un’unica “Parte prima”, dei tre articoli ora vigenti della Parte prima.
In conclusione l’articolo 1 va riformulato nel seguente modo: “Gli articoli da 1 a 9 pongono i principi generali in tema di tutela dell’ambiente, adottati in attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42, 44 e 117, primo e terzo comma, della Costituzione e nel rispetto del Trattato dell’Unione Europea e sono vincolanti nell’adozione degli atti normativi, di indirizzo e di coordinamento e nell’emanazione di provvedimenti di natura contingibile ed urgente”.
2.2. L’articolo 3-ter inserisce nel nostro ordinamento i tre principi posti a base della gestione dell’ambiente, ossia il principio della prevenzione e della correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente; il principio “chi inquina paga”; il principio precauzionale.
L’inserimento è quanto mai opportuno, dato che nella nostra Costituzione mancano disposizioni di carattere sostanziale in materia ambientale, al contrario di altre Costituzioni europee più recenti, come quella greca, portoghese e spagnola. L’articolo 45 di quest’ultima, ad esempio, esprime le due concezioni del diritto all’ambiente, ossia quella che lo concepisce come un diritto soggettivo e quella che invece lo concepisce come un dovere per i pubblici poteri di tutela e valorizzazione dell’ambiente.
L’opportunità dell’inserimento va ravvisata anche nel fatto che le relative norme del Trattato Europeo non hanno efficacia vincolante per i legislatori degli Stati membri. Pertanto era necessaria la traduzione dei principi comunitari in atti legislativi aventi una maggiore forza vincolante, non essendo più sufficiente il pur creativo ruolo svolto dalla nostra Corte costituzionale, che, alla luce dei principi comunitari, ha saputo interpretare in chiave “ambientalistica” molte norme della nostra Costituzione.
In effetti l’unico modo affinché i principi comunitari penetrassero nell’azione concreta delle amministrazioni pubbliche era dato dal nuovo articolo 1, commi 1 e 1-ter, della legge n. 241 del 1990. Ma esso aveva comunque un’efficacia parziale, dato che non era applicabile nei confronti dei soggetti privati.
Pertanto la Sezione ritiene di non dover fare rilievi alla disposizione in esame.
2.3. L’articolo 3-quater introduce il principio dello sviluppo sostenibile.
La Sezione non ha osservazioni da fare circa la necessità dell’inserimento del principio e sul modo in cui esso è stato tradotto in norma.
Tanto più che “il trattato che adotta una costituzione per l’Europa” (c.d. Costituzione Europea), pur inserendo l’ambiente nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, ne assimila la tutela ai diritti di solidarietà, laddove prevede, all’articolo II-97, che “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.
Sicché il suo inserimento appare in linea con i probabili sviluppi della legislazione europea.
2.4. L’articolo 3-quinquies regola i rapporti con la legislazione regionale sulla base dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
La disposizione in esame intende tradurre in norma positiva l’orientamento della Corte costituzionale e della dottrina migliore, registratisi dopo l’entrata in vigore del nuovo articolo 117 della Costituzione, che ha compreso “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (lett. s) del secondo comma) tra le materie attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato, mentre la tutela della salute, il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali sono compresi tra le materie di legislazione concorrente, in cui è riservata allo Stato solo la determinazione dei principi fondamentali con esclusione della potestà regolamentare.
In particolare la Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 407 del 26 luglio 2002, ha affermato il principio, peraltro già consolidato nella propria precedente giurisprudenza, secondo cui “la tutela dell’ambiente” non è configurabile come una “materia” in senso tecnico, ritenendosi per contro che l’ambiente sia un valore costituzionalmente protetto e, in quanto tale, configuri una materia trasversale, in ordine alla quale, si manifestano competenze diverse. Allo Stato spetta il compito di determinare discipline volte a fissare livelli di tutela minimi uniformi sull’intero territorio nazionale. Ciò è quanto si prevede nel comma 1 dell’articolo, ma con un riferimento ai “principi” della Parte prima-bis, così rendendo la disposizione priva di un reale contenuto normativo, attesa la genericità degli stessi. Per garantire livelli minimi uniformi occorre fare riferimento, quantomeno, a tutti i principi desumibili dalle norme del decreto legislativo, mancando nel testo quella analitica individuazione che sarebbe stata opportuna.
Quanto alla competenza regionale diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie, per la popolazione e il territorio interessati (Corte cost. sent. n. 536 del 20 dicembre 2002; n. 96 del 28 marzo 2003; n. 331 del 7 novembre 2003; n. 62 del 29 gennaio 2005; n. 108 del 18 marzo 2005), naturalmente l’orientamento della Corte costituzionale esclude che il potere di adottare misure più rigorose da parte delle regioni sia assoluto e insindacabile. Infatti, il sistema impone di coniugare il carattere flessibile della sussidiarità con l’esigenza di garantire che la deroga alla disciplina nazionale uniforme sia giustificata da specifiche situazioni e sulla base di adeguate conoscenze scientifiche, in conformità del principio di precauzione.
Pertanto si condividono le condizioni poste a base della parte finale del comma 2 dell’articolo in esame.
In conclusione, per le ragioni sostanziali suindicate e per ragioni formali l’articolo va riformulato nel modo seguente: “1. I principi desumibili dalle norme del decreto legislativo costituiscono le condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela dell’ambiente su tutto il territorio nazionale.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono adottare forme di tutela giuridica dell’ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali.
3. Lo Stato interviene in questioni coinvolgenti interessi ambientali ove gli obiettivi dell’azione prevista, in considerazione delle dimensioni di essa e dell’entità dei relativi effetti, non possano essere sufficientemente realizzati dai livelli territoriali inferiori di governo o non siano stati comunque effettivamente realizzati.
4. Il principio di sussidiarietà di cui al comma 3 opera anche nei rapporti tra regioni ed enti locali minori”.
2.5. Con l’articolo 3-sexies viene disciplinato il diritto di accesso alle informazioni ambientali e la partecipazione al procedimento amministrativo.
La Sezione osserva che la materia relativa all’informazione ambientale è interamente disciplinata dal decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 195, emanato in attuazione della direttiva 2003/4/CE e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 settembre 2005.
Pertanto è sufficiente il mero richiamo al decreto legislativo suddetto. Tanto più che esso contiene forme di accesso e di partecipazione più avanzate rispetto a quelle contenute nelle discipline richiamate nell’articolo 3-sexies dello schema.
 
C. Articolo 1, comma 2 dello schema – Modifiche alla Parte seconda del decreto legislativo
 
1. Lo schema in esame propone, come già messo in evidenza, la sostituzione integrale della Parte seconda del decreto legislativo, destinata a regolamentare quanto previsto nel comma 1 lettera f) della legge delega n. 308 del 2004, cioè le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l’autorizzazione integrata ambientale (IPPC).
Si rileva preliminarmente che sia il testo da sostituire (art. 34 del decreto legislativo), sia il presente schema (l’art. 10 dell’elaborato limita la disciplina in proposito alle norme di coordinamento) recano scarse disposizioni in ordine alla autorizzazione integrata ambientale. Restano ancorate al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 tutte le altre disposizioni, che mantengono, rispetto alla disciplina delegata in questione, un’autonomia non solo formale. Si sottopone, pertanto, al giudizio dell’Amministrazione la possibilità che, essendo lo schema in esame volto al riassetto dell’intera materia ambientale, le norme contenute nel citato decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 siano integralmente trasfuse nelle varie parti del decreto correttivo così da determinare la materiale abrogazione di quel testo e la piena e continua operatività delle disposizioni trasposte nel nuovo provvedimento normativo.
Ove l’Amministrazione addivenga a siffatta decisione, si renderà necessario inserire nel corpo della Parte seconda le disposizioni del decreto legislativo n. 59 del 2005, riguardanti tutte l’autorizzazione integrata ambientale (cioè i commi da 2 a 5 dell’art. 1, le definizioni pertinenti contenute nell’art. 2, tutti gli articoli da 3 a 11), collocando le residue disposizioni in altre parti del testo (con peculiare riguardo alla Parte Terza, che regolamenta, tra l’altro, la tutela dall’inquinamento).
L’inserzione delle citate disposizioni non altererebbe peraltro la tecnica correttiva, trattandosi semplicemente di dare altra veste a norme già operanti nell’ordinamento senza alcuna alterazione dei contenuti e della precettività, ma solo della loro collocazione in altro atto normativo.
Tanto premesso sull’ampliabilità della Parte seconda e sulla irrilevanza di tale inserzione rispetto ai criteri e principi che presiedono la presente fase integrativa e correttiva (rispetto alla quale l’assorbimento del decreto legislativo n. 59 del 2005 non presenterebbe problemi di sorta), è opportuno esaminare la struttura dello schema e individuare gli aspetti generali di miglioramento correttivo, che giustificano la sistematicità dell’intervento.
1.2. La Parte seconda è ora composta dagli articoli da 4 a 36 ed è strutturata in cinque Titoli.
In conseguenza della sostituzione integrale, il senso delle diverse modifiche non sempre può essere letto e collegato alle norme corrispondenti del testo recato nel decreto legislativo.
Sotto un generalissimo profilo, e fatte salve le osservazioni più puntuali quando è possibile un raffronto ragionato tra i due testi, la Sezione osserva come si sia formato uno schema normativo che corrisponde con maggiore esattezza alla regolamentazione comunitaria e ai profili di congruenza con le attribuzioni tra i soggetti che formano la Repubblica. In questa prospettiva sono eliminate ingiustificate e vistose violazioni della disciplina generale come:
– l’esclusione dal campo di applicazione della procedura VAS per “i piani e i programmi relativi agli interventi di telefonia mobile” (art. 7, comma 8, lettera c) del decreto legislativo);
– la riduzione, in limiti angusti e incoerenti alle finalità della direttiva VAS (art. 6 dir. 01/42/CE) dell’informazione e della partecipazione consultiva, non attivata a causa della carenza di notizie legali (artt. 8 e 13 del decreto legislativo);
– la compressione delle facoltà partecipative (art. 10 del decreto legislativo);
– l’elusione del principio di sussidiarietà verticale, pure sancito dall’art. 118 Cost. (e completamente obliterato dal Capo III del Titolo II del testo che si intende sostituire con il presente schema);
– l’erronea relazione tra VAS e VIA, non in linea con quanto prevede l’art. 11 della direttiva 01/42/CE (come si evince dagli articoli 12, comma 2 e art. 33 del testo da sostituire);
– la mancata previsione, per le opere cosiddette strategiche, dell’obbligo di integrare ed aggiornare la VIA quando il progetto definitivo si discosti in modo sensibile da quello preliminare.
2. Si passa ora all’esame delle singole disposizioni della Parte seconda.
2.1. Art. 4
Nel dichiarare le finalità perseguite nello specifico ambito, si semplificano e si rendono obiettivamente più chiare le formulazioni recate nell’art. 4 del decreto legislativo. Si segnala, in particolare, come sicuro merito lo spostamento del punto focale da una asserita (ma solo parzialmente realizzata) attuazione della disciplina comunitaria, quale si desume dal decreto legislativo vigente, ai contenuti sostanziali ed alle connesse finalità, dando così peculiare pregnanza alla tutela dei valori (protezione dell’ambiente e della vita nella sua totalità, come emerge dalla elencazione sub comma 4, lettera b) derivata dall’elencazione contenuta nell’art. 3 della direttiva 85/337/CEE).
Al comma 2, sembra più logico sostituire le parole “anche in parziale modifica dello stesso”, con le seguenti: “come parzialmente modificato da questo decreto legislativo”, per rendere più evidente l’effetto che si intende conseguire.
Al comma 3, l’espressione “assume l’approccio” va evitata, oltre che per l’ineleganza delle parole usate, per la indeterminatezza del contenuto precettivo. Quest’ultimo può essere meglio precisato così modificando la seconda parte del comma in esame: “Per mezzo della stessa si affronta la determinazione della valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello svolgimento delle attività normative e amministrative, di informazione ambientale, di pianificazione e programmazione”.
Al comma 4, lettera b), secondo periodo, per evitare ripetizioni si consiglia di modificare le parole “A tal fine” con “A questo scopo”.
2.2. Art. 5.
Reca le definizioni che riproducono, con notevoli miglioramenti e con maggiore completezza, quelle contenute nel testo oggi vigente. Si attua una più estesa ed elaborata definizione degli istituti e si modificano due definizioni confuse come quelle contenute nella lettera e) dell’art. 5, comma 1 del decreto legislativo (particolarmente incongruo nel confondere momenti di progettazione diversi) e nella successiva lettera f) (che, nell’attribuire il giudizio sulla rilevanza della modifica sostanziale all’autorità competente, limitava di fatto le possibilità di tutela).
Si consiglia in ogni caso (sia cioè se il nuovo testo congloberà totalmente il precedente, sia se si manterrà come autonomo quest’ultimo decreto legislativo) di inserire tra le definizioni quella di “autorizzazione integrata ambientale: il provvedimento previsto dagli articoli 5 e 7 e seguenti del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59”. Il suggerimento è motivato da due concorrenti ragioni: da un lato, si rende più evidente l’introduzione, come richiesto anche dalla legge delega, di disposizioni anche in materia di IPPC e, dall’altro, si rende più agevole il rapporto con i contenuti del successivo articolo 10.
Sotto altro profilo generale si sottomette alla meditazione dell’Amministrazione riferente se indicare, nel contesto di definizioni, la qualità o gli effetti di un atto o il loro rapporto con l’autorità che lo emette. Si allude, in particolare, alla qualificazione di obbligatorio e vincolante del provvedimento di verifica (sub o) ) e all’intero secondo periodo della successiva lettera p), che potrebbe, forse, essere meglio collocato come precetto nella specifica previsione.
Al comma 1 sub c), si obliteri la parola “di” tra “eventuali” e “malfunzionamenti”, frutto di un evidente errore materiale.
Al comma 1 sub g) ed i), si eliminino le parole “o di interesse pubblico”, non rinvenendosi uno specifico genus al quale riconnettere tale specie di opere, mentre la legislazione si occupa solo delle opere pubbliche. E’ altresì opportuno specificare che, quando il progetto non riguardi un’opera pubblica, il livello informativo e di dettaglio equivalente è riferito a un ambito non coincidente con queste ultime, per le quali è prevista pure l’ostensibilità del piano finanziario. Trattandosi di opere di soggetti privati, è meglio limitare la richiesta di un analogo livello informativo agli aspetti coerenti con le procedure in esame. Si consiglia pertanto di aggiungere dopo “equivalente” “ai fini della valutazione ambientale”.
Al comma 1 sub n), si obliteri “quindi”.
2.3. Art. 6.
Qui confluiscono norme già collocate negli articoli 7 e 25 del decreto legislativo. Ufficio di quei precetti è di determinare l’ambito di applicazione con riferimento sia alla VAS sia alla VIA. Sotto un profilo generale è apprezzabile la decisione di inserire i piani e i programmi per la valutazione e gestione della qualità dell’aria tra quelli oggetto di valutazione ambientale strategica.
Si segnala la necessità di modificare l’indicazione del VI con il IV allegato nell’ambito del comma 2, lettera a) e del comma 3 lettera c), trattandosi di evidente errore materiale (l’allegato VI, infatti, elenca i contenuti necessari del rapporto ambientale e non reca l’elenco di progetti).
Sotto un profilo formale:
– al comma 2, lettera a), l’elencazione va corretta per rendere più chiara la qualità di piani e programmi per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente. Occorre così riformulare: “che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale…”;
– al comma 2, lettera b), si frapponga “d’incidenza” tra “valutazione” e “ai sensi”;
– al comma 3, si consiglia di inserire tra “viene” ed “effettuata” la parola “altresì”;
– al comma 3, lettera c), si sostituisca da “qualora” ad “ambiente” con “qualora, in base alle disposizioni di cui al successivo articolo 12, si ritenga che possano avere impatti significativi sull’ambiente.”;
– al comma 9, secondo periodo, si elimini “sempre” e dopo le parole “ai progetti di cui all’allegato IV” si aggiunga “qualora non ricadenti neppure parzialmente in aree naturali protette.”. Si tratta di emendamento necessario per rendere obbligatorio l’assoggettamento a valutazione dei progetti ricadenti, anche parzialmente, in area protetta;
– il comma 10 va così riscritto: “L’autorità competente in sede statale valuta caso per caso i progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopo di difesa nazionale. Tali progetti sono esclusi dal campo di applicazione del decreto se ciò possa pregiudicare gli scopi della difesa nazionale, come determinati con decreto interministeriale dei ministri della difesa e dell’ambiente e della tutela del mare.”;
– quanto al comma 11, la sua lettura, specie nella prima parte, è affannosa e poco chiara. Si invita a così riformulare il primo periodo: “Sono esclusi in tutto in parte dal campo di applicazione del presente decreto, quando non sia possibile in alcun modo svolgere la valutazione di impatto ambientale, singoli interventi disposti in via d’urgenza, ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, al solo scopo di salvaguardare l’incolumità delle persone e di mettere in sicurezza gli immobili da un pericolo imminente o a seguito di calamità”.
2.4. Art. 7
Compone in modo più ordinato e coerente alle attribuzioni costituzionali il quadro delle competenze in materia VAS e VIA, con l’unica eccezione delle modalità di definizione e adeguamento delle cartografie (comma 7 sub d) e comma 8) per le quali si prospetta una non agevole problematica di corrispondenza alle indicazioni contenute nell’art. 117, comma 2, lettera r) della Costituzione. Non v’è dubbio, infatti, che la cartografia si inserisca, per la sua idoneità alla riproduzione in scala di ambiti territoriali, tra le “misure” che sono riservate dal canone appena citato alla legislazione statale esclusiva. Considerazioni del tutto analoghe valgono per gli strumenti informativi territoriali di supporto e di banche dati, per i quali va egualmente affermata la medesima attribuzione legislativa riservata. Si tratta di prerogativa dello Stato, indispensabile per assicurare la generale conformazione e l’identità di presupposti di fatto in qualsivoglia ipotesi di misurazione, con implicazioni del tutto evidenti in un amplissimo spettro di situazioni che è dovere presidiare e regolare da parte del soggetto titolare delle potestà connesse al mantenimento dell’unità ordinamentale.
E’ opportuno, pertanto, che, per evitare contrasti con il su richiamato precetto costituzionale, sia obliterata la lettera d) del comma 7 e che il comma 8 sia così riscritto:
“Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano informano, ogni dodici mesi, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti di valutazione in corso”.
Al comma 6, si prospetta l’opportunità di obliterare le parole da “a tal fine” fino a “autonome” e di inserire le seguenti: “individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome”. La modificazione si palesa necessaria per evitare qualsiasi forma di discrezionalità nella designazione dell’organo competente, con perplessità che l’espressione contenuta nello schema sembra, anche se involontariamente, ingenerare.
2.5. Art. 8
L’articolo non sembra avere una specifica valenza innovativa e la sua permanenza nell’elaborato risponde principalmente a ragioni di coerenza espositiva. Sono individuati, in quel contesto, gli organi che prestano supporto tecnico scientifico nell’ambito coordinato delle procedure VAS, VIA e di AAI.
Sotto il profilo formale si consiglia:
– al comma 1, di sostituire le parole “di cui al” con “istituita dall’articolo 9 del”;
– al comma 2, di sostituire le parole da “prevista” fino a “2005” con le seguenti: “istruttoria per l’autorizzazione ambientale integrata ora prevista dall’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90”.
2.6. Art. 9
E’ articolo da obliterare senza la necessità di sostituzione. Le norme in esso contenute, infatti, non hanno alcuna forza innovativa rispetto a quanto già previsto dalle leggi generali in materia di procedimento (legge 7 agosto 1990, n. 241) e da quelle sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale (decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195 in attuazione della direttiva 2003/4/CEE). Trattandosi di disciplina generale e cogente, un richiamo ad alcuni punti della stessa non determina affatto una limitazione applicativa agli istituti richiamati e finisce per ingenerare una complessiva perplessità sul ricorso alle norme procedurali generali. Deve aggiungersi che il metodo così seguito ha generato e può ancora generare mende non solo formali, come meglio si potrà constatare nella disamina del successivo articolo 26 dello schema.
2.7. Art. 10
L’articolo in esame è preordinato a dare attuazione alle previsioni di coordinamento e integrazione della disciplina in materia ambientale e di controllo sugli impianti produttivi, desumibili dalle lettere h) ed i) del comma 8 dell’art. 1 della legge delega 15 dicembre 2004, n. 308. Lo strumento individuato per rendere concreto il coordinamento è la tendenza all’unificazione (realizzata nell’ambito della legislazione statale e indicata come metodo di positivo indirizzo per la legislazione regionale ed equiparata) del provvedimento di VIA e di AAI, nel senso che il primo “fa luogo” dell’altra e ne deve contenere tutti i requisiti di sostanza oltre che di forma. Si tratta di metodica logica e coerente, che la Sezione condivide.
Meno condivisibili sono, tuttavia, gli aspetti di redazione del testo, che risulta di impervia lettura e aggravato dalla formulazione “autorizzazione unica ambientale”, che è un neologismo. E’ probabile che la formulazione sia una inedita formulazione del concetto “autorizzazione integrata ambientale”, quale si desume dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, che realizzerebbe, in questo senso, un vero e proprio lapsus calami. I primi due commi vanno, conseguentemente, riscritti sul presupposto che la definizione corretta sia quella di autorizzazione integrata ambientale e che la medesima sia stata acquisita, come sopra consigliato, tra le definizioni elencate nell’art. 5.
Il testo che si consiglia è il seguente:
“1. Il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale fa luogo dell’autorizzazione integrata ambientale per i progetti per i quali la relativa valutazione spetta allo Stato e che ricadono nel campo di applicazione dell’allegato V del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59. Lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono, a tale fine, anche le informazioni previste ai commi 1 e 2 dell’articolo 5 e il provvedimento finale le condizioni e le misure supplementari previste dagli articoli 7 e 8 del medesimo decreto n. 59 del 2005.
2. Le regioni e le province autonome assicurano che, per i progetti per i quali la valutazione d’impatto ambientale sia di loro attribuzione e che ricadano nel campo di applicazione dell’allegato I del decreto legislativo n. 59 del 2005, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale sia coordinata nell’ambito del procedimento di VIA. E’ in ogni caso assicurata l’unicità della consultazione del pubblico per le due procedure. Se l’autorità competente in materia di VIA coincide con quella competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione. In questo caso, lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1 e 2 dell’articolo 5 e il provvedimento finale le condizioni e le misure supplementari previste dagli articoli 7 e 8 del medesimo decreto n. 59 del 2005.”.
Al comma 3, si sostituiscano le parole “deve essere estesa” con “si estende”.
Al comma 5, si sostituiscano le parole “dovranno essere” con “sono”.
2.8. Art. 11
L’articolo in esame scandisce le varie fasi della procedura VAS e, sotto questo riguardo, non presenta difficoltà di sorta. Molto più coerentemente del testo precedente, in proposito particolarmente confuso, i precetti che compongono l’articolo scandiscono il percorso della valutazione ambientale strategica e la sua stretta inerenza con la democrazia ambientale che ne costituisce il sostrato logico.
Al comma 4, si segnala solo una certa tautologia nel secondo periodo così che lo stesso potrebbe essere tranquillamente obliterato.
Al comma 5, ragioni analoghe conducono all’eliminazione della disposizione senza che l’elaborato ne soffra quanto a completezza della disciplina, attesa la sostanziale genericità del precetto ovviamente riconducibile ad istanze di coerenza e razionalità nel procedimento.
Quanto al comma 6, qualche criticità presenta il secondo periodo che prevede la sanzione della nullità per i piani approvati senza la previa VAS. Anzitutto, essendo ovvio che il precetto vale solo per i piani e programmi approvati con atto amministrativo, è consigliabile, ove si intenda mantenerlo, che si inserisca tra “provvedimenti” e “di”, l’aggettivo “amministrativi”.
La previsione della nullità comporta peraltro delicati problemi per i naturali riflessi della stessa sul riparto di giurisdizione. L’articolo 21 – septies, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come aggiunto dall’articolo 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, dispone che “le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”, e ciò sembra prefigurare la cognizione dell’AGO per tutte le questioni non previste nel medesimo capoverso.
Ma il tema della cognizione degli atti nulli è oggetto di dibattito in sede dottrinale e giurisprudenziale in presenza di casi di nullità speciale quale quella in esame (si pensi alle nullità speciali comminate in materia di pubblico impiego). Vi è dunque il rischio che si determinino problemi di difficile soluzione.
Possono essere, in proposito, enunciate tre diverse possibilità:
– che il piano o il programma, ancorché nullo, abbia ricevuto applicazione così che le procedure successive, seppure esposizione di potere amministrativo, potrebbero essere soggette a un regime cognitorio diverso da quello proprio della funzione esercitata o essere comunque condizionate da una valutazione presupposta da parte di diverso ordine giurisdizionale con inevitabili disarmonie di sistema;
– che il piano o il programma sia accompagnato da una VAS annullabile e in concreto annullata così che la giurisdizione, in questo caso, sarebbe esercitata dal giudice amministrativo, determinando una situazione analoga a quella prefigurata nella disposizione in esame, ma sulla base di una pronuncia di apparato diverso da quello che, in linea astratta, potrebbe reclamare la giurisdizione;
– che la cognizione della materia nella quale si iscrive il piano o il programma (attesa la sostanziale trasversalità della materia ambientale, per cui v. Corte cost. n. 222 del 2003) pertenga alla giurisdizione amministrativa esclusiva, come è agevole ritenere per la maggior parte dei casi connessi all’assetto del territorio e alla disciplina di quest’ultimo (art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dalla legge n. 21 luglio 2000, n. 205).
Una interpretazione che intendesse affidare alla cognizione dell’AGO le questioni connesse alla nullità sanzionata nel precetto in esame dovrebbe dunque farsi carico di una serie complessa di limitazioni e di contestuali conferimenti della giurisdizione, in modo addirittura prevalente, alla giurisdizione amministrativa, anche in veste esclusiva.
Si suggerisce, pertanto, di valutare attentamente l’opportunità di aggiungere dopo “nulli.” il seguente periodo: “Le relative controversie sono affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
2.9. Art. 12
Contiene norme procedurali. Si segnalano solo carenze formali.
Al comma 2, primo periodo, sostituire da “ad esse” fino a “parere” con “loro il documento preliminare per acquisirne il parere”.
Al comma 2, secondo periodo, sostituire “deve essere” con “è”.
Al comma 3, si obliteri la parola “provvede” e si sostituisca “a verificare” con “verifica”.
2.10. Art.13.
Al comma 4, il secondo periodo è scritto in stile discorsivo: se ne consiglia una nuova fattura e si rimette all’Amministrazione una redazione accettabile del testo.
Quanto ai commi 5 e 6, si segnala l’uso non corretto del verbo servile dovere.
2.11. Art. 14
La procedimentalizzazione della fase consultiva costituisce un sicuro miglioramento del testo contenuto nel decreto legilsativo e risponde agli indirizzi deducibili anche in sede di attivazione di infrazioni comunitarie.
La Sezione rileva peraltro come la formula “chiunque abbia interesse” contenuta nel comma 3 limiti la partecipazione consultiva al pubblico interessato e si ponga in contrasto con i principi di democrazia ambientale presidiati dal decreto legislativo n. 195 del 2005.
2.12. Art. 15
L’articolo intende individuare il rapporto tra attività tecnico istruttoria per la valutazione ambientale ed emissione del parere motivato.
Nella logica strutturale delle disposizioni si rivela una sostanziale duplicazione tra i commi 1 e 2, che, pur con formali diversità, hanno identica valenza, disponendo entrambi che l’attività tecnico istruttoria sia il risultato della collaborazione tra autorità competente e autorità procedente sulla base di una documentazione integrata da osservazioni, obiezioni e suggerimenti acquisiti anche in esito alla consultazione prevista dal precedente articolo 14.
Si consiglia di eliminare il comma 1 e di trasformare il comma 2 in comma 1, introducendo nella norma mantenuta dopo “procedente,” le parole: “svolge le attività tecnico-istruttorie,”.
2.13. Art. 16 e art. 17
La disposizione contenuta nell’art. 16 si occupa di un aspetto decisorio che supera il momento del parere sulla VAS e riguarda gli effetti di tale consultazione sul provvedimento di adozione o approvazione del piano o del programma. La circostanza che l’atto finale del procedimento relativo al piano o al programma debba tener conto di quel parere e della documentazione acquisita si impone con l’ovvietà degli effetti naturali così che è superfluo ribadirla in una autonoma proposizione giuridica.
Molto probabilmente, la posizione del precetto è funzionale a rendere esplicito e di pubblica conoscenza l’esito del rapporto tra parere motivato e determinazioni in sede di approvazione di piano o programma, così da consentire il controllo democratico delle scelte di fondo in campo ambientale da parte della comunità.
Se tale dovesse essere la primaria finalità, allora sarebbe meglio accorpare gli articoli 16 e 17, così da rendere esplicito il momento informativo.
Sotto il profilo formale si raccomanda di eliminare i verbi servili “venire” e “dovere” usati nel comma 1 dell’art. 16 e di riformulare la disposizione nei termini seguenti: “Il piano o programma ed il rapporto ambientale, insieme con il parere motivato e la documentazione acquisita nell’ambito della consultazione, è trasmesso all’organo competente all’adozione o approvazione del piano o programma. La decisione finale è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della regione o provincia autonoma con l’indicazione della sede ove si possa prendere visione del piano o programma adottato e di tutta la documentazione oggetto dell’istruttoria. Sono inoltre rese pubbliche, anche attraverso la pubblicazione sui siti web delle autorità interessate:
a) il parere motivato espresso dall’autorità competente;
b) una dichiarazione di sintesi in cui si illustra in che modo le considerazioni ambientali sono state integrate nel piano o programma e come si è tenuto conto del rapporto ambientale e degli esiti delle consultazioni, nonché le ragioni per le quali è stato scelto il piano o il programma adottato, alla luce delle alternative possibili che erano state individuate;
c) le misure adottate in merito al monitoraggio di cui all’articolo 18”.
2.14. Art. 18
La disposizione, che intende dare attuazione all’articolo 10 della direttiva 01/42/CE, presenta elementi di correzione rispetto al testo recato nell’articolo 14 del decreto legislativo, che:
– conferisce erroneamente le funzioni di monitoraggio ai soggetti che approvano i piani o i programmi e non già all’autorità competente alla verifica e al parere;
– limita l’informazione al pubblico al mezzo della stampa, escludendo la più capillare informazione dei siti web.
Esso inoltre ribadisce al comma 2 un elemento già presente (il ricorso all’avvalimento delle Agenzie ambientali) nel precedente capoverso come strumento di ordinario controllo in sede di monitoraggio.
Rispetto ai profili qui esaminati, il testo dell’articolo 18 è sicuramente migliorativo.
Residuano, tuttavia, problemi di forma e di precisa coordinazione delle parti del medesimo testo. Nel caso del monitoraggio è opportuno dare prima precise indicazioni normative sui suoi contenuti e finalità e indicare poi i soggetti attraverso i quali questa specie di controllo può essere effettuata.
Il primo comma va così riformulato: “Il monitoraggio assicura il controllo sugli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione dei piani e dei programmi e la verifica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità prefissati, così da individuare tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e da adottare le opportune misure correttive. Il monitoraggio è effettuato avvalendosi del sistema delle Agenzie ambientali.”
Si rammenta l’eliminazione dei verbi servili nel terzo comma.
2.15. Art. 19
La disposizione ha duplice valenza: da un lato, rende chiari ed espliciti i diversi momenti nei quali si articola la procedura (comma 1), assicurando così maggiore evidenza alle singole fasi rispetto alle previsioni del decreto legislativo e, dall’altro, supera l’incongruenza recata nell’articolo 33 del decreto legislativo appena citato, riaffermando l’autonomia delle procedure di VIA e di VAS. Si tratta, pertanto, di precetto con valenza sostanzialmente correttiva della normativa in atto.
2.16. Art. 20
Si occupa della verifica di assoggettabilità che assume un ruolo centrale nella procedura e ne articola la sequenza. Non vi sono, da un punto di vista sostanziale, obiezioni particolari sull’elaborato, che si rivela coerente all’impostazione seguita anche negli aspetti per dir così ripetitivi. In armonia a tale metodica e per eliminare ogni dubbio, si condivide la volontà di ribadire la sottoposizione a VIA delle modifiche sostanziali delle opere già esistenti (come affermata nell’ambito dell’articolo 6 del presente testo e negli allegati di riferimento).
Si rilevano i consueti vulnera formali con particolare riguardo all’uso incoerente dei verbi servili (comma 4; “provvede a verificare” anzi che “verifica”, “possa avere” anzi che “abbia”).
Il comma 5 va così migliorato: “Se il progetto non ha impatti ambientali significativi o non costituisce modifica sostanziale, l’autorità compente dispone l’esclusione dalla procedura di valutazione ambientale e, se del caso, impartisce le necessarie prescrizioni”.
Il comma 6 può essere così emendato: “Se il progetto ha impatti significativi si applicano le disposizioni degli articoli da 21 a 28”.
2.17. Art. 21
Ha l’indubbio merito di stabilire un concreto collegamento tra la progettazione preliminare e quella definitiva, concorrendo così a superare una grave menda del decreto legislativo, che ha in generale anticipato la VIA alla progettazione preliminare, in antitesi a quanto insegna la giurisprudenza comunitaria (sentenza Corte di Giustizia CE 4 maggio 2006 in C- 508/03) sulla base di procedura di infrazione relativa al Regno Unito. E’ bene rammentare che, per omologa questione, pende procedura di infrazione anche nei confronti del nostro Paese (proc. infraz. 2002/5170).
Anche qui si deve peraltro fare qualche rilievo sulla formazione letterale del testo; in particolare:
– al comma 1, è preferibile modificare “di cui occorre fornire” con “della quale è fornita”;
– il comma 2 richiede una rimodulazione che tenga in maggiore conto l’uso di una adeguata punteggiatura e del metodo della elencazione; esso va così riformulato: “2. L’autorità competente apre una fase di consultazione con il proponente e in quella sede:
– si pronuncia sulle condizioni per l’elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale;
– esamina le principali alternative, compresa l’alternativa zero;
– sulla base della documentazione disponibile, verifica, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto, l’esistenza di eventuali elementi di incompatibilità;
– in carenza di tali elementi, indica le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso, senza che ciò pregiudichi la definizione del successivo procedimento.
3. Le informazioni richieste tengono conto della possibilità per il proponente di raccogliere i dati richiesti e delle conoscenze e dei metodi di valutazioni disponibili.”;
– al comma 3 (ora 4), non è prevista alcuna sanzione al superamento dei sessanta giorni della fase di consultazione. Per ovviare a tale lex imperfecta si consiglia di aggiungere dopo giorni “e, allo scadere di tale termine, si passa alla fase successiva”.
2.18. Art. 22
Presenta notevoli miglioramenti rispetto all’art. 27 del decreto legislativo, sia sotto il profilo dei contenuti (sganciati da una logica economicistica, quale poteva emergere dall’applicazione della lettera e) del comma 5 del citato art. 27, con inevitabili riflessi negativi sulla tutela ambientale), sia sotto il riguardo della metodica procedurale (più snella e meno condizionata da determinazioni discrezionali delle varie autorità coinvolte nella procedura), sia, infine, per il collegamento realizzato mediante rinvio, alla disciplina dell’accesso recata nel decreto legislativo n. 195 del 2005.
Richiede peraltro le seguenti correzioni formali:
– al comma 2, modificare “V” con “VII”, che è l’allegato di riferimento dell’articolo 22 in esame;
– al comma 3, superare l’affastellamento di avverbi e verbi servili nel seguente modo: “Lo studio di impatto ambientale contiene almeno le seguenti informazioni:…”;
– al comma 6, vanno così migliorati i primi due periodi: “Per ragioni di tutela del segreto industriale o commerciale, il proponente, prima dell’avvio della fase di valutazione, richiede all’autorità competente di non rendere pubblica parte della documentazione relativa al progetto ed allo studio di impatto ambientale. L’autorità competente si determina sull’istanza previa ponderazione dell’interesse alla tutela del segreto e dell’interesse pubblico all’accesso alle informazioni.” .
2.19. Art. 23
La presentazione dell’istanza è collegata ora con il progetto definitivo e ciò costituisce, come già osservato sub art. 21, una doverosa e coerente correzione delle previsioni recate nel decreto legislativo.
Si raccomanda di estendere il sistema correttivo alle mende formali connesse soprattutto all’uso improprio dei verbi servili.
2.20. Art. 24
Nella disposizione confluiscono e sono meglio ordinate norme contenute negli articoli 28, 29 e 31 del decreto legislativo, rispetto al quale costituisce notevole miglioramento aver assicurato una specifica valutazione delle osservazioni acquisite in sede di consultazione, con metodica non diversa da quella in uso per le procedure di pianificazione urbanistica.
Si richiamano le consuete mende di forma con particolare riferimento all’uso incontrollato dei verbi servili (da eliminare in modo organico) e alle perifrasi non necessarie (“nel caso che” può essere tranquillamente sostituito da un semplice “se” e il verbo rimane all’indicativo).
Al comma 6, tra “avvenga” e “mediante” inserire “anche”.
Al comma 9, dopo “osservazioni” obliterare la virgola e inserire “e”; sostituire “esprime” con “adotta”.
2.21. Art. 25
Detta prescrizioni sulle attività tecnico istruttorie e sui necessari coordinamenti per le VIA. Si tratta di precetti che non propongono problemi di sorta. Si rimette, in ogni caso, al giudizio dell’Amministrazione la possibilità di eliminare il comma 4, che reca disposizione meramente reiterative di precetti già contenuti nella legge n. 241 del 1990.
2.22. Art. 26
L’articolo, che disciplina la fase decisoria di VIA, prevede, tra l’altro, al comma 2, che l’inutile decorso dei termini assegnati per la decisione all’autorità competente implichi l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei ministri. La disposizione, nella sua generalità, si estende a tutti i provvedimenti, siano essi di competenza statale o meno. Si prevede, peraltro, che, in difetto della determinazione governativa, si intenda emesso giudizio negativo sulla compatibilità ambientale del progetto.
Si tratta di precetto sostanzialmente riproduttivo di quanto previsto nel comma 2 dell’articolo 31 del decreto legislativo.
La disposizione presenta delicati profili di conformità non solo al dettato costituzionale, ma anche alla legislazione ordinaria (ambito e natura del potere “sostitutivo” attribuito al Consiglio dei ministri, rapporti con regioni, previsione della odierna figura del silenzio rifiuto – o diniego -), tutti profili attinenti al merito e che non possono essere esaminati in questa sede, poiché, come si è già detto, sul testo originario questo Consiglio non è stato chiamato a pronunciarsi.
Non si può fare a meno, tuttavia, di rilevare che occorrerebbe quantomeno darsi carico dei problemi di coordinamento con la disciplina dettata in altra sede sulla materia.
Si rammenta, infatti, che gli articoli 14-ter e 14-quater della legge n. 241 del 1990 costituiscono disciplina cogente e che gli stessi contengono una serie di disposizioni che confliggono con la previsione in esame. Basta ricorrere alla conferenza di servizi, infatti, per attestare una soluzione doverosa all’eventuale silenzio dell’amministrazione interessata (art. 14-ter, con specifico riferimento al comma 7) e all’eventuale dissenso (sul quale operano le prescrizioni del successivo art. 14-quater).
E’ pertanto necessaria una rielaborazione del testo che tenga conto della richiamata disciplina.
Sul piano meramente formale, appare preferibile collocare il comma 3 dello schema prima del comma 2 e in quest’ultimo richiamare per i termini entrambi i commi che così precedono.
2.23. Art. 27
Reca disposizioni sulle metodiche per dare pubblicità ai contenuti decisori disciplinati dall’articolo precedente. Non si hanno osservazioni.
2.24. Art. 28
Si consiglia di riformulare il comma 1 nei seguenti termini: “Il monitoraggio assicura il controllo sugli impatti significativi sull’ambiente provocati dalle opere approvate, nonché la corrispondenza alle prescrizioni espresse sulla compatibilità ambientale dell’opera così da individuare tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e di adottare le opportune misure correttive. Il monitoraggio è effettuato avvalendosi del sistema delle Agenzie ambientali.”
2.25. Art. 29
I precetti ivi contenuti riguardano l’esercizio dei controlli e la comminatoria delle sanzioni per le violazioni degli obblighi e degli adempimenti imposti in sede di verifica di assoggettabilità e di valutazione di impatto ambientale. Si tratta di disposizioni di grande incidenza operativa e di sicuro presidio per la tutela dei valori ambientali e certo assai migliorative delle scarne prescrizioni contenute nell’articolo 41 del decreto legislativo, che peraltro consegnavano ogni impulso reattivo agli inadempimenti alla Commissione prevista dall’art. 6 di quel testo.
Nel comma 1, si sancisce l’annullabilità per violazione di legge dei provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale. A prescindere dal fatto che la annullabilità, id est l’invalidità degli atti amministrativi, non è più sanzionata in modo esplicito nella legislazione ordinaria da moltissimo tempo e che la declaratoria di impugnabilità era a suo tempo connessa all’intento di identificare la Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato presso la quale radicare il ricorso, è comunque certo che, indipendentemente da tale previsione, gli effetti propri conseguenti all’illegittimità di un provvedimento amministrativo si verificherebbero indipendentemente da qualsivoglia clausola espressa. Molto probabilmente si tratta di refuso o di lapsus calami. Si consiglia di eliminare il secondo periodo per la sua sostanziale superfluità.
Quanto al comma 3, anticipando osservazioni esposte sub il successivo articolo 30, la Sezione è del parere che il precetto vada totalmente obliterato per incompatibilità dell’istituto del deposito cauzionale in subiecta materia. Per l’effetto, nel secondo periodo del comma in esame vanno eliminate le parole da “tramite” a “incapienza,”.
Nei commi 3 e 4, è indicato il medesimo testo legislativo (r.d. 14 aprile 1910, n. 639) con espressioni parzialmente diverse. Si consiglia l’omologazione dei riferimenti.
2.26. Art. 30.
Come preannunciato, l’intera disposizione è sfornita di ogni previsione nella legge delega e non sembra rientrare nel genus degli interventi correttivi, ritenuti ammissibili dalla Sezione. L’istituto non presenta alcuna ragionevole diversità, quanto a funzione di garanzia della corretta esecuzione delle opere autorizzate, rispetto a quanto già previsto da diverse disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (relative alle garanzie da prestare sia in sede di progettazione sia in quella di esecuzione dei lavori: artt. 75, 113, 129). Si rappresenta, pertanto, la concreta possibilità che il medesimo fatto possa ricevere, per diverso motivo, una duplice garanzia di tipo finanziario, con riflessi piuttosto pesanti sui costi per la realizzazione dei progetti che, per i loro riflessi sulla collettività, finiscono per gravare, in definitiva, su quest’ultima. Le prescrizioni in esame, ove determinino una duplicazione nelle garanzie preordinate ad assicurare la conformità dell’intervento, potrebbero determinare l’imposizione di una prestazione patrimoniale non giustificata da idoneo provvedimento legislativo e comunque in contrasto con le previsioni dell’articolo 23 Cost.
Si rileva, peraltro, che nessun cenno utile nel senso dell’introduzione di tale istituto si rinviene nella disciplina comunitaria e che grava sul proponente la corresponsione di somme per l’attivazione del procedimento ex art. 34 commi 1 e 3 dello schema in esame.
Essa va pertanto eliminata.
2.27. Art. 31
Detta norme sulle necessarie intese che debbono intervenire quando l’impatto ambientale coinvolga territori di regioni confinanti. Le norme ivi dettate rispettano peraltro il riparto di attribuzioni tra Stato e regioni e si rivelano, sotto questo profilo, sicuramente migliorative di quanto previsto nell’art. 42 del decreto legislativo.
2.28. Art. 32
L’articolo conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri, su conforme parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il potere di disporre che si applichino, quando siano interessati i territori di più regioni e sussista un conflitto tra le autorità competenti, le procedure previste dal presente decreto per i pani, programmi e progetti di competenza statale.
Si deve ritenere che, da parte dell’Amministrazione riferente, si intende evocare una metodica di chiamata in sussidiarietà verticale alla stregua di quanto sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303/2003. In questo caso, la richiesta di “conforme parere” della Conferenza permanente costituisce adeguata garanzia.
Si segnala, in ogni caso, che il testo in esame è un decreto legislativo e non una legge, come erroneamente affermato nell’ultimo rigo della norma in esame.
2.29. Art. 33
Viene affrontato in modo organico il tema delle consultazioni transfrontaliere, con un testo più articolato, nel quale viene delineata con maggiore incisività la peculiare procedura sul tema dei rapporti tra territori finitimi di diversi Stati. Va parimenti segnalato come indubbio miglioramento il superamento della limitazione agli Stati membri dell’Unione Europea della disciplina transfrontaliera (come previsto nell’articolo 11 del decreto legislativo), tenendo conto della operatività nel nostro ordinamento della Convenzione di Espoo del 25 novembre 1991 sulla valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, ratificata con legge recante ordine di esecuzione del 3 novembre 1994, n. 640 ed entrata in vigore, a seguito del deposito dell’atto di ratifica, dal settembre del 1997.
La Sezione ritiene opportuno segnalare che il problema dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero può riguardare, oltre che l’ambiente, il patrimonio culturale ed il paesaggio. In questa evenienza, occorrerebbe inserire nel contesto delle consultazioni transfrontaliere (comma 1 art. 33) e degli accordi preordinati alla semplificazione delle procedure di attuazione della convenzione di ***** (comma 5 art. 33), anche il Ministero per il beni e le attività culturali.
2.30. Art. 34
Perplessità insorgono per il coordinamento dei commi 3 e 4. Alla stregua del primo dovrebbero transitoriamente rimanere in vigore le previsioni dell’art. 9, commi 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90.
Secondo tali ultime disposizioni, il soggetto committente (id est il proponente, secondo la terminologia usata nello schema) è tenuto a versare all’entrata del bilancio dello Stato una somma pari allo 0,5 per mille del valore delle opere da realizzare, che viene riassegnata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per essere riutilizzata esclusivamente per le spese della Commissione preposta alla valutazione dell’impatto ambientale, come previsto nella medesima disposizione regolamentare. Il comma 7 di quel decreto presidenziale specifica ulteriormente che “la Commissione si avvale delle risorse versate a norma del comma 6, senza oneri a carico del bilancio dello Stato”.
Così stando le cose, appare evidente come la norma regolamentare recata nel d.P.R. n. 90 del 2007 preveda, per il proponente, un costo fisso (lo 0,5 per mille del valore delle opere) sul quale graveranno gli oneri istruttori della Commissione.
Non si spiega allora il versamento a titolo di acconto sulle somme dovute in base alla normativa da emanare.
2.31. Art. 35
La disposizione reca una serie complessa di precetti preordinati alle modifiche delle norme tecniche, al raggiungimento di più elevati standards organizzativi e alla migliore realizzazione dello sviluppo sostenibile in armonia con quanto stabilito nelle disposizioni introdotte con gli articoli 3-bis e seguenti sopra esaminati.
Gli strumenti utilizzati sono tre:
– nuovi regolamenti modificativi ed integrativi delle norme tecniche in materia ambientale;
– determinazioni di tipo strategico a livello sia statale sia regionale e delle province autonome;
– misure preordinate a migliorare gli assetti organizzativi.
La Sezione non ritiene di aver nulla da obiettare sotto i profili qui considerati.
Premessa l’opportunità della partecipazione di soggetti portatori di interessi diffusi nella materia, suscita perplessità, l’intendimento di dare a non meglio definite associazioni economiche, sociali ed ambientali (formula questa che potrebbe adattarsi a quasi tutto l’universo dell’associazionismo italiano) una veste consultiva ufficiale nell’ambito del procedimento di normazione regolamentare e in quello preordinato all’aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile di cui alla delibera del CIPE 2 agosto 2002.
E’ bene, pertanto, che l’Amministrazione individui con maggiore precisione le categorie di portatori di interessi, condizionando la partecipazione ad un minimo di requisiti, fra cui quello della democraticità dell’associazione. L’esistenza di tale garanzia è prevista, come è ben noto, per le associazioni di protezione ambientale di cui all’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (in ragione della democraticità dello statuto come requisito essenziale per il riconoscimento previsto nella medesima disposizione). Ogni estensione del titolo rappresentativo, che non tenga conto di tale requisito, si rivelerebbe disarmonica e di difficile giustificazione sotto il profilo dei principi.
Si suggerisce pertanto di sostituire nel secondo comma le parole “economiche, sociali ed ambientali” con “associazioni ambientali munite di requisiti sostanziali omologhi a quelli previsti dall’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349.”
Va conseguentemente modificato, in parte qua e secondo identica metodologia, anche il comma 3 dell’art. 35 con riferimento al parere delle associazioni economiche, sociali e ambientali.
Sotto un profilo formale:
Al comma 1, viene inspiegabilmente ripetuto nel corpo del primo periodo “con uno o più regolamenti”; la ripetizione va eliminata;
Ai commi 5 e 7, lo stile è eccessivamente discorsivo e la lettura risulta complessivamente affannosa. Si consiglia di semplificare le espressioni ridondanti che caratterizzano il testo in senso enfatico, ma senza eguale valenza dispositiva.
 
D. Articolo 2 dello schema – Modifica alle Parti Terza e Quarta del decreto legislativo
 
1. Le modifiche alle Parti terza e quarta del decreto legislativo avevano già formato oggetto del precedente schema di decreto correttivo, trasmesso a questo Consesso con nota prot. UL/2007/5640 del 21 giugno 2007, e su cui è stato reso il parere della Sezione 9 luglio 2007 n. 2660 del 2007, come già ricordato in premessa.
Il precedente schema, approvato in via definitiva dal Governo dopo i pareri delle Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato, si era parzialmente adeguato a detti pareri.
Lo schema odierno riproduce, pertanto, il precedente, con i parziali adeguamenti ai detti pareri.
2. I commi da 1 a 5 prendono posizione sul delicato dibattito in ordine alla distinzione tra acque reflue e rifiuti liquidi, scarichi diretti e scarichi indiretti. Il testo del decreto legislativo, innovando rispetto al passato, lasciava intendere che anche gli scarichi indiretti fossero soggetti alla disciplina degli scarichi anziché a quella dei rifiuti, e creava il pericolo che rifiuti liquidi (nozione diversa dalle acque reflue), potessero essere immessi negli impianti di smaltimento delle acque reflue. Con i commi da 1 a 5 si ripristina la disciplina anteriore al decreto legislativo, e in particolare si ripristinano le definizioni di rete fognaria, scarico, acque reflue industriali, acque reflue urbane e agglomerato, recate dal d. lgs. 11 maggio 1999 n. 152 e a loro volta conformi alla direttiva CEE 271 del 1991 (art. 2). Ciò ha reso necessario anche intervenire sull’art. 182, mediante soppressione del comma 8, che per taluni rifiuti consente il trattamento negli impianti di depurazione delle acque reflue. Le modifiche rendono pertanto le norme conformi al diritto comunitario (direttiva CEE 271/1991).
Non si hanno pertanto osservazioni da formulare, salvo che sul piano del drafting gli attuali commi 3, 4, e 5 diventano commi 1, 2, e 3, e gli attuali commi 1 e 2 diventano commi 4 e 5, in modo da seguire la sequenza delle definizioni recate dell’art. 74 del codice.
3. I commi 6 e 7 accorpano nell’art. 74, comma 1, lett. oo) previsioni prima contenute sia in tale norma che nell’art. 74, comma 2, lett. qq). Si tratta di operazione di drafting su cui non si hanno osservazioni.
4. I commi 8 e 9 rendono obbligatoria la fissazione di valori limite delle emissioni più restrittivi, in sede di autorizzazione, eliminando la facoltà discrezionale dell’autorità competente all’autorizzazione. Non si hanno osservazioni.
5. Il comma 8-bis modifica l’art. 101, comma 7, lett. b), aggiungendo la parola “anche” per chiarire che la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica delle acque reflue provenienti dall’allevamento imprenditoriale del bestiame (c.d. fertirrigazione), si basa non solo sui criteri e norme tecniche generali di cui all’art. 112, comma 2, bensì “anche” su di essi. Si tratta di disposizione volta a dare maggiore spazio alla competenza regionale, in un settore in cui la competenza legislativa sull’ambiente concorre con quella (spettante alle Regioni) in materia di agricoltura. Lo scopo della norma è anche una maggiore severità in un settore in cui attraverso l’espediente della fertirrigazione, non adeguatamente limitata e regolamentata, si renderebbe possibile lo smaltimento di rifiuti pericolosi da parte della criminalità organizzata. Non si hanno osservazioni.
6. Il comma 10 modifica l’art. 108, comma 5, per chiarire che la riduzione dei valori limite di emissione, in sede di autorizzazione, avviene non solo quando l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta sostanze pericolose riceva acque reflue contenenti sostanze pericolose non sensibili al tipo di trattamento, ma anche nel caso di convogliamento nell’impianto di acque reflue, industriali o urbane, non idonee contenenti sostanze diverse, ma comunque non utili ad una modifica o riduzione delle sostanze pericolose. La modifica è in funzione antielusiva dei tentativi di diluizione delle sostanze pericolose con acque reflue urbane, al fine di conseguire maggiori valori limite, e non dà luogo a critiche.
7. Il comma 11 modifica l’art. 124, comma 2, chiarendo che il conferimento di acque reflue ad un terzo soggetto o ad un consorzio titolare dello scarico finale, deve avvenire “tramite condotta”. La modifica è necessaria per chiarire il confine tra acque reflue e rifiuti, e pertanto rientra nei limiti del potere correttivo e integrativo.
8. Il comma 12 sostituisce l’art. 124, comma 7, da un lato prevedendo un più lungo termine (90 anziché 60 giorni) per il rilascio dell’autorizzazione, e dall’altro eliminando il meccanismo del silenzio – assenso. Le modifiche rendono la disciplina coerente con il sistema vigente, e in particolare con la l. n. 241 del 1990, che, da un lato, all’art. 2 fissa in 90 giorni il termine per provvedere sulle istanze di provvedimento (se i singoli regolamenti non dispongono diversamente) e che, dall’altro lato, all’art. 20, esclude il meccanismo del silenzio – assenso, tra l’altro, proprio in materia ambientale. Le correzioni apportate meritano pertanto apprezzamento favorevole.
9. Il comma 12-bis modifica l’art. 127, comma 1, aggiungendo, dopo le parole “ove applicabile” le parole “e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”. La norma meglio chiarisce le condizioni in presenza delle quali i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, e non dà luogo a rilievi.
10. Il comma 13 modifica l’art. 147, comma 2, lett. b) e l’art. 150, comma 1, sostituendo le parole “unicità della gestione” con le parole “unitarietà della gestione”. Lo scopo è, nell’ambito del servizio idrico integrato e del servizio relativo ai rifiuti, quello di una gestione con criteri unitari, ma non necessariamente con un unico gestore nell’ambito di ciascun bacino. Nella relazione si legge che la modifica si adegua ad una richiesta della VIII Commissione della Camera.
La Sezione si riporta alle osservazioni critiche già espresse nel proprio precedente parere n. 2660 del 2007: rileva che la modifica comporta un significativo cambiamento della scelta effettuata dal decreto legislativo, atteso che un conto è l’unicità di gestore, un conto è la pluralità di gestori ancorché secondo criteri unitari. Invero, attraverso la pluralità di gestori per ciascun ambito, si corre il rischio di un sostanziale ritorno al sistema precedente, e dunque ad un numero di gestori potenzialmente pari al numero di Comuni che fanno parte dell’a.t.o.
La modifica esula, pertanto dai limiti del potere correttivo e integrativo, perché non risulta giustificata da una esigenza pratica specifica; e, invero, il testo attuale del decreto legislativo consente già temperamenti al sistema del gestore unico, come si evince dall’art. 200. Quest’ultimo, da un lato impone la definizione dell’ambito territoriale ottimale secondo una pluralità di criteri e parametri, sicché l’a.t.o. non ha carattere rigido ma flessibile e adeguabile alle realtà locali (commi 1 e 2), e, dall’altro lato consente una pluralità di a.t.o. nell’ambito di un medesimo Comune ove di dimensioni maggiori di quelle medie di un singolo ambito (comma 5), e l’adozione, da parte delle Regioni, di modelli alternativi o derogatori dell’****** (comma 7).
11. Il comma 14 reca, formalmente, una norma autonoma, che non si inserisce in alcun articolo del decreto legislativo. Un confronto con il precedente schema rende evidente che si è inteso incidere sull’art. 148, comma 5, che contempla una residua ipotesi di facoltatività dell’adesione al sistema idrico integrato per i Comuni con popolazione fino a 1000 abitanti. Il precedente schema aboliva tout court l’ipotesi residua, il nuovo schema la mantiene ma limitandosi a porre la condizione della gestione dell’intero servizio idrico, previo consenso della competente Autorità d’ambito, senza precisare la forma organizzativa, come il precedente art. 148, comma 5. Non si hanno rilievi sostanziali, ma sul piano formale occorre chiarire, nel comma 14, che si intende sostituire l’art. 148, comma 5, del decreto legislativo. Diversamente, il comma 14 rimarrebbe norma extravagante al di fuori del testo unico.
12. Il comma 15 sostituisce radicalmente l’art. 161, mentre il comma 29-bis inserisce nel codice l’art. 206-bis, relativo all’Osservatorio nazionale dei rifiuti. In luogo dell’Osservatorio sulle risorse idriche e sui rifiuti (previsto nell’art. 161 vigente), e in concomitanza con la avvenuta abolizione, ad opera del primo decreto correttivo, dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, si ripristinano il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e l’Osservatorio nazionale sui rifiuti. Tuttavia il primo decreto correttivo, pur richiamando espressamente in vita tali due organismi, non faceva rivivere le precedenti discipline che li contemplavano, abrogate espressamente dal decreto legislativo, creando così un vuoto normativo. Tale vuoto normativo era poi stato colmato dagli artt. 6 e 7 del regolamento del Ministero dell’ambiente di riordino degli organismi ai sensi dell’art. 29, d.l. Bersani n. 223 del 2006, approvato in via definitiva dal Governo ma non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale al momento della redazione del presente parere. Il secondo correttivo non opera pertanto una nuova e autonoma scelta politica e dunque si mantiene nei limiti del potere correttivo. Lo schema risulta adeguato alle osservazioni effettuate da questo Consesso nel precedente parere n. 2660 del 2007, che aveva chiesto di coordinare le nuove norme primarie con quelle recate dal d.P.R. 14 maggio 2007 n. 90, recante riordino di organismi in attuazione dell’art. 29, d.l. Bersani. Non si hanno pertanto rilievi.
13. Il comma 16 inserisce nell’art. 177, norma con cui si apre la disciplina dei rifiuti, un comma 2-bis, che facoltizza il Ministro dell’ambiente ad avvalersi del supporto tecnico dell’APAT.
Nella relazione si esplicita che tale avvalimento avviene con invarianza di spesa, ma tale invarianza di spesa non è esplicitata nella norma. Va invece aggiunta la clausola “senza nuovi o maggiori oneri né compensi o indennizzi per i componenti dell’APAT”. Inoltre sul piano del drafting l’organismo va indicato con il nome per esteso e non con la sola sigla.
14. Il comma 16-bis novella l’art. 178, comma 1, inserendovi, alla fine, le parole “nonché al fine di preservare le risorse naturali”. La norma meglio precisa le finalità della gestione dei rifiuti, e non dà luogo a rilievi.
15. Il comma 17 sostituisce l’art. 179, comma 2, in modo identico al primo schema poi decaduto. Nella relazione originaria si leggeva che si tratta di modifiche meramente formali. La Sezione nel precedente parere n. 2660 del 2007 aveva obiettato che si tratta invece di modifiche sostanziali, in quanto la norma ora vigente sancisce che, ferme le iniziative prioritarie del comma 1, per prevenire e ridurre la produzione e nocività dei rifiuti, le amministrazioni adottano misure volte al recupero dei rifiuti ovvero all’uso di essi come fonte di energia. Sicché il recupero dei rifiuti e il loro uso come fonti di energia vengono dalla norma vigente posti sullo stesso piano. Invece la nuova norma stabilisce che le misure di recupero sono prioritarie rispetto a quelle finalizzate all’uso dei rifiuti come fonti di energia.
Nella nuova relazione, la norma viene giustificata da esigenze di legalità comunitaria: la giustificazione rimane generica e va pertanto chiarita con esatta indicazione delle norme comunitarie a cui si intende adeguarsi. Altrimenti, va espunta.
Ove la norma venisse mantenuta, sul piano del drafting si deve comunque osservare che l’incipit del comma “in secondo luogo” non è consono ad una norma giuridica, e che è preferibile l’attuale formulazione “nel rispetto delle misure prioritarie di cui al comma 1”.
16. Il comma 18 sostituisce l’art. 181, al fine di una più puntuale attuazione della direttiva 2006/12/CE. Il testo attuale, infatti, attraverso il meccanismo dell’adesione all’accordo di programma, consente la sottrazione al regime autorizzatorio di attività che sono vero e proprio recupero di rifiuti, laddove la direttiva citata consente una ben più limitata deroga (v. artt. 10 e 11 della citata direttiva). La Commissione europea ha chiarito che gli accordi ambientali devono fornire un valore aggiunto alla tutela ambientale e non essere mezzo per aggirare le prescrizioni imposte agli operatori.
La Sezione rileva che il nuovo art. 181 è molto più snello del precedente (3 commi in luogo degli attuali 14).
La nuova scelta di non prevedere semplificazioni di adempimenti amministrativi e esoneri dall’autorizzazione, nonché incentivi finanziari a favore delle imprese che aderiscono a contratti e accordi quadro, è coerente con la direttiva 2006/12/CE, e pertanto non esula dai limiti del potere correttivo. E, invero, l’art. 11, direttiva 2006/12/CE, condiziona l’esonero dall’autorizzazione al rispetto di determinate e puntuali condizioni sostanziali, e non alla pura e semplice circostanza dell’adesione ad un accordo o contratto di programma.
17. Il comma 18-bis inserisce nel codice l’art. 181-bis, recante la definizione di materie, sostanze e prodotti secondari. La norma risulta introdotta in adeguamento ai rilievi critici formulati nel precedente parere della Sezione e in quelli delle Camere. Infatti la precedente versione dello schema aveva soppresso la definizione di materie e prodotti secondari, e aveva previsto che tali categorie fossero individuate in un futuro d.m., senza precisarne criteri e termini, e senza dettare un regime transitorio. Il nuovo testo indica i criteri a cui dovrà attenersi il futuro d.m.; il termine di sua adozione e le procedure sostitutive in caso di mancata tempestiva adozione; il regime transitorio. Non si hanno pertanto rilievi.
18. Il comma 19 abroga i commi 6 e 8 dell’art. 182 e sostituisce l’art. 107, comma 3. Dell’abrogazione del comma 8 si è già detto in relazione all’esame dei commi da 1 a 5 dello schema. L’attuale comma 6 dispone che lo smaltimento dei rifiuti in fognatura è disciplinato dall’art. 107, comma 3, norma che a sua volta, nella versione originaria consentiva deroghe allo smaltimento di rifiuti in fognatura, mentre, con l’attuale novella, pone un secco e assoluto divieto di smaltimento dei rifiuti in fognatura, che è giustificata dalla puntuale osservanza della direttiva comunitaria sullo smaltimento delle acque reflue urbane.
19. Il comma 20 sostituisce l’art. 183, che reca le definizioni rilevanti, al fine di adeguare l’ordinamento italiano al diritto comunitario. Pendono infatti procedure di infrazione nei confronti dell’Italia a causa della nozione di rifiuto adottata, più restrittiva di quella comunitaria.
La Sezione osserva, anzitutto, che nell’ambito della parte IV del codice, dedicata ai rifiuti, le definizioni trovano collocazione solo nell’art. 183, cioè nel settimo articolo della parte IV.
Sarebbe invece opportuno, per maggiore chiarezza e comprensione, che le definizioni occupassero il primo o al più il secondo articolo della parte IV, in armonia, del resto, con le altre parti del decreto legislativo, dove le definizioni occupano, di regola, il secondo o al più il terzo articolo di ciascuna parte. A tale risultato si può pervenire abrogando l’attuale art. 183 e facendo precedere l’art 177 da un art. 176-bis che reca le definizioni, ovvero facendolo seguire da un art. 177-bis.
Nella lett. f), in tema di raccolta differenziata, si prescrive anche la raccolta separata della frazione organica umida o con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti biodegradabili certificati.
Nelle lett. g) ed h) vengono modificate le definizioni di “smaltimento” e “recupero” per renderle conformi al diritto comunitario (Corte giust. CE, 11 novembre 2004, n. 457/2002, *******). La modifica merita condivisione.
Nella lett. m) relativa al “deposito temporaneo”, vengono dettati criteri più severi in ordine al periodo temporale massimo di stoccaggio temporaneo, che è coerente con le esigenze di protezione ambientale e con il diritto comunitario (Corte giust., CE 5 ottobre 1999, nn. 175 e 177/1998, ******* e *******).
La disposizione risulta adeguata ai rilievi critici espressi nel precedente parere della Sezione, e della Camera, in ordine alla necessità di mantenere la scelta del produttore di rifiuti tra le due modalità alternative di smaltimento (trimestrale, ovvero al raggiungimento di un determinato quantitativo).
Non è tuttavia condivisibile il nuovo punto 5) della lett. m), secondo cui per alcune categorie di rifiuto, individuate con d.m., sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo. La norma, infatti, in assenza di criteri, costituisce una regola in bianco, che potenzialmente consente al d.m. di vanificare le regole in ordine alla facoltà di scelta del produttore tra lo smaltimento trimestrale e quello al raggiungimento di determinati quantitativi. Pertanto vanno stabiliti i criteri a cui dovrà attenersi il d.m. sia quanto alla individuazione delle “categorie di rifiuti” sia quanto alle modalità di gestione del deposito.
La lett. p) definisce il sottoprodotto in termini parzialmente difformi dall’attuale lett. n), allo scopo di rendere il diritto italiano conforme alle direttive comunitarie (v. Corte giust. CE, 18 aprile 2002 n. 9/2000, ***************; Corte giust. CE, sez. V, 19 giugno 2003 n. 444/2000, The Queen comma Environment Agency). Il precedente schema eliminava del tutto la definizione di sottoprodotto sottratto alla disciplina dei rifiuti, e aveva dato luogo a rilievi critici della Sezione e della Camera, che avevano chiesto che ne fosse data una definizione, ancorché in termini restrittivi e rigorosi, apparendo un aggravio eccessivo la sottoposizione di qualsivoglia sottoprodotto al regime dei rifiuti. Lo schema risulta adeguato ai rilievi degli organi consultivi.
Viene soppressa l’attuale lett. v) che reca la definizione di gestore del servizio. Più che una definizione, era una vera e propria disciplina, già contenuta nell’art. 212, per cui si giustifica la sua espunzione da un articolo di definizioni.
Nella definizione degli scarichi idrici (ex lett. aa), attuale lett. u), si specifica che si tratta di immissione “diretta” in coerenza con le innovazioni in materia di scarichi di acque reflue, recate dai commi da 1 a 5 dello schema.
Viene data, alla lett. cc), la definizione di centro di raccolta, demandandone la disciplina ad un d.m. Non sono fissati i criteri a cui deve attenersi il d.m., che sono invece necessari, anche ove si consideri che il centro di raccolta deve avvenire, per legge, “senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica” e che pertanto il d.m. potrebbe in astratto contemplare oneri ulteriori a carico dei cittadini, che non possono essere stabiliti con d.m. in assenza di base legale.
20. Il comma 21 modifica l’art. 184, introducendovi un comma 5-bis finalizzato ad estendere la disciplina dei rifiuti, sia pure con peculiarità e procedure speciali, ai rifiuti dei sistemi d’arma derivanti da mezzi, materiali e infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare.
La Sezione osserva che viene fissato il termine del 30 giugno 2008 per l’adozione del regolamento attuativo. Non essendo prevedibili i tempi di adozione definitiva del presente schema, allo scopo di lasciare un adeguato spatium deliberandi per l’adozione del regolamento, le parole “entro il 30 giugno 2008” vanno sostituite con le parole “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente previsione”.
21. Il comma 21-bis detta modifiche all’art. 184, comma 3, in tema di rifiuti speciali.
Con la modifica alla lett. b), mediante l’eliminazione della parola “pericolosi” si fanno rientrare tra i rifiuti speciali tutti quelli derivanti da attività di scavo, e non solo i rifiuti pericolosi da scavo. La relazione non fornisce giustificazioni della modifica, che è di carattere sostanziale e di rilevante impatto.
Si esprime pertanto parere negativo.
La modifica alla lett. c) è meramente formale e di coordinamento con le modifiche al successivo art. 185, su cui non ci sono rilievi. Viene infine soppressa la lett. n) che ascriveva ai rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani. Non si hanno rilievi da formulare.
22. Il comma 22, novella l’art. 185, eliminando la sottrazione alla disciplina dei rifiuti di svariate ipotesi.
Anzitutto, anche per molte sostanze che non sono considerate rifiuto, si specifica che non sono rifiuto solo se contemplate da altra normativa: così per i rifiuti radioattivi, le carogne e rifiuti agricoli, materie fecali e vegetali, esplosivi in disuso, acque di scarico, i rifiuti derivanti da attività estrattiva e di cava.
Per le acque di scarico in coerenza con le modifiche recate dai commi da 1 a 5 si fa riferimento agli scarichi diretti.
Scompare l’esclusione dal campo di applicazione della disciplina per il coke da petrolio, il materiale litoide estratto da corsi d’acqua a seguito di manutenzione disposta dall’autorità.
Scompare la sottrazione al regime dei rifiuti dei sistemi d’arma, mezzi e materiali e infrastrutture destinati alla difesa militare, per i quali però viene introdotto un regime speciale, come visto, mediante novella all’art. 184, e di altri materiali militari.
La Sezione non ha osservazioni da formulare.
23. Il comma 23 sostituisce l’art. 186, in materia di terre e rocce da scavo, per porre fine alla procedura di infrazione comunitaria n. 2002 del 2077. Trattandosi di adeguamento comunitario dovuto, la Sezione ritiene correttamente esercitato il potere correttivo.
Il testo risulta adeguato inoltre ai rilievi formulati nel precedente parere della Sezione, in ordine alla fissazione di un limite temporale massimo per il riutilizzo di terreni e rocce da scavo – mediante una previsione generale e la possibilità di deroghe specifiche e motivate adeguate alle peculiarità delle situazioni concrete -, decorso il quale tale materiale va considerato rifiuto.
Nel comma 6 è fissato il termine del 30 giugno 2008 per l’adozione di un d.m. per il campionamento e l’analisi di terre e rocce da scavo. E’ preferibile fissare il termine di “sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione”.
Il comma 7 prevede un regime transitorio per i progetti di utilizzo già autorizzati e in corso di realizzazione alla data del “31 ottobre 2007”. Dato che il decreto correttivo entrerà in vigore dopo tale data (già scaduta al momento odierno), tale previsione dà portata retroattiva alla nuova disciplina. La retroattività, incidendo su attività di impresa, dovrebbe essere eccezionale e adeguatamente giustificata. Nella relazione non vi sono giustificazioni.
Pertanto sulla norma si esprime parere negativo: le parole “prima del 31 ottobre 2007” vanno sostituite con le parole “prima dell’entrata in vigore della presente disposizione”.
24. Il comma 24 sostituisce l’art. 189, comma 3 e vi inserisce un comma 3-bis. Le modifiche da un lato ampliano il novero dei soggetti obbligati alle comunicazioni al catasto dei rifiuti, dall’altro lo restringono esonerando le imprese di dimensioni minori. Si tratta di modifiche di coordinamento che non danno luogo a rilievi.
25. Il comma 24-bis modifica l’art. 190, comma 6, al fine di semplificare la procedura di numerazione e vidimazione dei registri di carico e scarico. La modifica merita apprezzamento favorevole.
26. Il comma 25 modifica l’art. 193, comma 6 e comma 8. E’ venuto meno l’esonero dall’applicazione del formulario di identificazione per i fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura. La modifica elimina una esenzione di difficile giustificazione pratica, attese le caratteristiche dei fanghi di depurazione e la loro potenziale nocività, che ne impone un rigido controllo ai sensi del d. lgs. 27 gennaio 1992, n. 99, di recepimento di direttiva comunitaria.
27. Il comma 26 abroga una parte dell’art. 195, comma 2, lett. e), in ordine alle competenze statali a fissare i criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento. Si trattava di norme di dettaglio, giustamente ritenute invasive della competenza delle Regioni e dei Comuni: la disposizione costituisce puntuale esercizio del potere legislativo delegato. Nello stesso comma, poi, viene inserita una nuova lett. s-bis) e dunque una nuova competenza dello Stato, quanto a individuazione e disciplina di semplificazioni in materia di adempimenti amministrativi per la raccolta e lo smaltimento di specifiche tipologie di rifiuti, destinati al recupero e conferiti direttamente dagli utenti finali dei beni che originano i rifiuti ai produttori o distributori dei beni stessi o ad impianti autorizzati alle operazioni di recupero. La finalità perseguita giustifica la modifica.
28. Il comma 27 novella l’art. 197, comma 1, prevedendo, in relazione alle competenze delle Province in materia di rifiuti, oltre a quelle puntuali già elencate nel testo vigente, una competenza generale di programmazione e organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, da esercitarsi a risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
La disposizione era già contenuta nel precedente schema di correttivo ed era stata oggetto di rilievi da parte della Sezione: si tratta infatti di innovazioni sostanziali che non trovano giustificazione né in esigenze di legalità comunitaria né in ragioni tecniche, e che quindi esulano dai limiti del correttivo.
Ma vi è di più. La modifica contrasta con basilari principi di buona amministrazione:
– per l’inutile moltiplicazione di competenze – nociva per gli operatori e la collettività – che si sovrappongono ai compiti attribuiti alle Regioni (art. 196), e, quanto alla organizzazione, ai compiti attribuiti agli a.t.o. (art. 200 e ss.);
– per gli oneri aggiuntivi per la finanza pubblica che ne derivano (lo schema di decreto correttivo ha previsto il ripristino del tributo ambientale in favore delle Province – v. comma 44 dello schema -, che il codice aveva soppresso).
I rilievi critici espressi nel precedente parere vanno ribaditi in questa sede, tanto più alla luce del disegno in atto di riduzione dei costi della politica.
Si esprime, pertanto, parere negativo.
29. Il comma 28 novella l’art. 202, comma 1, sostituendo le parole “gara disciplinata” con le parole “procedure disciplinate”, e eliminando il riferimento al comma 7 dell’art. 113, t.u. n. 267 del 2000, lasciando così solo il rinvio all’art. 113 citato. Si intende con ciò fare riferimento a tutte le procedure del citato art. 113, non solo alle gare.
La modifica, mediante il rinvio generalizzato all’art. 113, consente anche, in luogo della gara, l’utilizzo del sistema in house che invece il decreto legislativo aveva inteso, in questo settore, eliminare.
Essa, pertanto, è di carattere sostanziale ed esula, come tale, dai limiti del potere correttivo. Va aggiunto che il ripristino del sistema in house non è in linea con il diritto comunitario, secondo cui laddove vi è un mercato contendibile in cui gli operatori privati sono in grado di assicurare il servizio pubblico, la riserva del servizio pubblico all’amministrazione (mediante gestione diretta, o società in house) non è giustificabile. Il sistema in house deve essere pertanto considerato eccezionale, consentito laddove vi sono oggettive esigenze di svolgimento di un servizio pubblico in regime di privativa. E, invero, l’art. 16 del Trattato consente che gli Stati membri perseguano, attraverso la rete di servizi di interesse economico generale, le finalità di coesione sociale e territoriale che costituiscono una preminente finalità della Comunità; l’art. 86 del Trattato vuole che i servizi di interesse generale siano sottoposti per regola alla concorrenza, e laddove gli Stati membri stabiliscano discipline derogatorie rispetto alle regole di concorrenza, tali discipline devono essere giustificate dal principio di proporzionalità ed adeguatezza.
Non sono ammissibili deroghe alla concorrenza che non siano necessarie al perseguimento della missione di carattere generale affidata al gestore del servizio.
La relazione, invece, nulla dice sulle ragioni oggettive ed eccezionali che rendono ancora attuale l’in house.
30. Il comma 28-bis sopprime il comma 2 dell’art. 205, relativo alla frazione organica umida. La modifica è coerente con quella apportata all’art. 183, comma 1, lett. f).
31. Il comma 29 sostituisce l’art. 206, che disciplina gli accordi, contratti di programma e incentivi. Secondo la relazione, le modifiche mirano ad una migliore definizione della corretta portata operativa di tali strumenti negoziali.
Le modifiche consistono nella eliminazione del concerto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle politiche agricole e forestali in ordine alla stipulazione dei contratti e accordi di programma, mediante novella del comma 2, primo periodo, e soppressione del comma 3.
La relazione non chiarisce adeguatamente, ad avviso della Sezione, le ragioni di tali modifiche, sicché la Sezione non è in grado di valutare il corretto esercizio del potere normativo delegato.
32. Il comma 29-bis introduce l’art. 206-bis, ed è stato già esaminato insieme al comma 15.
33. I commi 30 e 31 recano numerose modifiche all’art. 212.
Si incide sulla composizione delle sezioni regionali e provinciali dell’Albo nazionale dei gestori ambientali in senso semplificativo, mediante eliminazione dei quattro esperti designati dalle associazioni imprenditoriali e sindacati (soppressione delle lettere e) ed f) dell’art. 212, comma 3). In secondo luogo, nel comma 5 sono soppresse le parole “prodotti da terzi” e viene circoscritto l’esonero dall’obbligo di iscrizione all’Albo. Il comma 8 viene novellato a scopo di semplificare gli adempimenti di imprese esonerate dall’obbligo di iscrizione all’Albo.
Tuttavia si sopprime l’iscrizione automatica all’albo nazionale dei gestori ambientali per le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti propri pericolosi o rifiuti propri pericolosi in quantità ridotte. Si tratta di necessario adeguamento a sentenza della Corte Giust. CE 9 giugno 2005 n. 270 del 2003, Commissione contro Italia, che ha ritenuto non conforme al diritto comunitario tale disciplina. Le modifiche costituiscono doveroso adeguamento a tale sentenza, mentre la disciplina attuale dei commi 5 e 8 dell’art. 212 appare elusiva della sentenza medesima.
Vengono poi abrogati i commi 12, 22, 24 e 25 dell’art. 212, che stabilivano regimi differenziati, quanto all’iscrizione all’Albo dei gestori ambientali, privi di giustificazione. Il comma 12 prevede una sezione speciale per le imprese europee ed extraeuropee relativamente ai rottami ferrosi, e l’abrogazione è coerente con la modifica dell’art. 183, che ha espunto le materie prime secondarie costituite da rottami ferrosi; il comma 22 prevede un regime di iscrizione automatico per le imprese firmatarie di contratti e accordi di programma, e introduce un privilegio che non trova giustificazione nella stipula degli accordi medesimi; il comma 24 riguarda le imprese che effettuano attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi nel luogo di produzione e che sono iscritte in un apposito registro, introducendo un regime differenziato che, non ha giustificazione; il comma 25 prevede un regime agevolativo per le imprese che svolgono attività di recupero dei rifiuti, che del pari non trova giustificazione.
Nel comma 5 dell’art. 212 viene previsto che per le aziende, consorzi e società di servizi pubblici di cui al t.u. enti locali, l’iscrizione all’Albo avviene con modalità semplificate. La modifica è coerente con la natura pubblicistica di tali enti.
Viene novellato il comma 14, per chiarire meglio il regime transitorio relativo all’iscrizione all’albo in attesa dell’emanazione dei previsti regolamenti attuativi.
Nel comma 18, che riguarda iscrizione semplificata all’albo, vengono sottratte a tale sistema le imprese che trasportano i rifiuti indicati nella lista verde del reg. CEE n. 259 del 93, eliminandosi così una differenziazione non giustificata.
34. I commi da 32 a 39 recano anzitutto modifiche agli artt. 214, 215, e 216, per restituire alle Province le competenze in materia di autosmaltimento e operazioni di recupero, come sollecitato dal parere della Conferenza unificata.
Tali modifiche mirano, analogamente a quelle relative all’art. 197 del codice, ad ampliare le competenze delle Province, e, come già esposto in relazione alla proposta novella all’art. 197 del codice, determinano una inutile moltiplicazione e sovrapposizione di competenze e di costi, e non trovano adeguata giustificazione tecnica nella relazione, sicché esulano dai limiti del potere correttivo e integrativo.
Si esprime pertanto parere negativo.
In secondo luogo non è chiara la ragione per cui il comma 36 abroga i commi 9 e 10 dell’art. 216, che dettano disposizioni ispirate a semplificazione burocratica, e la cui eliminazione, pertanto, avendo carattere sostanziale e comportando un aggravio di oneri per le imprese, deve essere adeguatamente giustificata. La relazione nulla dice sul punto.
35. I commi 40 e 41 recano modifiche all’art. 229.
Innanzitutto viene novellato l’art. 229, mediante introduzione, accanto alla nozione del CDR, del CDR-Q, in coerenza con le nuove definizioni recate dall’art. 183.
Vengono poi abrogati l’ultimo periodo del comma 4, nonché i commi 2, 5 e 6. Lo scopo è di eliminare il regime agevolativo introdotto dal decreto legilsativo per il CDR-Q, che a determinate condizioni veniva sottratto alla disciplina dei rifiuti. Si tratta di modifiche coerenti con la disciplina comunitaria dei rifiuti. Invero, secondo la Corte di giustizia, in presenza di combustibili da rifiuto, la effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva va accertata caso per caso alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l’efficacia (Corte giust. CE, 15 giugno 2000, n. 418 del 1997, 419 del 1997, Arco Chemie Nederland ltd., seguita da Corte giust. CE, sez. III, ord., 15 gennaio 2004, n. 235 del 2002), sicché non si può escludere a priori ed ex ante dalla nozione di rifiuto il CDR, ancorché di qualità elevata (c.d. CDR-Q).
36. Il comma 42 novella l’art. 235, comma 17, portando a dodici mesi il termine ivi previsto in 180 giorni per l’adeguamento dello statuto del Consorzio di cui all’art. 9-quinquies, d.l. n. 397 del 1988 (consorzio nazionale per la raccolta ed il trattamento delle batterie del piombo esauste e dei rifiuti piombosi). Si tratterebbe dell’unico Consorzio tagliato fuori dalle proroghe di termini previste dal primo decreto correttivo.
La Sezione raccomanda che non vi siano ulteriori proroghe.
37. Il comma 42-bis modifica l’art. 258, comma 5, sostituendovi le parole “comma 43” con “comma 4”. Si tratta di correzione di un refuso materiale.
38. Il comma 42-ter sopprime all’allegato C della parte IV del decreto legilsativo, la voce R14, relativa alla nozione di deposito temporaneo, che è stato compiutamente disciplinato dal correttivo nell’ambito del codice.
39. Il comma 43 reca modifiche all’allegato 1 al titolo V della parte IV del decreto legislativo. Tale allegato reca i criteri generali per l’analisi di rischio sanitario ambientale sito – specifica. Nello schema precedente tale allegato era stato integralmente soppresso, e la Sezione aveva chiesto di indicarne le ragioni.
La nuova relazione illustrativa afferma di aver inteso modificare la disciplina dei criteri per l’analisi di rischio. Si tratta di disposizioni tecniche di cui la Sezione, in difetto di chiarimenti nella relazione illustrativa, può solo limitarsi a prendere atto.
40. Il comma 43-bis modifica l’art. 242, comma 4, stabilendo che i criteri per l’applicazione della procedura di analisi di rischio saranno stabiliti con un futuro d.m. e che solo in via transitoria continua ad operare l’allegato *************** non chiarisce le ragioni per cui si ritiene preferibile affidare alla fonte secondaria anziché a quella primaria la fissazione dei criteri in questione, sicché allo stato l’innovazione appare sostanziale e priva di giustificazione.
41. Il comma 43-ter inserisce nel codice un nuovo art. 252-bis, relativo ai siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, contaminati da eventi anteriori al 30 aprile 2006. La norma è stata introdotta in adeguamento ai pareri di Conferenza Unificata e Senato, che chiedevano la introduzione di una norma relativa ai siti contaminati prima dell’entrata in vigore del codice, per la bonifica secondo la previgente disciplina.
42. Il comma 44 modifica l’art. 264, sopprimendo il comma 1, lett. n), e dettando un regime transitorio.
In particolare, l’art. 264, comma 1, lett. n) abroga l’art. 19, d. lgs. 30 dicembre 1992 n. 504. La soppressione di tale norma comporta la reviviscenza della norma abrogata. L’art. 19, d.lgs. n. 504 del 1992 contempla un tributo annuale in favore delle province, denominato tributo per l’esercizio delle funzioni di protezione, tutela e igiene dell’ambiente, e dovuto “a fronte dell’esercizio delle funzioni amministrative di interesse provinciale, riguardanti l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, il rilevamento, la disciplina ed il controllo degli scarichi e delle emissioni e la tutela, difesa e valorizzazione del suolo”, da parte degli stessi soggetti che, sulla base delle disposizioni vigenti, sono tenuti al pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
La Sezione si riporta alla posizione negativa espressa in ordine al ripristino di alcune funzioni delle Province, al comma 27 e ai commi da 32 a 39. Coerentemente, se non vanno ripristinate competenze, nemmeno va ripristinato il tributo necessario a coprirne il costo.
43. Il comma 45 novella l’art. 265, comma 1, per correggere un refuso.
44. Il comma 45-bis modifica l’art. 266, comma 7, precisando che la disciplina regolamentare attuativa deve comunque rispettare le vigenti disposizioni comunitarie.
45. Il comma 46 abroga i commi 25, 26, 27, 28 e 29 dell’art. 1, l. 15 dicembre 2004 n. 308.
Vengono pertanto abrogati alcuni commi della legge delega, che contengono una nozione di rifiuto contrastante con il diritto comunitario, come contestato all’Italia dalla Commissione europea.
In linea di principio, non può ammettersi che il legislatore delegato abroghi i criteri direttivi contenuti nella legge delega. Tuttavia tale principio incontra un temperamento se vengono abrogate norme, che sebbene contenute nella delega, hanno portata precettiva immediata, ovvero sono in contrasto con principi di ordine generale, o costituzionali, o comunitari (argomenta da Corte cost., 20 aprile 1968 n. 32).
Nel caso di specie non vengono abrogati criteri di delega, bensì norme, che, sebbene contenute nel medesimo articolo recante la delega, hanno portata precettiva immediata.
Per quanto riguarda, in particolare, i commi 25, 28 e 29 della legge delega, si tratta inoltre di norme transitorie, destinate ad operare nelle more di un revisione complessiva della normativa sui rifiuti, che è proprio il compito assegnato al legislatore delegato. Pertanto, si giustifica l’abrogazione di norme precettive immediate che solo dal punto di vista spaziale sono contenute nel medesimo articolo contenente la delega, ma che non costituiscono criteri di delega, e che hanno dichiaratamente una portata temporanea, fino al riassetto della materia.
Sicché è possibile l’abrogazione di tali commi.
Invece i commi 27 e 28 non hanno carattere transitorio, ma sono pur sempre norme precettive immediate e non di delega. Si giustifica, pertanto, la loro abrogazione, tanto più che, ponendosi in contrasto con il regime comunitario delle materie prime secondarie, si tratta di norme che avrebbero in ogni caso potuto essere disapplicate da parte del legislatore delegato.
Complessivamente, pertanto, l’abrogazione dei commi da 15 a 29 della legge delega non incide sui criteri di delega ma su norme precettive immediate, e risponde ad un’operazione di nettezza normativa, in linea con gli obiettivi di semplificazione e qualità della regolazione.
 
46. In relazione all’art. 5, che prevede l’entrata in vigore del decreto legislativo il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U., – imponendo una accelerazione poco coerente con i tempi lunghi che l’iter del correttivo ha avuto -, si osserva che l’assenza di vacatio legis non dà modo agli operatori di prendere conoscenza delle numerose innovazioni. Pertanto va
 
quanto meno prevista la ordinaria vacatio legis di quindici giorni, risultato che si consegue mediante la soppressione dell’art. 5 dello schema.
 
47. Sul piano formale, oltre alle osservazioni già fatte sui singoli articoli, si raccomanda una attenta lettura per adeguare il testo alla nota circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 maggio 2001, n. 1.1.26/10888/9.92., supplemento ordinario alla G.U. 3 maggio 2001, n. 101.
Ciò vale in particolare per la punteggiatura (non di rado vi sono virgole che separano il soggetto dal verbo) e per l’abuso di verbi servili (“dovere” in particolare).
 
P.Q.M.
 
Il parere viene espresso nei sensi su estesi.
 
Il Presidente della Sezione Gli Estensori
(******************) (G. Paolo Cirillo)
 
(Filoreto D’********)
 
(*******************)
 
Il Segretario d’adunanza
(*************)
 
*****

decreti

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