Il 2 marzo 2023 è stata annunciata alla Camera la risoluzione 7-00055 per il contrasto alla diffusione delle cosiddette challenge (sfide) sui social network, a seguito di numerosi interventi dell’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali in tema di protezione e sicurezza dei minori online.
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1. Il fenomeno delle challenge
Il fenomeno delle challenge è tristemente noto ed è stato portato più volte, nel corso degli ultimi anni, agli onori della cronaca a seguito di episodi tragici che hanno coinvolto minori, anche giovanissimi (e comunque ben al di sotto dei 14 anni, età in cui, secondo la normativa vigente, in Italia si acquista la capacità per fornire il consenso digitale, ovvero per avere una presenza attiva sui social). Si tratta di sfide virali, che spingono gli utenti ad adottare comportamenti rischiosi e spesso anche autolesionistici, per poi postare il risultato con video sui social network.
Nella risoluzione si dà atto di un recente intervento della Polizia postale che ha diramato un comunicato a genitori ed educatori per non farsi coinvolgere in questa “insensata pratica”, la cui micca, nel caso della risoluzione in commento, è stata data dall’ultima trovata della rete, ossia la cosiddetta sfida della cicatrice francese: i ragazzi devono filmarsi mentre si pizzicano il volto con due dita, sullo zigomo (con quel gesto vagamente retrò e alcune volte un po’ irritante che una volta si faceva per dare un “buffetto affettuoso” ai bambini), in un modo tale da lasciarsi un livido vistoso, che possa durare anche diversi giorni. La sfida è proprio quella di fare durare il livido più giorni possibile. Su TikTok proliferano non solo i video di chi si filma mentre si provoca la cicatrice francese, ma fioccano le richieste di tutorial per poterlo fare al meglio.
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2. Social e minori
Sul rapporto tra social e minori molto abbiamo scritto nelle pagine di questo sito. Nei miei recenti interventi quale Portavoce del Centro Nazionale Anti Cyberbullismo, in conferenze internazionali e momenti formativi all’interno di scuole in tutta Italia, spesso mi sono trovata ad esprimere il medesimo concetto che la stessa risoluzione della Camera sottolinea, ovvero che la tecnologia non è buona né cattiva e che di per sé non rappresenta un tabù o un male necessario da combattere: al contrario, la rete è fonte di infinite opportunità e l’utilizzo dei social network può fungere da ponte verso il mondo, da strumento di accesso alla socialità ed alla conoscenza, come abbiamo visto accadere durante il periodo della pandemia, quando solo la rete ci ha in qualche modo salvati tutti, giovani e meno giovani, dall’isolamento forzato.
E tuttavia non si può ignorare come questa porta possa fare entrare il mondo direttamente nelle camerette di giovani e giovanissimi, che, senza lasciare l’apparente sicurezza di casa propria, vengono catapultati nel mondo reale, senza filtri e senza la protezione dei genitori, e nemmeno se ne rendono conto.
Il Governo ha dichiarato il suo impegno nella realizzazione di campagne pubblicitarie e informative per favorire la sicurezza online anche ad uso dei più piccoli, attraverso la televisione di Stato, ma non può sfuggire che soprattutto tra i più giovani la televisione non è più un mezzo di divulgazione di massa. È passato, e da un’era geologica, il periodo di “Non è mai troppo tardi, corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta”, quando negli anni ’60 lo Stato, in maniera del tutto lodevole, si proponeva di aumentare il grado di alfabetizzazione degli italiani attraverso il piccolo schermo. Oggi l’alfabetizzazione, quella digitale, si fa attraverso i social: i social dei più piccoli, per le Generazioni Z e Alpha, che sono TikTok e YouTube, i social per i genitori e gli insegnanti, che sono Facebook e Instagram.
L’accesso ai social da parte dei minori è un tema giuridico, e il pericoloso trend della challenge deve essere inquadrato nel più ampio tema della protezione dei dati personali dei minori online (come sottolineato dal Presidente del Garante Privacy, il Professor Pasquale Stanzione, nella Audizione del 26 aprile 2023). Ed a livello giuridico, ricordiamo che l’art. 8 del Regolamento UE 2016/679 (meglio noto come GDPR) fissa a 16 anni l’età per esprimere un valido consenso digitale (età abbassata a 14 anni in Italia, mentre 13 anni è l’età minima generalmente richiesta per tutte le piattaforme social).
Ma il dettato normativo lascia il tempo che trova, davanti a fenomeni sempre più diffusi, quali lo sharenting, la tendenza dei genitori a pubblicare foto dei propri figli anche piccolissimi sui propri social (ne abbiamo scritto qui), i baby influencer (nella top ten degli Youtuber più seguiti al mondo c’è una bambina russa di 9 anni, che vanta sul suo canale ben 105 milioni di iscritti) e soprattutto il dato incontrovertibile che quasi il 90% dei minori ha un proprio profilo social attivo prima dei 14 anni.
Un tema ricorrente tra gli addetti ai lavori è quello della c.d. age verification, cioè le misure tecniche e organizzative che il titolare del trattamento dovrebbe attuare per assicurarsi che chi presta il consenso abbia l’età minima richiesta: dal riconoscimento biometrico alle tecnologie di privacy enhancing, dalla richiesta di documenti all’uso di intelligenza artificiale, tutti i grandi player si prodigano, va detto, per fare la propria parte e cercare di garantire, con il massimo grado di accuratezza possibile, che nessun minore al di sotto dell’età prevista abbia un proprio profilo socia. Il Garante vigila, ma i fatti, le challenge continue e i purtroppo non rari incidenti, anche mortali, che ne derivano, ci parlano di tentativi, allo stato attuale, ancora troppo deboli.
C’è poi il gradino successivo, cioè una volta che il minore ha raggiunto l’età prevista per accedere ai social, quali tipi di contenuto possa visionare, perché è di palmare evidenza che anche ad un quattordicenne certi contenuti di violenza, o sessualmente espliciti, o in altro modo disturbanti e potenzialmente molto dannosi (e qui torniamo alle challenge, appunto, a giochi pericolosi sulla falsariga di Squid Games, a istigazione al suicidio o all’autolesionismo sotto varie forme, ma anche, più semplicemente, alla presentazione di una vita patinata, lussuosa, perfetta, che necessariamente, se confrontata con quella di un qualsiasi adolescente medio, non può che ingenerare paragoni sfavorevoli e destabilizzanti) non li dovrebbe vedere mai. A voler tacere del cyberbullismo, della pedopornografia, pedofilia e pornografia non consensuale (il cosiddetto revenge porn).
Insomma, ce ne sarebbe abbastanza per scoraggiare anche i più temerari, eppure i dati ci confermano che i pericoli della rete sono molto sottovalutati e percepiti da adulti e ragazzi come qualcosa di molto lontano da noi, che succede nei film, che succede agli altri.
3. Conclusioni
Che fare, quindi?
Un equilibrio tra l’esigenza di tutela dei minori dai rischi della rete e le opportunità dell’evoluzione digitale e tecnologica (peraltro, non abbiamo ancora visto niente, dal momento che l’intelligenza artificiale, così come l’inverno, sta arrivando, e lì sì che ci sarà da ridere, o piangere, a seconda di come la si veda) pur se sfuggente, può essere possibile.
Come afferma il Presidente del Garante Privacy nella Audizione, “nessuna tutela potrà mai essere pienamente efficace in assenza di una reale consapevolezza del minore, che ne promuova la capacità di discernimento e, quindi, di autodeterminazione, necessaria per vivere la dimensione digitale come una vera risorsa e non come il luogo dove si possa incontrare la morte per effetto di una sfida perversa”.
Formazione, dunque, continua ad essere la parola chiave.
Formazione, consapevolezza, divulgazione per i minori, per gli insegnanti, per i genitori. I cosiddetti “addetti ai lavori” bene fanno a continuare a cercare soluzioni innovative per implementare sofisticati sistemi di verifica dell’età, così come le autorità Garanti necessariamente devono continuare a vigilare sul rispetto delle norme e su tutti del GDPR. Ma l’unico modo di governare tutti i fili, e finalmente di ricostruire il puzzle nel miglior modo possibile è di continuare a parlare con i minori, e possibilmente farlo con un linguaggio e su un medium in cui noi adulti abbiamo maggiore possibilità di farci ascoltare.
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Chiara Dal Ben, Vittorio Corelli | Maggioli Editore 2021
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