Minori stranieri, quando scatta il divieto di respingimento

Redazione 18/07/18
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Contesto normativo

Sin dalla sua originaria formulazione l’art. 19, c. 2, lett. a), t.u. sull’immigrazione, d.lgs. 286/1998, prevede l’inespellibilità del minore degli anni diciotto e dunque in primo luogo del minore non accompagnato (salvo i casi di espulsione per “motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato” di cui all’art. 13, c. 1, o di prevenzione ad atti di terrorismo). Ma solo di recente l’art. 3 della legge 47/2017 ha aggiunto all’art. 19, t.u. il nuovo comma 1-bis, a termini del quale “in nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati”, dando così opportuna certezza disciplinare ad una questione ampiamente dibattuta.

In definitiva, riguardo ai controlli di frontiera la questione da porsi non è dunque, come per gli adulti, se il m.s.n.a. (minore straniero non accompagnati) abbia o non abbia i requisiti per l’ingresso, ma quella della sua protezione mentre sta compiendo l’ultimo atto di un’azione – quella dell’espatrio dal suo paese di origine – gravida di effetti rilevanti per la sua vita.

È dunque essenziale che al momento del passaggio alla frontiera la condizione di m.s.n.a. venga accertata verificando la legittimazione degli adulti cui apparentemente il minore si accompagna. Sul punto va considerato con attenzione anche il nuovo testo dell’art. 33, c. 1, legge 184/1983, ove è disposto che “ai minori che non sono muniti di visto di ingresso rilasciato ai sensi dell’articolo 32 della presente legge e che non sono accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado si applicano le disposizioni dell’art. 19, comma 1-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”.

La norma sembrerebbe dunque ambiguamente collocare i minori fisicamente accompagnati da parenti entro il quarto grado al di fuori della categoria dei m.s.n.a., con l’effetto di legittimarne il respingimento assieme all’adulto col quale si trovano all’atto dell’attraversamento alla frontiera. Ma l’interprete deve leggerla in combinato disposto con l’art. 2 della legge 47/2017, ove è chiarito che l’adulto può essere considerato giuridicamente accompagnatore solo se “legalmente responsabile in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano”, requisito questo che non è certo incorporato nel lasso legame tra parenti di quarto grado.

In tal senso, del resto, va pure compreso il disposto dell’Allegato 7, par. 6 del Codice frontiere Schengen, ove è disposto che, in caso di minori accompagnati, la guardia di frontiera verifichi la sussistenza della potestà genitoriale nei confronti del minore, “soprattutto nel caso in cui il minore sia accompagnato da un adulto soltanto e vi siano seri motivi di ritenere che il minore sia stato illegalmente sottratto alla custodia della persona o delle persone che esercitano legalmente la potestà genitoriale nei suoi confronti. In tale ultimo caso, la guardia di frontiera svolge ulteriori indagini, al fine di individuare incoerenze o contraddizioni nelle informazioni fornite, venga verificata la sussistenza della potestà genitoriale”. Infine, nel caso di minori che viaggino da soli occorre assicurarsi, “mediante verifiche approfondite dei documenti di viaggio e dei giustificativi, che il minore non lasci il territorio contro la volontà della persona o delle persone che esercitano la potestà genitoriale nei suoi confronti”.

Ad assicurare piena certezza che non avvengano alla frontiera respingimenti di minori soli, uno strumento di buona amministrazione da perfezionare e disseminare maggiormente è senz’altro costituito dai centri di orientamento collocati nelle zone di transito dei valichi di frontiera, ai sensi dell’art. 11, c. 6 del testo unico, oggi realizzati mediante convenzioni stipulate dal Ministero dell’interno con alcuni enti prescelti, benché assai più efficace si rivelerebbe, de iure condendo, la previsione legislativa della presenza indefettibile ai valichi di frontiera di un soggetto terzo, garante del diritto di non refoulement e del divieto di respingimento dei minori.

 

Provvedimento di rimpatrio

È inoltre pacifico che il minore non può essere oggetto di misure amministrative di trattenimento nei C.P.R., per il combinato disposto degli artt. 14 e 19 del testo unico, nonché, riguardo ai minori richiedenti asilo, ai sensi dell’art. 19, c. 4, del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, in attuazione delle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE.

Alla disciplina riguardante l’inespellibilità – salve le eccezione di legge – del m.s.n.a. fa da pendant quella relativa al suo eventuale rimpatrio. Sottraendo tale competenza all’ufficio presso la Direzione generale dell’im­migrazione del Ministero del lavoro, l’art. 8, legge 47/2017 prevede ora che il provvedimento di rimpatrio del m.s.n.a. sia volontario (è dunque imprescindi­bile il suo consenso) e debba essere adeguatamente assistito. Il provvedimento di rimpatrio potrà essere adottato solo “ove il ricongiungimento con i suoi familiari nel paese di origine o in un paese terzo corrisponda al superiore interesse del minore, dal tribunale per i minorenni competente, sentiti il minore e il tutore e considerati i risultati delle indagini familiari nel paese di origine o in un Paese terzo e la relazione dei servizi sociali competenti circa la situazione del minore in Italia.”.

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