La richiesta di annullamento del matrimonio innanzi ad un tribunale ecclesiastico, equiparato in tutto e per tutto al divorzio innanzi all’AGO, costituisce una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza dei dati sensibili relativi alla salute, sottendendo un significativo diritto della personalità. In questi casi, perciò, sussiste l’interesse personale idoneo a legittimare la proposizione della domanda di accesso alla cartella clinica, senza che sia necessaria alcuna penetrante indagine in merito alla essenzialità o meno della documentazione richiesta, né circa le prospettive di buon esito del rito processuale concordatario. Mutato orientamento (Tar Bari 785/13).
È quanto deciso dal Tar Lazio sez. 3Q nella sentenza 12590 depositata il 15 dicembre 2014, dettando un principio usato anche nei giudizi d’impugnazione dei testamenti olografi per incapacità del de cuius (CDS 3952/12).
Il caso. Una donna, dopo pochi mesi, ritendendo la convivenza impossibile, nel 2010 <<decideva di avviare causa di separazione dinanzi al Tribunale civile e, successivamente, causa di nullità del vincolo matrimoniale dinanzi al Vicariato di Roma. Nel corso del procedimento dinanzi al giudice civile, il controinteressato depositava documentazione dalla quale si evinceva che lo stesso era stato più volte ricoverato>> presso una clinica (una fondazione) per problemi depressivo-psichiatrici. In particolar modo chiedeva l’accesso alla cartella clinica attestante i ricoveri nel 2013, ma la struttura sanitaria ritenendola un dato ultra sensibile, per la tutela della privacy, lo negava. È ricorsa vittoriosamente al Tar per l’annullamento del rifiuto, il quale ingiungeva la loro esibizione entro 30 giorni dalla notifica o dalla comunicazione di questa decisione.
Legittimazione attiva e passiva. << Anche nei confronti di soggetti con personalità giuridica di diritto privato sussiste l’obbligo di garantire il diritto di accesso, a prescindere dalla loro qualificazione quale organismo di diritto pubblico, qualora si tratti di soggetti gestori di servizi pubblici>> (CDS 4923/13 e Tar Trento 305/12). Il diritto di accesso, in base alla novella della L.241/90 introdotta dalla L. 15/11, deve essere sempre garantito quando oltre a rispondere ad un interesse diretto, concreto ed attuale, la conoscenza dei documenti richiesti << sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici; nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale>>. Non vi è dubbio che la fattispecie rientri in questa ultima ipotesi e che l’accesso ai dati sensibilissimi come quelli contenuti nella cartella (compreso anche il foglio di dimissioni) sia consentito dal testo dell’art. 92 Dlgs 196/03: << eventuali richieste di presa visione o di rilascio di copia della cartella e dell’acclusa scheda di dimissione ospedaliera da parte di soggetti diversi dall’interessato possono essere accolte, in tutto o in parte, solo se la richiesta è giustificata dalla documentata necessità: a) di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ai sensi dell’articolo 26, comma 4, lettera c), di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile; b) di tutelare, in conformità alla disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi, una situazione giuridicamente rilevante di rango pari a quella dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile>>.
La cartella clinica è universalmente considerata un atto pubblico che produce effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e quindi deve essere accessibile (Cass.pen. 42917/11; V.Sotte La cartella clinica del paziente: privacy e diritto di accesso). Da queste considerazioni, vista la pendenza del giudizio ecclesiastico, è stato elaborato il principio di diritto in epigrafe suffragato dalla giurisprudenza anteriore alla riforma (CDS 5374/08 e Tar Catania 878/09).
La peculiare natura dei Tribunali ecclesiastici preclude questo diritto? Il loro << carattere non nazionale e non statuale >> ex art. 8 L.121/85, di ratifica e di esecuzione del Concordato del 1984, non preclude al riconoscimento delle loro sentenze tramite omologa come qualsiasi altra decisione emessa da una corte estera. Hanno così, all’interno del nostro ordinamento, << “piena efficacia e forza cogente, in una situazione di pari dignità giuridica con le sentenze di scioglimento del vincolo matrimoniale civile assunte dagli organi giudiziari nazionali”, con la conseguenza che “l’intento di adire la via giurisdizionale concordataria ai fini della declaratoria di nullità del vincolo coniugale va assimilato, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso, all’intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio”>> (CDS 6781/06).
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