Il fatto
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava le istanze di concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della semilibertà, che erano state richieste congiuntamente da un condannato in relazione alla frazione detentiva che costui doveva scontare per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., quantificata in un anno e venti giorni di reclusione.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa ordinanza il detenuto, a mezzo del suo legale, ricorreva per Cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato conseguenti alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la concessione delle misure alternative alla detenzione richieste che erano stati, ad avviso del ricorrente, valutati dal Tribunale di Sorveglianza di Roma con un percorso argomentativo incongruo che non teneva conto del disvalore dei comportamenti criminosi per i quali l’impugnante era stata condannata e del percorso rieducativo intrapreso proficuamente dopo la condanna su cui ci si pronunciava in termini generici e svincolati dalle emergenze processuali.
Si deduceva, al contempo, come il Tribunale di Sorveglianza di Roma avesse omesso di pronunciarsi sull’istanza di sospensione della pena e sulla misura alternativa alla detenzione della semilibertà ex art. 50 legge 26 luglio 1975, n. 354 che erano state richieste dal condannato unitamente all’affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare.
Le considerazioni esposte imponevano, ad avviso della difesa, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso proposto veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.
Si osservava prima di tutto, una volta preso atto che il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato le istanze di concessione dell’affidamento in prova al servizio sodale e della detenzione domiciliare, che erano state richieste dal ricorrente, unitamente all’istanza di sospensione della pena e alla misura alternativa alla detenzione della semilibertà ex art. 50 Ord. pen., sulle quali ometteva di pronunziarsi ma, che, tuttavia, nel formulare tale giudizio prognostico negativo, questo Tribunale di Sorveglianza non si era confrontato, né con gli elementi informativi di cui disponeva, né con le deduzioni difensive che evidenziavano, per la Suprema Corte, l’attivazione di un percorso rieducativo adeguato rispetto al vissuto criminale della condannata al quale ci si riferiva mediante il generico richiamo dei precedenti per truffa commessi nel 2011 e 2013, come il giudice di merito non si fosse confrontato, neppure per relationem, con gli elementi processuali di cui disponeva, fondando il giudizio prognostico negativo nei confronti del detenuto su una valutazione inadeguata della sua personalità e irrispettosa della giurisprudenza consolidata della Cassazione secondo cui, ai fini della concessione delle misure alternative alla detenzione, pur non «potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva» (Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015).
Di conseguenza, secondo gli Ermellini, alla luce di tale approdo ermeneutico, il Tribunale di Sorveglianza capitolino non aveva dato conto delle modalità con cui venivano respinte le misure alternative alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare, sulle quali rendeva una motivazione apparente, per inquadrare la quale veniva richiamato il seguente principio di diritto: «In tema di vizio della motivazione delle sentenze, la motivazione apparente e, dunque, inesistente è ravvisabile soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente» (Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014).
I giudici di piazza Cavour, pertanto, in ragione delle considerazioni sin qui esposte, annullavano l’ordinanza impugnata con il conseguente rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma per un nuovo giudizio.
Conclusioni
La sentenza in esame è assai interessante nella parte in cui viene chiarito, citandosi giurisprudenza conforme, che, ai fini della concessione delle misure alternative alla detenzione, pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l’esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l’esigenza di accertare non solo l’assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva.
Tal che ne discende, argomentando a contrario, che, per decidere se concedere o meno una misura alternativa alla detenzione, pur non potendosene prescindere, tale decisione non può basarsi unicamente sulla scorta della natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, essendo per contro necessario, come appena visto, che sia presa in considerazione pure la condotta successivamente serbata dal condannato dato che deve appurarsi la sussistenza di elementi positivi atti a consentire un giudizio prognostico favorevole per quanto concerne l’esito positivo della prova e l’assenza del pericolo di recidiva.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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