In materia di mobbing non esiste una normativa specialistica e i legali impegnati a difendere queste vittime fondano le loro giuste pretese sulle disposizioni codicistiche e la giurisprudenza, cimentandosi quotidianamente in un aggiornamento rigoroso. In questi anni, infatti, la Magistratura ha indicato alcuni elementi distintivi del mobbing, giudicati col passare del tempo essenziali e irrinunciabili, al fine di identificare e riconoscere tale nuova fattispecie giuridica. La Corte di Cassazione, anche nelle sentenze più recenti, confermando la tesi prevalente, ha tradotto il termine inglese “mobbing” con “persecuzione”, poiché il fenomeno può essere descritto soltanto come un coacervo di azioni (legali e non) finalizzate a un obiettivo specifico (l’estromissione del lavoratore dal gruppo umano), attuate per un congruo periodo e soprattutto artatamente congegnate dall’autorità vigente, cioè da chi può premiare e punire i sottoposti, quindi anche abusare di tale potere a fini estorsivi. Queste strategie di sopruso, spesso presenti in vari ambienti di lavoro, segnano in modo indelebile i lavoratori, danneggiando drammaticamente le loro esistenze (e quelle dei familiari): ciò accade, in particolar modo, quando la persecuzione si perfeziona con il licenziamento o addirittura con l’infamante licenziamento disciplinare, che aggiunge dolore a chi già soffre per l’incomprensione di parenti e amici e per la perdita del proprio ruolo sociale.
(Dott.ssa Simonetta Delle Donne)
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