Modalità e luogo di estinzione dell’obbligazione pecuniaria

Adorna Nicola 26/07/16

In generale, l’obbligazione può dichiararsi estinta quando il debitore adempie alla prestazione che ne costituisce oggetto, e verso cui il creditore vanta quindi una pretesa; questo, al netto di altre vicende,  ad esempio l’adempimento del terzo (art. 1180 c.c.) o i modi di estinzione alternativi all’adempimento.

L’obbligazione pecuniaria è quella tipologia che ha per oggetto la corresponsione di una somma di denaro. Essendo il denaro un bene fungibile, è un’obbligazione di dare qualificabile come generica e a cui si applica il principio genus numquam perit: non è suscettibile di estinzione per oggettiva impossibilità sopravvenuta, poiché il denaro è sempre reperibile come genere.

L’art. 1277 c.c. stabilisce il principio nominalistico, che sta alla base delle obbligazioni pecuniarie. In ragione di ciò, i debiti pecuniari devono estinguersi <<con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale>> (comma 1).

Tale modalità estintiva (esclusa l’ipotesi del debito di specie monetaria con valore intrinseco di cui all’art. 1280 c.c.) fa gravare su una delle parti il rischio della variazione del valore reale della moneta, che muta nel tempo a causa di un percorso inflativo o – anche se più raro – deflativo.

Nella prassi è piuttosto frequente, di conseguenza, il ricorso a diverse clausole di salvaguardia (o di rivalutazione, o di indicizzazione) che consentono di derogare convenzionalmente al principio nominalistico e superare le variazioni indicate; sono clausole riferite al valore di mercato di date merci, o all’andamento di valute estere particolarmente forti, o a indici statistici sul valore di determinati beni di consumo.

L’importanza di detta risoluzione è segnata dall’accoglimento del meccanismo rivalutativo anche nel dato normativo. Un esempio di deroga legale si rinviene nell’art. 337-ter, co. 5 c.c., ove si dispone che l’assegno di mantenimento dei figli venga adeguato automaticamente secondo alcuni parametri.

Per quanto concerne il luogo dell’adempimento, la disciplina è dettata dall’art. 1182, co. 3 c.c. (norma sussidiaria da applicare nel caso non possa stabilirsi diversamente il luogo, ai sensi del comma 1): l’obbligazione pecuniaria deve adempiersi al domicilio che il creditore ha al momento della scadenza; mentre se è diverso da quello che aveva quando è sorta, e ne rende più gravoso l’adempimento, il debitore ha il diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio, previa dichiarazione al creditore.

Quanto enucleato può presentare delle criticità interpretative a seconda dei casi concreti.

In merito alle modalità di estinzione, in particolar modo, è da evidenziare il fenomeno della smaterializzazione del denaro. Sono sempre più rari, infatti, i pagamenti effettuati con denaro contante; i debitori sono soliti offrire ai creditori titoli cartolarizzati (come gli assegni) o moneta “elettronica” (come carte di credito o affini) per adempiere alla prestazione.

Data la citata disposizione dell’art. 1277 c.c., che impone che il pagamento avvenga con moneta avente corso legale, ci si può interrogare sull’opportunità di considerare il pagamento con formula smaterializzata come equivalente al contante (in ragione delle pratiche commerciali diffuse e comunemente accettate), oppure su quella di applicare il regime della datio in solutum di cui agli artt. 1197-1198 c.c. (quindi della cessione di credito).

La differenza risiede nel fatto che, operando la seconda scelta, il debitore sarebbe liberato solo su consenso o accettazione del creditore, e solo al momento della riscossione della somma dovuta, dovendo infatti prestare garanzia nel caso questa non si realizzi e non per negligenza da parte del cessionario (si tratterebbe di una cessio pro solvendo).

Il problema interpretativo più complesso può aversi con riferimento all’assegno circolare, un titolo di sicura copertura stante la provvista disposta dalla banca all’emissione, e che – per tale motivo – potrebbe realmente accostarsi a denaro contante evitando l’applicazione della disciplina della datio in solutum; cosa non plausibile per gli altri fenomeni della smaterializzazione, che non offrono medesime garanzie di solvibilità.

Come sostenuto dai giudici di legittimità, allora, si deve avallare un’interpretazione evolutiva del principio nominalistico che veda come oggetto dell’obbligazione non più la consegna di moneta, ma di un valore monetario; la moneta può essere semplicemente una modalità di corresponsione di quel valore, sostituibile con altre ugualmente valide per il soddisfacimento della pretesa creditoria, a discrezione del debitore.

Ne deriverebbe che l’assegno circolare, riconosciuto come modalità adeguata di sicura corresponsione di un valore monetario, non sarebbe assoggettabile al consenso del creditore per l’adempimento della prestazione.

A fortiori se si considera quanto disposto dall’art. 49, co. 1 D.Lgs. 21-11-’07 n. 231 ss.mm.ii. (normativa antiriciclaggio), ossia che il pagamento in denaro contante può avvenire solo per somme al di sotto dei mille Euro.

Poiché per una quantità ragguardevole di pagamenti diviene obbligatorio per il creditore accettare la forma di pagamento smaterializzata, parrebbe irragionevole non consentirlo per tutti gli altri al di sotto della soglia dei mille Euro proprio quando si tratta di assegni circolari, con le relative forti garanzie di conseguimento della somma di denaro. Potrebbe, al massimo, riconoscersi al creditore la possibilità di rifiutare l’assegno nei casi indicati solo se dimostrasse un reale e serio motivo che lo conduce a tale soluzione, secondo i canoni di correttezza e buona fede oggettiva (art. 1175 c.c.).

L’obiezione residua starebbe nel fatto che il creditore deve recarsi presso la banca per riscuotere l’assegno, mentre di regola ha diritto a ricevere la prestazione al proprio domicilio. Ma questa può superarsi, ancora, nel riconoscere che l’effetto satisfattorio si realizza con la mera creazione della disponibilità monetaria in favore del creditore.

In pratica, egli può considerare di aver già ricevuto la somma che gli spetta al proprio domicilio, mentre l’ulteriore passaggio per la riscossione materiale non può essere valutato (sempre secondo buona fede) come un aggravio insormontabile; soprattutto se – unitamente al crescente favore sociale per gli assegni circolari – si guarda al fatto che, di norma, il creditore ha un conto bancario sul quale deposita il denaro.

Sempre in merito al luogo di estinzione, però, ulteriori difficoltà possono riscontrarsi proprio nella valutazione in concreto della <<somma di danaro>> di cui all’art. 1182, co. 3 c.c. Per l’applicazione di tale norma, difatti, generalmente si pretende che il debito non sia solo certo ed esigibile, ma perfino liquido, quindi di ammontare determinato in maniera sufficientemente chiara.

Se il debito non fosse liquido si dovrebbe optare per l’applicazione del comma 4, passando alla considerazione dell’obbligazione non più come portable (eseguibile al domicilio del creditore) bensì come quérable (per cui il creditore deve chiedere l’adempimento; il che riguarda, per l’appunto, tutti gli altri tipi di obbligazione non già indicati nell’articolo).

Nel rispetto dei canoni di correttezza e buona fede oggettiva, invero, può sostenersi che il debito dovrebbe essere considerato liquido dalle parti – quindi con applicazione del comma 3 – in tutti i casi in cui non solo sia già determinato, ma sia anche determinabile senza eccessivi sforzi interpretativi. Ciò avverrebbe, ad esempio, quando il titolo fornisse diversi elementi che, sommati fra loro con una semplice operazione aritmetica, indicherebbero subito l’ammontare complessivo dovuto, rendendo pretestuosa qualsivoglia contestazione specifica.

Il contrario avverrebbe se gli elementi presenti nel titolo fossero di una genericità tale da  richiedere accertamenti ulteriori (e non meri calcoli) per giungere alla definizione della somma in obbligazione. Solo in quest’ultima ipotesi si renderebbe necessario, pertanto, il ricorso alla regola di cui al comma 4.

Adorna Nicola

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