Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 22.03.2018 sentenza n. 7097
Una dipendente di un comune toscano subisce numerosi comportamenti vessatori da parte dei colleghi e dei superiori. La donna è inoltre vittima di una molestia sessuale da parte dell’autista del Sindaco e per questo episodio presenta una denuncia all’autorità giudiziaria. Tuttavia l’Amministrazione Comunale non si attiva né per sanzionare il proprio dipendente né per prevenire ulteriori comportamenti dello stesso tenore.
La donna si rivolge quindi al Tribunale di Carrara che accerta i fatti e le omissioni di cui sopra e condanna il Comune a risarcirle i danni poiché è venuto meno agli obblighi in quanto datore di lavoro cui è affidato il compito di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti.
Nel giudizio di secondo grado la Corte di Appello aumenta l’entità del risarcimento dovuto dal Comune a favore della donna e condanna l’autista del Sindaco a rifondere al Comune il 60% dell’importo da dare alla lavoratrice.
Tale decisione viene contestata, ma la Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte di Appello per le seguenti ragioni:
1) nel rapporto di impiego pubblico il dipendente che si comporta in maniera lesiva, nel caso in esame con molestie sessuale nei confronti di una collega, viola gli obblighi di diligenza e fedeltà e i principi generali di correttezza e di buona fede, visto anche il principio di “buon andamento della Pubblica Amministrazione” sancito dalla Costituzione;
2) infatti “il buon andamento” evidenziato dalla Costituzione non riguarda solo lo svolgimento della propria attività lavorativa ma anche i rapporti con i cittadini, gli utenti e gli altri lavoratori;
3) di fronte al comportamento lesivo compiuto dal dipendente il datore di lavoro, che colpevolmente non è intervenuto ed è stato chiamato a risponderne in un giudizio, ha diritto a rivalersi nei confronti del dipendente colpevole per la percentuale attribuibile alla responsabilità del dipendente stesso.
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