Morte del paziente nonostante diagnosi e trattamento corretti: l’ospedale è responsabile?

L’ospedale non risponde della morte della paziente se la diagnosi è stata tempestiva e l’intervento eseguito correttamente.

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L’ospedale non risponde della morte della paziente se la diagnosi è stata tempestiva e l’intervento eseguito correttamente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Tribunale di Caltagirone -Sentenza n. 589 del 5-09-2024

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_CALTAGIRONE_N._589_2024_-_N._R.G._00000645_2012_DEL_05_09_2024_PUBBLICATA_IL_05_09_2024.pdf 191 KB

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Indice

1. I fatti: la morte del paziente


Il figlio ed erede di una paziente di un ospedale conveniva in giudizio la struttura sanitaria dove era stata ricoverata la madre, che successivamente era morta dopo l’operazione subita, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dalla congiunta.
In particolare, l’attore sosteneva che la madre si era presentata al Pronto Soccorso dell’ospedale convenuto a causa della nausea e del vomito persistenti. A seguito degli esami eseguiti presso il Pronto Soccorso, la paziente veniva ricoverata presso il reparto di Nefrologia, dove veniva riscontrata la presenza di un’ernia inguinale destra e alvo tendenzialmente stitico. Infine, quattro giorni dopo l’accesso al Pronto soccorso, a seguito di un fortissimo dolore addominale, veniva eseguita una radiografia addominale sulla paziente da cui emergeva la perforazione dell’intestino. Conseguentemente la paziente veniva trasferita nel reparto di chirurgia, dove veniva riscontrata una ernia crurale con rottura intestinale, e quindi sottoposta ad un intervento chirurgico, che però non evitava l’evento nefasto.
Secondo l’attore, la morte della paziente era attribuibile all’operato negligente ed imperito dei sanitari dei vari reparti dell’ospedale dove la madre era via via passata nei 5 giorni in cui era stata ricoverata nella struttura sanitaria.
In particolare, l’attore riteneva errata la diagnosi del Pronto Soccorso e quindi immotivato ed ingiustificato il ricovero presso il reparto di nefrologia (in quanto i sintomi e i risultati delle analisi non deponevano per un problema renale, ma piuttosto per una patologia intestinale). In secondo luogo, riteneva errata anche la diagnosi del reparto di nefrologia, che aveva confuso l’ernia crurale (da cui era affetta la paziente) con una ernia inguinale, senza tenere conto dei risultati delle radiografie toraciche eseguite due giorni dopo l’ingresso della paziente in ospedale. In conclusione, secondo l’attore, anche se l’intervento chirurgico era stato eseguito correttamente, la morte della madre era dipesa dai precedenti errori dei sanitari che avevano – con le errate diagnosi – permesso il protrarsi dell’occlusione per alcuni giorni fino alla rottura dell’intestino.
La struttura sanitaria convenuta contestava la domanda risarcitoria formulata dall’attore e ne chiedeva il rigetto, ritenendo che la morte della paziente era stata determinata dalle sue condizioni generali che non le avevano permesso di superare lo stato patologico che l’aveva colpita.
Il giudizio veniva quindi istruito mediante lo svolgimento di una CTU medica, all’esito della quale il giudice emetteva la sentenza in commento. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica

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2. Le valutazioni del Tribunale


Preliminarmente, il Tribunale di Caltagirone ha passato in rassegna i principi che disciplinano la responsabilità medica.
In particolare, il giudice ha ricordato che detta tipologia di responsabilità ha natura contrattuale e conseguentemente si applica il relativo regime di ripartizione dell’onere della prova e del grado della colpa, tipici delle obbligazioni da contratto d’opera professionale. Infatti, la fonte della responsabilità della struttura sanitaria è il contratto atipico di spedalità, che nasce dal momento in cui il paziente viene accettato all’interno della struttura. Il regime contrattuale, inoltre, si applica sia per le condotte inadempienti poste in essere direttamente dalla struttura sanitaria, che per le condotte poste in essere dai medici dipendenti della stessa: ciò in applicazione dell’art. 1228 c.c. che disciplina la responsabilità del debitore per i fatti dolosi o colposi posti in essere dagli ausiliari.
Il suddetto inquadramento giuridico della responsabilità non è mutato neanche dopo l’introduzione della Legge Balduzzi ed è stato poi confermato anche dalla successiva Legge Gelli-Bianco.
Per quanto riguarda il regime probatorio, la disciplina della responsabilità medica prevede che il paziente danneggiato che agisce in giudizio contro la struttura sanitaria, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e quindi allegare l’inadempimento del debitore che è astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.
Conseguentemente, il paziente dovrà provare la sussistenza del nesso causale relativo all’evento dannoso: cioè il collegamento di causa/effetto tra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e la condotta posta in essere dal sanitario (in quanto si tratta del fatto costitutivo del diritto azionato dall’attore).
Invece, la struttura sanitaria convenuta dovrà provare che l’inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, lo stesso non è stato eziologicamente rilevante rispetto alla causazione del danno.
Conseguentemente, la struttura sanitaria dovrà dimostrare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione sul medesimo gravante (fatto estintivo del diritto risarcitorio azionato dall’attore).
Secondo il giudice siciliano, nella responsabilità professionale, occorre distinguere tra l’interesse strumentale, che è oggetto della prestazione obbligatoria della struttura sanitaria (cioè il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del paziente) e l’interesse presupposto (cioè la guarigione dalla malattia e in generale il diritto alla salute). Tale secondo interesse, pur non entrando nell’oggetto dell’obbligazione, non è un mero motivo soggettivo estrinseco al contratto d’opera professionale.
Nelle obbligazioni di facere professionale il danno evento incide sull’interesse presupposto e non sull’interesse strumentale la cui lesione determina l’inadempimento. Per questa ragione non è sufficiente allegare l’inadempimento (inteso come violazione delle leges artis) per dimostrare la sussistenza della causalità materiale tra condotta del sanitario e insorgenza o aggravamento della patologia. Invece, il creditore dovrà allegare e provare la connessione materiale tra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e la condotta posta in essere dal medico. La prova di detto collegamento causale dal punto di vista naturalistico/materiale potrà essere fornita dall’attore con qualunque mezzo, anche le presunzioni.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, il Tribunale ha esaminato i risultati raggiunti dalla CTU svolta in giudizio ed ha appurato che i consulenti tecnici, nella loro relazione, hanno escluso, senza alcun dubbio, la sussistenza di responsabilità, in capo ai sanitari che hanno avuto in cura la paziente, nella determinazione dell’evento mortale.
In particolare, detti consulenti hanno ritenuto corretto l’iter diagnostico dei medici che accettarono la paziente al Pronto Soccorso dell’Ospedale, e che, sulla base delle risultanze degli esami e delle consulenze richieste, ne disposero il ricovero presso il reparto di Nefrologia dello stesso ospedale. In secondo luogo, i CTU hanno ritenuto corretto l’iter clinico-diagnostico seguito in tale reparto, dove i sanitari hanno disposto tempestivi e appropriati accertamenti (in particolare esami radiografici alla terza e alla quinta giornata di ricovero della paziente) e richiesto tempestiva consulenza chirurgica in coerenza con il quadro clinico e sintomatologico presentato dalla paziente al momento. Infine, i CTU hanno ritenuto che anche l’intervento chirurgico eseguito sulla paziente è stato appropriato e tempestivo.
Conseguentemente, per i consulenti d’ufficio, la causa del decesso è da ricondurre ad una perforazione intestinale, la quale, nonostante tempestivamente diagnosticata e trattata, ha determinato una peritonite che, in associazione alle scadenti condizioni generali della paziente, è stata responsabile dello stato settico che ha determinato la morte.
In considerazione dei risultati emersi dalla CTU, in applicazione dei principi generali di cui sopra, il Tribunale di Caltagirone ha ritenuto di rigettare la domanda attorea, valutando non raggiunta la prova del nesso causale gravante sull’attore ed invece integrata quella relativa alla causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso impossibile la prestazione della convenuta.

Avv. Muia’ Pier Paolo

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