Nella sentenza numero 23948 del 05.09.2024 la III Sezione della Corte di Cassazione, presidente Frasca, relatore Simone, chiarisce l’onere di motivazione del giudice di merito quando ricorre alla presunzione ex. art. 2054 II comma c.c. Per approfondimenti consigliamo il volume Manuale pratico di infortunistica stradale – Con giurisprudenza e formulario
Indice
1. I fatti di causa e i giudizi di merito
Il giudizio trae origine da un incidente stradale con esiti mortali, promosso dagli erede di Tizio, e quindi da Tizia (moglie) e Tizietto (figlio) in danno di Caio e dell’assicuratore Alfa.
La dinamica incidentale è la seguente. Tizio sorpassava una terza autovettura, ma a causa della velocità sbandava e dopo essere finito contro il guard rail terminava la sua corsa al centro della carreggiata. Sopraggiungeva Caio, alla guida di un camion, il quale non riusciva a arrestare il veicolo e travolgeva Tizio, cagionandone la morte.
Sia il Tribunale adito in primo grado che la Corte d’appello, invocata dagli eredi di Tizio, affermavano la sussistenza di un concorso di colpa paritario, riducendo proporzionalmente il risarcimento. Per approfondimenti consigliamo il volume Manuale pratico di infortunistica stradale – Con giurisprudenza e formulario
2. Il giudizio di legittimità: la motivazione per la presunzione
La sentenza di appello veniva impugnata dagli eredi di Tizio con plurimi motivi, dei quali uno, poi accolto, di particolare interesse.
Nel suddetto motivo viene denunciata ex art. 360, I comma n. 3 cpc, la violazione dell’art. 132 II, n. 4, cod. proc. civ.
I ricorrenti sostengono, quindi, la nullità della sentenza per motivazione apparente in ordine al concorso di colpa, affermando che la motivazione sul punto resa dalla corte di merito è la seguente “Tutto ciò premesso, risulta, per le su indicate ragioni, che l’investimento mortale è riconducibile causalmente alle condotte colpose di Tizio e Caio, che hanno contribuito in egual misura alla causazione del sinistro“.
Secondo la tesi dei ricorrenti, il presupposto per il riconoscimento di un concorso di colpa, impone al giudice del merito di indagare sull’entità delle rispettive colpe al fine del riparto di responsabilità e di fornirne congrua motivazione in sentenza.
La Corte di legittimità accoglie il ricorso.
La Corte premette che la nullità della sentenza per mancanza di motivazione ex. Art. 132 cpc ai sensi dell’art. 260 I comma n. 4, può ammettersi solo in quattro casi:
a) quando la motivazione manchi del tutto finanche “sotto l’aspetto materiale e grafico”;
b) quando contenga un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”;
c) quando sia “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;
d) quando sia puramente.
L’ipotesi sub d) è equiparabile è quella da reputarsi più grave, “perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da esse al risultato enunciato, venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga con un certo procedimento enunciativo, logico e consequenziale, a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (v. Cfr Cass. 22507/2019). L’apparenza della motivazione ricorre anche quando il giudice di merito, pur indicando gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ne omette qualsiasi approfondita disamina logica e giuridica, rendendo ugualmente impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 40453/21).
Nel nostro caso, la Corte d’Appello, dopo aver lungamente scrutinato il profilo relativo al concorso colposo da parte dei due automobilisti nel causazione della seconda parte del sinistro, ha concluso con un laconico “Tutto ciò premesso, risulta, per le su indicate ragioni, che l’investimento mortale è riconducibile causalmente alle condotte colpose di Tizio e Caio che hanno contribuito in egual misura alla causazione del sinistro” e poi ha aggiunto “Risulta pertanto corretta la statuizione con la quale il Tribunale ha ritenuto il sinistro imputabile in pari misura alla condotta attiva di Tizio. quanto a quella mista di Caio.”.
Tale motivazione, tuttavia, è solo apparente, poiché non consente in alcun modo di comprendere, le ragioni e quindi l’iter logico seguito per pervenire da esse al risultato enunciato, essendo del tutto omessa la censura sulla condotta di Tizio nella prima fase del sinistro, a fronte della quale si muove un rimprovero alla sua azione.
La Corte afferma che “La motivazione resa dalla corte di merito è gravemente carente, poiché essa non ha chiarito il ragionamento a sostegno del disposto riparto in misura paritaria, non senza rilevare che l’aggiudicazione della lite, stante il carattere sussidiario dell’art. 2054, comma secondo, cod. civ., è stata fatta sulla base della valutazione concreta delle condotte in comparazione omettendo di esplicare i parametri di misurazione. In altri termini, l’esistenza di una condotta colposa è il presupposto per l’affermazione di un concorso colposo, ma questo non basta, una volta superata la presunzione ex lege dell’uguale apporto colposo, per poter pervenire ad una ripartizione della colpa in pari misura.”
La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata e la corte di rinvio dovrà rendere una motivazione effettiva e percepibile sulla ripartizione delle colpe, esplicitando un ragionamento che individui perché le colpe sarebbero state eguali e, ove esso non fosse enunciabile, procedere, sempre rendendo motivazione percepibile e comprensibile ad una distinta graduazione delle colpe in misura minore a favore di Tizio.
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