Motivazione per il mancato esercizio del potere-dovere ex art. 507 c.p.p.

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 39490 del 28 settembre 2023) ha chiarito quando il mancato esercizio del potere-dovere previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. non richiede un’espressa motivazione.

Per approfondimenti si consiglia: Dibattimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

Indice

Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 39490 del 28/09/2023

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1. La questione

Il giudice di pace di Lauro condannava l’imputato alla pena di 5.000 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998.
Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva, da un lato, l’inosservanza delle norme processuali per la mancata assunzione di una prova decisiva, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., dall’altro, la mancanza di motivazione in relazione agli artt. 27 e 111 Cost., e 125, comma 3, cod. proc. pen., con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen..

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2. Art. 507 c.p.p. e motivazione: la soluzione della Cassazione

La Suprema Corte riteneva i motivi summenzionati fondati.
In particolare, gli Ermellini, stante il fatto che, nel caso di specie, a loro avviso, i documenti, di cui l’imputato aveva chiesto tardivamente l’acquisizione, erano astrattamente idonei a dimostrare l’intervenuta estinzione del reato, ai sensi dell’art. 103, commi 1 e 17, d.l. n. 34/2020 e, quindi, costituivano delle nuove prove che potevano incidere in modo rilevante sulla decisione, ritenevano come il giudice di merito avrebbe dovuto, perciò, acquisirli anche di ufficio, o comunque avrebbe dovuto motivare sul perché non riteneva necessaria la loro acquisizione, e ciò in ragione di quegli orientamenti nomofilattici secondo i quali, per un verso, è «affetta da violazione di legge la sentenza che si limiti a richiamare l’intervenuta decadenza della parte dalla prova, senza dare adeguata motivazione quanto al mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 507 cod. proc. pen. (In motivazione, la Suprema Corte ha, altresì, affermato che l’eventuale dichiarata decadenza non impedisce, in applicazione del principio della modificabilità delle ordinanze dibattimentali in tema di prova, di cui all’art. 498, comma 4, cod. proc. pen., l’adozione di un successivo provvedimento di ammissione ex art. 507 cod. proc. pen.)» (Sez. 2, n. 35742 del 28/09/2020), per altro verso, il «potere dovere del giudice di disporre attività istruttoria integrativa ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. è esercitabile anche in funzione di supplenza dell’inerzia delle parti, allorché le lacune e la contraddittorietà del quadro probatorio non consentano la decidibilità del giudizio. (In motivazione la Corte ha precisato che la completezza dei dati cognitivi è funzionale al migliore accertamento della verità, naturale corollario del principio di obbligatorietà dell’azione penale)». (Sez. 6, n. 25770 del 29/05/2019).
Del resto, il Supremo Consesso stigmatizzava l’operato del giudice di merito anche in relazione a quel filone interpretativo secondo il quale il mancato esercizio, da parte del giudice del dibattimento, del potere dovere previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. non richiede un’espressa motivazione solo «quando, dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie, possa implicitamente evincersi la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria» (Sez. 1, n. 2156 del 30/09/2020), tanto più se si considerava che, dalla descrizione dei documenti in questione, allegati dal ricorrente al proprio ricorso, non era possibile dedurre la loro superfluità, apparendo però invece fondata l’affermazione del difensore, secondo cui essi avrebbero potuto imporre la declaratoria di estinzione del reato contestato, ai sensi del citato art. 103 d.l. n. 34/2020.
Anche sotto questo profilo, dunque, stimata dalla Corte di legittimità di non apparente superfluità della prova costituita dai documenti tardivamente depositati, il giudice avrebbe dovuto motivare esplicitamente le ragioni della loro omessa acquisizione d’ufficio, dal momento che risultava, al contrario, necessario valutare la loro possibile rilevanza in ordine alla sussistenza del reato.
Per le ragioni sopra esposte, pertanto, il ricorso proposto era accolto quanto ai motivi summenzionati, con assorbimento dei motivi residui, e la sentenza era annullata con rinvio al giudice procedente, in diversa persona fisica, per un nuovo giudizio che tenesse conto dei principi sopra richiamati.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando il mancato esercizio del potere dovere previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. non richiede un’espressa motivazione.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che il mancato esercizio, da parte del giudice del dibattimento, del potere dovere previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. non richiede un’espressa motivazione solo quando, dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie, possa implicitamente evincersi la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria.
Quindi, ove tale superfluità non sia evincibile in questo modo, ben si potrà contestare un provvedimento, sprovvisto di una espressa motivazione in ordine alla mancata applicazione di siffatta norma codicistica, nelle forme prevedute dal codice di rito penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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