Mutuo: possibili effetti del collegamento contrattuale e della presupposizione

Natura e funzione del contratto all’interno delle strutture negoziali complesse: il mutuo stipulato per ripianare il debito rivelatosi contra legem

Introduzione

Il mutuo assolve ad una funzione di prestito ed ha a oggetto denaro o altre cose fungibili (art. 1813 cc), così differenziandosi dal comodato, che può riguardare, al contrario, cose non consumabili e infungibili.

Il mutuo comporta il trasferimento della proprietà dei beni consegnati dal mutuante al mutuatario (art. 1814 cc), con l’obbligo, per questi, di restituirli. È molto discussa la sua natura di contratto reale o consensuale. Infatti si afferma che la conclamata realità del contratto di mutuo non richiede, in via tassativa, che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, l’esigenza del requisito della traditio potendosi ritenere soddisfatta anche allorquando il risultato pratico raggiunto in sua assenza si identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato (V.: Gazzoni, Manuale di diritto privato).

Posti la definizione e i principali caratteri del contratto di mutuo, che si svilupperanno ulteriormente nel corso della trattazione, le considerazioni che seguono, circa l’utilizzazione del suddetto contratto in contesti complessi, sono frutto di attenta analisi dei principi che regolano l’ordinamento civile, in assenza di specifiche conclusioni da parte della giurisprudenza di legittimità.

Contesti negoziali complessi possono essere definiti quei costrutti di clausole e contratti nominati ma utilizzati in maniera atipica, o del tutto atipici; composizioni la cui dinamicità è necessaria in alcuni ambiti, a causa della realtà eterogenea in cui si pongono.

In particolare si vuole qui porre l’attenzione all’ambiente bancario, contesto complesso per eccellenza, in cui il mutuo diviene spesso un mezzo per raggiungere scopi ulteriori a quelli che le norme parrebbero definire e si pone la necessità di apprestare una difesa alle parti deboli del rapporto contro impianti negoziali che comportano conseguenze impreviste a causa della stessa varietà finalistica in cui il mutuo può dispiegare i suoi effetti. È il caso del  mutuo stipulato per sanare debiti pregressi, ma tale definizione, come si vedrà, cela la difficoltà di identificarne la struttura e la causa.

Ebbene, è necessario che tutte le applicazioni pratiche del diritto siano conformi alle leggi e ciò richiede una preliminare conoscenza e corretta applicazione dei principi del diritto che regolano le libertà di diritto privato dei consociati, specificamente della libertà contrattuale.

Accanto agli istituti tipizzati dal legislatore si pongono sovente strutture apparentemente prive di fondamento sostanziale e normativo e i tecnici del diritto sono chiamati a conformarle coerentemente ai criteri giuridici che regolano l’intero sistema.

Questo procedimento, detto di tipizzazione sociale, è il vero fulcro sul quale attualmente ruota l’avanzamento giuridico: è un procedimento scientifico che permette agli operatori del mercato di avere a disposizione strumenti sempre all’avanguardia per affrontare e risolvere giuridicamente i nuovi problemi della società e del mercato, oltre che per assolvere ai nuovi obiettivi funzionali degli stessi.

Le strutture contrattuali

Contratto tipico e atipico

L’art. 1322 cc è espressione del principio di autonomia privata in ambito contrattuale, così che ai soggetti dell’ordinamento è concessa la libertà di determinare tramite un contratto il contenuto di un’obbligazione in genere, anche al di fuori dei tipi previsti dall’ordinamento. (V.: Cian – Trabucchi, Commentario breve al codice civile)

Ma, come rilevato brevemente nell’introduzione, tale libertà non può essere considerata assoluta, avendo l’ordinamento un suo preciso compito funzionale in termini di regolazione dei rapporti e di predisposizione delle finalità degli stessi.

Del resto è evidenza concreta quella per cui il codice civile tradisce un intento finalistico e impulsivo che descrive lo specifico periodo storico in cui è stato redatto e che recentemente è stato nuovamente portato alla ribalta. Dovendosi, altresì, ricordare gli sforzi ricostruttivi della dottrina e della giurisprudenza che hanno operato una revisione totale della materia e dei suoi caratteri principali in ossequio all’entrata in vigore della Carta Costituzionale e della riscoperta dei principi fondamentali dell’ordinamento.

L’attendibilità di tali considerazioni deve essere ricercata, oltre che nel testo del richiamato art. 1322 cc, anche nella disposizione dell’art. 1323 cc, che rende applicabili le norme generali sui contratti ai tipi innominati.

Entrambe le norme richiamate fanno riferimento al tipo legale quale astratto modello regolatore di una data operazione economica che ricorre nella vita di relazione. (V.: Bianca, Il contratto)

È evidente allora come il concetto di “tipo legale” si affianchi, senza eliminarlo, a quello di “tipo sociale”. Il legislatore provvede solo a rendere il primo automaticamente valido allo scopo prefissato, ove il contratto atipico sarà soggetto alle norme del Titolo III dedicato ai contratti in generale e, per analogia, alle norme dei contratti nominati (art. 1323 cc).

Così si spiega il contenuto del secondo comma dell’art. 1322 cc, che richiede un giudizio di valore da approntare ai contratti atipici, per verificarne la finalizzazione verso interessi meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. In dottrina, abbandonata la teoria c.d. oggettiva pura, che confondeva causa e tipo, si ritiene tale giudizio sostanzialmente coincidente con l’accertamento della non contrarietà del negozio alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume (V.: Cian – Trabucchi, op. cit.), dovendosi in ogni caso vagliare l’esistenza e la liceità della causa per come reinterpretata dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 10490/2006, cioè in chiave economico-individuale (c.d. causa i concreto); è principalmente nella causa, infatti, che si connatura la meritevolezza di tutela, con una preminenza della sostanza sulla forma.

Si rende necessario, del resto, tenere presente fin da subito che, in termini concreti, l’atipicità assoluta non esiste. Se astrattamente i privati sono liberi di definire il loro assetto di interessi come meglio ritengono utile, nel rispetto degli interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, le strutture negoziali elaborate dai privati portano con loro necessariamente i tipi legali, con varianti e collegamenti dettati dalle necessità del mercato (V.: Gazzoni, op. cit.).

Il contratto misto, complesso e collegato

L’autonomia negoziale ha dato vita, nel tempo, non solo a forme di regolamento di interessi distanti da quelle legislativamente nominate, ma anche a meccanismi negoziali che incidono sulla natura del negozio in termini tanto funzionali quanto strutturali.

Ebbene, nella pratica contrattuale, le parti, nel giungere a discipline di interessi adatte alle proprie esigenze, non sempre sono appagati dalle strutture tipiche del codice, così possono rifarsi ai contratti utilizzandone singole parti in un unicum negoziale. Altrettanto possono utilizzare più contratti nominati e innominati per raggiungere uno scopo unitario.

La differenza, dovendosi analizzare la struttura di questi componimenti, si attesta principalmente tra negozi unici con causa unica (contratto misto); negozi autonomi, con tante cause indirizzate al medesimo scopo funzionale (contratto complesso) e negozi separati ma non autonomi in quanto indirizzati, tutti, verso una causa unitaria (collegamento contrattuale). Ma in realtà il discorso è ben più complesso di come qui illustrato.

Qualora le parti del rapporto utilizzino più frammenti di schemi tipici, realizzando un contratto unico con una sua autonomia e una propria causa concreta, senza possibilità per i singoli frammenti tipici di avere una propria valenza autonoma, si avrà un contratto c.d. misto. In base all’interpretazione delle singole clausole contrattuali che lo compongono e in base alla prevalenza di alcune di esse, dovrà ricostruirsi la disciplina applicabile, che sarà la disciplina del contratto il cui frammento prevalga nella struttura del contratto misto o una disciplina autonoma e anch’essa frutto della commistione delle discipline dei contratti i cui frammenti sono stati utilizzati.

Differentemente, le parti potrebbero anche utilizzare più schemi tipici, o socialmente tipici, non frammentati, per dar vita ad una fattispecie unitaria che vale a spezzare le singole finalità di ogni istituto senza astrattamente eliderne l’autonomia; questo componimento prende il nome di contratto complesso (o composto). In tale contesto le singole fattispecie, costituite da contratti, potrebbero dare vita ognuna ad un autonomo negozio, ma ciò non avviene in quanto le cause dei singoli contratti si fondono in un unica causa che altrettanto unicamente andrà valutata. La disciplina applicabile, in questo caso, sarà quella tipica di ogni contratto, in virtù della loro valenza astrattamente autonoma.

Infine la libertà contrattuale potrebbe dar vita al c.d. collegamento negoziale, in cui più tipi, aventi autonomia strutturale e causale, vengono collegati tra loro da un nesso funzionale di dipendenza reciproca o unilaterale, così da non aversi né un rapporto frammentato né un rapporto unico, ma distinti tipi e distinte cause preordinati ad uno scopo unitario. Il valore di tale istituto si coglie indossando gli occhiali della causa in concreto, che permette di leggere tanti schemi e tante cause tipiche avvinte da una finalità raggiungibile solo con l’interdipendenza di tutte le formule che costituiscono il rapporto.

Per dirlo con le parole della Cassazione (sent. n. 11638/1991): “le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possono dar vita, con uno o più atti, a diversi e distinti contratti che, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e pur rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, vengono tuttavia collegati tra loro, in funzione del risultato concreto unitariamente perseguito, con rapporto di reciproca dipendenza, in modo che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro o sugli altri, condizionandone non solo l’esecuzione ma anche la validità.” (Concorde: Cass. 7255/2013).

È evidente come le difficoltà di differenziazione tra contratti misti, complessi e collegati vengano meno solo tenendo conto della causa: il contratto misto rileva a livello di fattispecie, postulando la commistione di frammenti tipici diversi e non autonomi; il contratto complesso rileva a livello funzionale, poiché la causa concreta lega le diverse strutture che rimangono solo astrattamente autonome tipologicamente e causalmente; il collegamento contrattuale è avvinto da una causa concreta unitaria che sopraffà, senza eliminarle, le singole cause dei tipi collegati (V.: Galli, Nuovo corso di diritto civile).

Il negozio indiretto e la presupposizione

I privati possono utilizzare un determinato tipo negoziale con la funzione ad esso impressa dal legislatore, ma possono anche utilizzarlo per raggiungere uno scopo che non è quello tipico del negozio, ma uno ulteriore o completamente differente. In questo caso il raggiungimento del fine ulteriore si situa al livello di motivo individuale che resta, perciò, estraneo al profilo causale divenendo irrilevante per il diritto. Differentemente il motivo rileva quale causa di illiceità e nullità dell’intero contratto, a norma degli artt. 1345 e 1418 cc, quando è esclusivo, illecito e comune ad entrambe le parti.

Il fine, lecito, o illecito ma non esclusivo e comune, che si risolva nell’imprimere al contratto una direzione di scopo ulteriore o differente da quella tipica, dà vita al c.d. negozio indiretto. Tale possibilità, che è frutto della lettura analitica, coordinata e sistematica dei richiamati artt. 1322 e 1345 cc, deve essere ulteriormente conformata alla disposizione contenuta negli artt. 1343 e 1344 cc.

È infatti il limite negativo posto alla causa in termini di sua liceità e divieto di elusione di norme imperative che deve essere applicato anche al negozio indiretto, altrimenti potendo i consociati aggirare i divieti posti dal Titolo II dei contratti in generale.

Ebbene, il motivo, che si oggettivizza nel contratto per radicarne la sua natura indiretta, si connette alla causa in concreto che dovrà poi essere interpretata per vagliarne la liceità. Il motivo così atteggiato, che consista in un’elusione di norme imperative, non potrà certo sfuggire al giudizio di meritevolezza approntato dal secondo comma dell’art. 1322 cc. Il medesimo ordine logico che collega il motivo alla causa, è anche utilizzato dalla dottrina e dalla giurisprudenza per descrivere un altro istituto rilevante per questa trattazione: la presupposizione.

Per la Cassazione “si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti e avente carattere obiettivo – essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività – e certo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento – pur in mancanza di un espresso riferimento – dell’esistenza ed efficacia del contratto” (sent. n. 9909/2018).

La conseguenza diretta della presupposizione è ricostruita da alcuni in termini di inefficacia per il venir meno dell’opportunità del contratto, con conseguente applicazione delle disposizioni in punto di risoluzione; da altri in termini di nullità per il suo agganciarsi, definendola, alla causa. Invero, il fenomeno della presupposizione rivela la difficoltà di essere ricondotta ad uno schema definitivo e, a parere di chi scrive, andrà di volta in volta recuperata la più congeniale conseguenza giuridica della sua rilevanza nel contratto.

Come si vedrà, è proprio questo lo scopo della trattazione: dare una risposta certa ma non assoluta, che renda la migliore soluzione di ragionamento a problemi concreti.

Il mutuo: struttura, natura e finalità

Il mutuo è il contratto col quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata quantità di denaro o altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della medesima specie e qualità (art. 1813 cc).

Posto che le cose date a mutuo passano in proprietà del mutuatario, come richiesto dall’art. 1815 cc, e che questi si obbliga a ritrasferire la proprietà al mutuante, ci si è chiesti se si tratti di un contratto a prestazioni corrispettive, come le norme sembrerebbero consigliare, o di un contratto con prestazioni a carico di una sola parte, in particolare del mutuatario obbligato alla restituzione.

Il dubbio deriva dal fatto che trattandosi di un contratto reale, come già evidenziato nell’introduzione, l’obbligo di consegna del mutuante non è effetto del rapporto, ma elemento perfezionativo. In altre parole, la traditio, anche se simbolica o brevi manu, è l’atto dal quale sorge l’obbligo del mutuatario alla restituzione, così si è parlato, da parte di certa dottrina, di assenza di obblighi in capo al mutuante.

Tale considerazione è in realtà lontana dal poter essere ritenuta valida. Infatti in capo al mutuante si sostanzia l’obbligo di far acquistare la proprietà dei beni, obbligo che ben può sostanziarsi nell’astensione da molestie petitorie fino allo scadere del termine del contratto (V.: Gazzoni, op. cit.). In realtà la questione si complica allorché si faccia riferimento al mutuo gratuito.

Il contratto di mutuo è da considerarsi oneroso salva diversa volontà delle parti, così che, a norma dell’art. 1815 cc il mutuatario deve corrispondere al mutuante, oltre ai beni o al capitale presi a mutuo, anche gli interessi legali o convenzionali a pena di risoluzione del contratto ex art. 1820 cc.

La natura di contratto a prestazioni corrispettive, se è ormai pacifica per il mutuo feneratizio, mal si concilia con il suo possibile carattere gratuito. Questo è essenzialmente un contratto unilaterale in quanto il mutuatario deve restituire solo i beni ricevuti senza nulla corrispondere per il godimento degli stessi (V.: Gazzoni, op. cit.). Non mancano tuttavia coloro che vedono nell’obbligo di restituzione puro e semplice una corrispettività degli obblighi.

Non resta che segnalare la circostanza per la quale il mutuo può assumere, all’interno della causa tipica di prestito, anche una causa finalistica ulteriore. Si suole differenziare due casi specifici: il mutuo c.d. di scopo e il mutuo modale.

Il mutuo di scopo si sostanzia nell’obbligo per il mutuatario, oltre la restituzione e il pagamento degli interessi, di perseguire una certa finalità per la quale la somma o i beni sono stati dati. In ciò si distingue dal mutuo modale, che si caratterizza per la presenza di una clausola modale. Infatti nel mutuo di scopo si insinua una vera e propria causa finalistica ulteriore al prestito, atta a realizzare un interesse di entrambe le parti del rapporto e di eventuali terzi. Sono tipici i casi del mutuo edilizio (Cass. 8564/2009) o di quello concesso da un ente pubblico per la costruzione di una struttura di pubblico interesse.

Più complesso il caso di mutuo fondiario (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38), che ha impegnato la giurisprudenza, divisa, nella definizione, tra mutuo di scopo e mutuo tipico. Da ultimo si è affermato non trattarsi di mutuo di scopo, poiché nessuna delle norme da cui esso è regolato impone una specifica destinazione dei beni concessi, né vincola il mutuatario al conseguimento di una determinata finalità, ma si qualifica nella possibilità da parte del mutuatario che sia proprietario di immobili rustici o urbani, di concedere una garanzia ipotecaria (Cass. 4792/2012).

Mutuo stipulato per ripianare il debito

Terminata, senza pretese di esaustività, la trattazione dei caratteri principali del mutuo, è necessario affrontare il tema centrale della discussione.

Il mutuo, caratterizzato da una causa tipica di prestito, è un istituto che in realtà si accomoda perfettamente con altri schemi tipici che ne possono costituire cornice e presupposto. In particolare vuole qui essere oggetto di studio e approfondimento il caso in cui il mutuo venga stipulato per ripianare debiti pregressi, così che le parti, già legate tra loro da un precedente rapporto di credito-debito che non si è estinto naturalmente, si determinino a stipulare un nuovo contratto rivestendo i panni di mutuante e mutuatario.

Se l’archetipo obbligatorio descritto si presta ad essere prescelto da chiunque, è usuale il suo concretizzarsi nei rapporti tra banca e cliente. In tale contesto i fattori principali dello schema si complicano ulteriormente dovendosi inserire in un rapporto non paritetico, in cui la parte forte è un istituto di credito che vede regolata la propria vita sociale da norme speciali, da atti di autorities e dal codice civile.

Occorre premettere che il contratto di mutuo è tipico e oltremodo comunemente utilizzato dalle banche per finalità proprie di essa, tra cui, rilevata la natura finanziaria del contratto (rectius: di prestito), l’autofinanziamento del rapporto di credito-debito pregresso, al fine di concedere al cliente debitore (in conseguenza di un precedente contratto) le sostanze necessarie all’adempimento.

Rilevata, perciò, la generale liceità dello modello, perché assente una norma che lo vieti, restano da analizzare caso per caso le possibili conseguenze. In particolare si dovrà valutare la natura dello schema negoziale utilizzato, per addivenire all’individuazione della causa concreta del rapporto e definirne le possibili conseguenze.

Prescindendo dal tipo di contratto principale tra banca e cliente, che potrebbe essere uno qualsiasi di quelli descritti dal codice civile o dalle leggi speciali (qui si prenderà ad es. il conto corrente), si deve focalizzare l’attenzione sul contratto di mutuo e sulle reali intenzioni delle parti.

Nel caso di mutuo stipulato per ripianare un debito in conto corrente bancario, è chiaro che non si possa individuare un contratto misto né composto, infatti non sono stati approntati frammenti di schemi tipici, ma interi tipi che però non descrivono l’ipotesi di contratto complesso in quanto ci si trova alla presenza di contratti formalmente distinti, accomunati tuttavia dalla presenza di un’unica causa concreta che non esclude le singole cause dei contratti utilizzati: si tratta, in ultima analisi, di un collegamento contrattuale unilaterale.

Il collegamento è particolarmente atteggiato per il promanarsi degli effetti, unidirezionalmente, dal mutuo verso il rapporto debitorio in conto corrente che vuole estinguersi. Ma tale relazione crea una interdipendenza delle singole obbligazioni; queste, pur essendo formalmente autonome le une dalle altre, sono in realtà rivolte al raggiungimento di un unico intento negoziale, con la dovuta specificazione che se il contratto di conto corrente produce gli effetti suoi propri, il mutuo è efficace, in quanto ha ragion d’essere, solo in conseguenza dell’esistenza del debito pregresso. In definitiva, pur trattandosi di un collegamento unilaterale, il rapporto base convive funzionalmente con le prestazioni oggetto del contratto di mutuo in quanto entrambi volti all’estinzione del debito e perciò non può escludersi un riverbero di effetti del rapporto base verso il mutuo successivo.

Rileva qui il consolidato orientamento della Corte di Cassazione (sent. n. 2544/1984), secondo la quale “perché possa configurarsi un collegamento di negozi in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, anche ai fini della nullità dell’intero procedimento negoziale per illiceità del motivo o della causa, ai sensi degli artt. 1344 e 1345 cc., è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico fra i negozi, che il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti, pur se non manifestato in forma espressa, potendo risultare anche tacitamente, di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento e il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore“.

È necessario perciò appurare che esistano tutti i requisiti richiesti. In particolare che la somma erogata con il mutuo sia andata a ripianare (anche parzialmente) il saldo negativo, così che il primo sia stato stipulato non già per una mera causa di finanziamento, ma al fine di estinguere una pregressa passività.

Più difficoltosa la ricostruzione dell’elemento soggettivo, consistente nel “comune intento pratico delle parti”. Ebbene, non essendo necessario che la causa in concreto venga formalizzata ed espressa, potrà risultare utile l’istituto della presupposizione, definita dalla Cassazione, con sentenza n. 633/2006, quale “figura giuridica che si avvicina, da un lato, ad una particolare forma di condizione, da considerarsi implicita e, comunque, certamente non espressa nel contenuto del contratto e, dall’altro, alla stessa causa del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica e concreta che il contratto è destinato a realizzare […]. Deve pertanto ritenersi configurabile la presupposizione tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, si evinca che una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo tale che l’assetto che costoro hanno dato ai loro rispettivi interessi venga a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l’operazione negoziale”. (V.: Andrea Agnese, Manuale del contenzioso bancario)

Occorre ulteriormente valutare se la combinazione negoziale soddisfi comunque il requisito di liceità del negozio, o se detta combinazione miri piuttosto ad aggirare un qualche divieto posto da norme imperative di legge tramite l’istituto del negozio indiretto. Nel qual caso, allora, si imporrebbe la sanzione di nullità, trattandosi di negozio realizzato in frode alla legge (art. 1344 cc.), ossia di negozio mirante alla realizzazione di una finalità pratica vietata dall’ordinamento giuridico. È evidente come il criterio di riferimento di tutta l’operazione ermeneutica sia la causa in concreto e perciò il vaglio di liceità andrà condotto sull’intento finale delle parti.

Infatti tale operazione di collegamento, come già evidenziato, non è necessariamente illecita: stipulare un negozio con finalità estintiva di un debito pregresso, è di per sé un’operazione lecita. Ma è necessario stabilire se il rapporto sottostante, che vale a racchiudere in se la causa del mutuo,  sia viziato da rilievi di nullità ex art. 1418 cc che generano un debito illegittimo, dovendosi allora applicare il brocardo simul stabunt, simul cadent e concludere per un’invalidità derivata che si staglia dalla causa in concreto del contratto di mutuo, privo dei suoi caratteri di giustificazione in quanto inesistente (anche parzialmente) o illegittimo il presupposto su cui si fonda.

Debito liquidato in conseguenza della maturazione di interessi ultralegali o usurari

Bisogna ora tornare al caso specifico per risolvere una concreta questione di diritto. Infatti resta da valutare, come da titolo a questo lavoro, l’atteggiarsi del debito sottostante il mutuo che risulti, in conseguenza di un erronea valutazione o cattiva applicazione di diritto, liquidato al lordo di singole poste ultralegali o usurarie.

Data la natura di collegamento negoziale dello schema descritto nel precedente paragrafo e della rilevanza della presupposizione all’interno di esso, è necessario stabilire se il presupposto (anche parzialmente) illecito, che perciò sarebbe stato considerato differentemente qualora l’illiceità fosse stata conosciuta al momento della stipulazione del mutuo, possa riverberare effetti sul mutuo stesso e in che termini.

La soluzione della nullità, come segnalata in conseguenza del collegamento contrattuale che veda l’illiceità del contratto base, non è necessariamente approntabile anche nel caso di specie. Questo si differenzia per un particolare che rileva pesantemente in punto di definizione giuridica dei rimedi: il rapporto di credito-debito non è viziato strutturalmente, ma contempla un oggetto (anche solo parzialmente) illecito.

La difficoltà della questione deriva dall’elevato numero di norme astrattamente operanti. Si deve previamente disambiguare la tematica in discorso: non si tratta qui di mutuo a tasso di interessi usurario ex art. 1815 cc, che rinvia all’art. 1284 cc per la determinazione degli interessi e che sancisce la nullità della clausola determinativa usuraria, con conseguente sanzione della gratuità del mutuo feneratizio; la tematica in commento attinge dal caso in cui siano stati calcolati interessi ultralegali per stabilire il credito base tra banca e cliente, con conseguente stipulazione del mutuo per ottenere, dalla stessa banca, un finanziamento atto a ripianare quel credito che si reputa essere illegittimo per contrarietà all’art. 1284, Co 3, cc, dove si stabilisce l’obbligo per le parti di determinare per iscritto il saggio di interessi superiore alla soglia legale.

Sostanzialmente non sono gli interessi del mutuo ad essere oggetto di illiceità, ma il debito dal quale scaturisce il consenso a stipulare il mutuo. Ad essere astrattamente applicabili sono le norme in punto di annullamento per vizi del consenso, risoluzione e nullità della clausola di interessi ultralegali.

In merito potrebbe facilmente riscontrarsi un possibile caso di errore essenziale a norma degli art. 1428 cc, qualora sia riconoscibile dalla banca, o di errore determinante ex art. 1430 cc, entrambi letti in combinato disposto con i doveri della banca (per come definiti dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 4571/1992, n. 72/1997 e n. 12093/2001, che hanno ritenuto di dover giudicare il comportamento della banca in modo più rigoroso e specifico richiedendo un grado elevato di diligenza necessario per evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela).

Infatti la normativa sulla correttezza nell’adempimento delle obbligazioni, prevista da molteplici norme del nostro ordinamento (artt. 1175, 1374, 1375 cc), è confortata dal precetto costituzionale (art. 2 Cost.) che impone il rispetto dell’inderogabile dovere di solidarietà sociale ed esige attuazione piena, nei limiti di compatibilità con altri valori di pari grado e dignità.

Nonostante tali considerazioni, che porterebbero all’annullamento del contratto con conseguenze anche di tipo risarcitorio a carico della banca, la Suprema Corte ha rilevato, nella sent. n. 23971/2010,  che “l’art. 1284, Co 3, cc […] espressamente prescrive, per la validità della pattuizione di interessi ultralegali, che essi siano determinati per iscritto” altrimenti “sono dovuti nella misura legale”, così che la sanzione sarebbe individuata nella sostituzione automatica della clausola.

La previsione della forma scritta riveste carattere di eccezionalità derogando al principio generale di libertà delle forme, ricavato dalla dottrina maggioritaria da un ragionamento a contrario rispetto all’art. 1350 cc e alle singole forme specificamente richieste dalla legge. L’art. 1284, Co 3, cc mira a dissuadere il creditore dal richiedere interessi superiori alla soglia legale e a rendere il debitore particolarmente avveduto delle conseguenze della stipulazione di una clausola più gravosa di quanto la legge ritenga normale (Cian – Trabucchi, op. cit.).

A ciò si affianca la richiamata sanzione della gratuità del mutuo (art. 1815 cc), e, analogicamente, di ogni altro rapporto che richieda il pagamento di interessi, in caso di tassi usurari a norma dell’art. 644 cp.

Deve sottolinearsi che tali disposizione sono valevoli anche nel caso in cui l’usurarietà o l’ultralegalità siano conseguenza di un errore di calcolo, avvenuto contrariamente alle prescrizioni legali; infatti la libertà delle parti nella determinazione degli interessi si affianca alla cura delle stesse verso il rispetto degli stringenti e inderogabili limite dettati dalla legge: si pensi alla normativa in materia di commissione di massimo scoperto, da ultimo disciplinata dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, con la quale si stabilisce che l’ammontare della commissione di massimo scoperto non può superare lo 0,5% a trimestre, si applica solo ai correntisti che hanno un fido ed esclusivamente se il superamento del massimo stabilito ha durata superiore ai 30 giorni. Sono inoltre state dichiarate illegittime le commissioni per la messa a disposizione di fondi a favore dei clienti titolari di un conto corrente applicate indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, e quindi indipendentemente dall’effettiva durata di utilizzo dei fondi da parte del cliente, a meno che tale corrispettivo non sia pattuito in forma scritta tra cliente e banca, e specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale.

Ebbene, a norma dell’art. 644, Co 4, cp, al fine di determinare il corrispettivo in concreto promesso si tiene conto “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”, così da rendere particolarmente difficoltoso e foriero di errori e false applicazioni del diritto il calcolo del tasso legale.

Definite le possibili cause di invalidità del contratto base e le possibili conseguenze sanzionatorie, non resta che valutare il tipo di riflessi che questi avranno sul mutuo collegato. Nell’esegesi del collegamento contrattuale si è fatto riferimento al brocardo simul stabunt, simul cadent. La naturale conseguenza risulterebbe essere, allora, la nullità dell’intero rapporto di collegamento e perciò tanto del contratto base quanto del mutuo.

Ma anche in questo frangente non è dato operare soluzioni generiche e affrettate. Infatti è da sottolineare come il vizio che attanaglia il contratto base (che sia l’usura o l’ultralegalità di interessi non determinati per iscritto) non ne faccia conseguire la caducazione per intero, ma solo relativamente alla clausola illecita. Si tratta, rispettivamente, di una sanzione civile di gratuità e di una nullità parziale con sostituzione automatica di clausola legale ex art. 1419 cc.

Infatti il rapporto di credito-debito resta in piedi, anche se modificato nell’ammontare del suo oggetto.

Sovviene la giurisprudenza a cogliere il nocciolo della questione, stabilendo che “una volta esclusa la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi” è consentito “attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, di (ri)determinare il credito della banca”(Cass. 23974/2010).

Non può che concludersi per un necessario ricalcolo del quantum della posizione debitoria, ciò salvo pregresso parziale saldo del debito, che potrebbe addirittura essere superiore al debito ricalcolato. Anche in presenza di un residuo di debito parziale resta da stabilire il destino del contratto di mutuo collegato. Questo, presupponendo un debito di un certo valore, sarà stato conseguentemente determinato e potrebbe risultare, in concreto, non più opportuno.

A tali richieste di tutela risponde perfettamente l’istituto della presupposizione, quale motivo rilevante per il rapporto perché oggettivizzato nella causa e perciò libero dai limiti sanciti dall’art. 1345 cc.

Nel caso de quo i frutti civili che influiscono sulla determinazione del debito rappresentano fattori presupposto, divenendo interessi obiettivi che il contratto è diretto a realizzare e concorrendo ad integrare la causa concreta. Resta da valutare se siano, perciò, soggetti alla disciplina propria di quest’ultima.

La presupposizione è una circostanza influente sul contratto in quanto comune e obiettiva, intendendosi perciò una situazione di fatto o di diritto idonea a condizionare in modo decisivo la volontà delle parti di contrarre e che, qualora non si oggettivizzasse nella causa, comporterebbe, in caso di sopraggiunta mancanza, la risoluzione del contratto, in caso di inesistenza originaria, l’annullabilità dello stesso. (Cian – Trabucchi, op. cit.).

Il mutuo contratto con la banca per ripianare i pregressi debiti porta con se la specifica intenzione di sanare gli stessi ed è definito, nel suo ammontare, in riferimento al pregresso quantum debeatur. Se ciò non vale ad escludere la causa tipica di prestito e finanziamento, certo non ci si può esimere dall’ammettere che se il debito pregresso fosse stato calcolato ab initio sulla base di un saggio di interessi lecito, il valore del mutuo avrebbe avuto una consistenza differente. È possibile statuire che qualora il cliente avesse conosciuto la causa di parziale invalidità del rapporto debitorio non si sarebbe certo determinato a stipulare un contratto di finanziamento con valore superiore per ripianarlo.

In definitiva, avrebbe potuto evitarsi ab origine la stipula del mutuo, in quanto le sostanze del debitore sarebbero potute essere sufficienti, o la contrattazione avrebbe potuto concludersi a condizioni meno gravose per la parte.

In punto di effetti, nel contesto descritto, l’istituto della presupposizione, riferita ai motivi tenuti presenti dalle parti come fondamentali per la nascita del rapporto contrattuale, pur non definendo un contratto di mutuo limitato ad uno scopo specifico, renderebbe gli stessi originariamente incidenti sulla causa del contratto, ciò comporta, a differenza delle conseguenze di una presupposizione che si riduca ad una sopravvenienza atipica, il venir meno ab initio della stessa causa in concreto, con la conseguente nullità del mutuo e salvezza, seppur parziale, del rapporto pregresso tra banca e cliente.

Preme segnalare, in conclusione, come la nullità del mutuo non comporti, nel caso in oggetto, la restituzione delle somme date dalla banca al cliente. Infatti queste saranno state direttamente riversate a saldo del debito pregresso e mai uscite dalla reale disponibilità della banca.

L’importanza di ciò si evidenzia per l’altrimenti eccessiva vessazione per la parte debitrice-mutuataria, che avrebbe l’onere di restituire i beni dati a mutuo anche se fossero già stati utilizzati.

Il chiarimento rende ancor più evidente come la scelta della nullità, per come giustificata nella trattazione, preferendola alla risoluzione e all’annullamento per le carenze strutturali che involgono il contratto, non deve essere considerata quale opzione generalizzata, ma solo un possibile risvolto del rapporto complesso tra le parti, che andrà sempre interpretato per poter addivenire alla conclusione più agevole e meno gravosa per i consociati.

Conclusioni

L’esercizio dell’autonomia privata è legittimo nei limiti dell’interpretazione dei principi dell’ordinamento, così le conseguenze sanzionatorie debbono essere distinte, tra nullità e annullabilità, in considerazione della lesione di interessi generali o particolari.

Si è detto come nella realtà sociale gli operatori del mercato abbiano bisogno di schemi contrattuali che si prestino a rispondere ad esigenze sempre nuove. Se la libertà negoziale, con i suoi limiti, pone le parti del rapporto nella condizione di poter raggiungere i propri scopi, è la libertà di dare vita a schemi negoziali strutturati in maniera complessa la vera arma contro l’impostazione statica del negozio giuridico.

I contratti misti, complessi e collegati stanno rendendo il mondo dei rapporti giuridici sempre più difficoltoso, ma per ogni evenienza che necessiti di risoluzione sorge un istituto che vale a dare concreta risposta.

È questo il caso della causa in concreto e della presupposizione, che, debitamente interpretati e utilizzati, pongono l’attenzione sugli interessi che le parti intendono regolare e permettono all’ordinamento di reagire proporzionalmente in virtù del suo animo più liberale e garantista.

Per tali ragioni si è voluta dare una soluzione ritagliata sul caso specifico e che non deve in alcun modo essere considerata unica. Infatti, in conseguenza della complessità delle situazioni e dei rapporti devono scaturire riflessi correttivi all’applicazione del diritto puramente e semplicemente, ciò nel contesto della recente riscoperta del principio di buona fede, ormai assurto a programma sostanziale per la salvaguardia dei diritti e obblighi promananti dall’art. 2 della Costituzione.

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