Natura giuridica delle societa’ privatizzate e implicazioni in tema di controllo della corte dei conti

Petroni Paolo 25/01/07
SOMMARIO: 1. Natura giuridica delle società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici ( legge n. 359/1992). 2. Implicazioni in punto di sindacato del giudice contabile 3. Permane il controllo della Corte dei conti? 4. Sentenza della Corte costituzionale n. 466/1993. Rilievi critici. 5. Il controllo della Corte dei conti e le società per azioni a partecipazione pubblica.   6. Il controllo sulla gestione degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria nell’evoluzione normativa. 
 
 
1. Natura giuridica delle società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici ( legge n. 359/1992).
 
Tra le principali e più dibattute questioni insorte in seguito della intervenuta trasformazione in società per azioni dei precedenti enti dell’economia, quella concernente la natura giuridica di tali organismi societari assume carattere prioritario, se non per altro per le numerose conseguenze che derivano dall’adesione all’una o all’altra tesi, ossia quelle della natura privata o pubblica: è sufficiente pensare ai riflessi che la problematica in esame e il tipo di soluzione che della stessa s’intende elaborare sono destinati ad avere in merito all’assoggettabilità degli enti privatizzati al controllo della Corte dei conti, nonché in ordine al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo delle controversie coinvolgenti gli enti medesimi.
È possibile ora procedere all’individuazione della natura giuridica delle società per azioni derivate dalla trasformazione degli enti di gestione delle partecipazioni statale e degli altri enti economici.[1]
Non vi è dubbio che tali organismi societari siano riconducibili alla categoria di società per azioni che la dottrina qualifica come società “a statuto speciale”, ovvero, qualora costituiscono oggetto di appositi atti legislativi, “a statuto singolare”, sì da evidenziarne la difformità rispetto al tipo codicistico sotto il profilo ora genetico, ora organizzativo, ora ancora funzionale:[2] l’analisi consiste nel verificare se tali difformità o deviazioni rispetto allo schema societario ordinario, pur denotando un rilievo pubblicistico degli enti in parola, siano ugualmente compatibili con la loro qualificazione privatistica, ovvero se le stesse comportino una alterazione sufficiente, per consistenza qualitativa e quantitativa, a corroborare la tesi della loro attrazione nella sfera pubblicistica[3]”.
Nell’ambito del profilo genetico, le società derivanti dalla “trasformazione” degli enti di gestione e degli enti economici si evidenziano per il fatto di essere state costituite non per effetto di un contratto o comunque di un atto di autonomia, bensì di un intervento legislativo, nonché, inoltre, senza una pluralità di soci.
Quanto al funzionamento dell’organismo societario, occorre individuare ed esaminare le norme che disciplinano la titolarità, e in particolar modo, l’esercizio dei diritti dell’azionista.
Importante tratto di diritto speciale si coglie nella previsione di cui all’articolo 15, comma 2 legge n. 359/1992, così come modificata da d.l. 23 aprile 1993, n. 118 convertito con modif. nella legge 23 giugno 1993, n. 203 in forza della quale “Il Ministro del Tesoro, al quale è stata attribuita la titolarità delle azioni delle società, eserciterà i diritti dell’azionista secondo le direttive del Presidente del Consiglio, d’intesa con il Ministro del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro dell’Industria del commercio e dell’artigianato”: è evidente, al riguardo, per un verso la natura pubblica delle “direttive” e dell’intesa, per altro verso che, per effetto di tale disposizione il Presidente del Consiglio, nonché i Ministri “hanno titolo nell’esercizio dei poteri dell’assemblea, titolo che non deriva dal diritto di proprietà privata delle azioni e che quindi non può essere ricondotto ad altro che alla loro posizione di autorità politiche.[4]
In particolare, dalla previsione dell’obbligo del Ministro del Tesoro di esercitare i diritti dell’azionista d’intesa con altri Ministri consegue che le concrete modalità di tale esercizio non sono il risultato di autonome determinazioni del socio, ossia del titolare delle azioni, bensì del concerto tra lo stesso e altri soggetti del tutto estranei, almeno formalmente alla struttura organizzativa dell’ente societario. L’esercizio dei poteri speciali da parte dell’azionista pubblico risulta, del resto, ulteriormente condizionato dal momento che, in forza dell’articolo 16 della legge n. 359/1992, il Ministro del Tesoro deve predisporre e trasmettere, d’intesa con altri Ministri, al Presidente del Consiglio un programma di riordino delle partecipazioni di cui all’articolo 15 della stessa legge: programma volto alla valorizzazione delle partecipazioni nelle società in questione “anche attraverso la previsione di cessioni di attività e rami di aziende, scambi di partecipazioni, fusioni, incorporazioni e ogni altro atto necessario al riordino” e sul quale le competenti commissioni parlamentari esprimono il proprio parere prima che sia approvato dal Consiglio dei Ministri.
Come è evidente, quindi, il Ministro del Tesoro, titolare delle azioni delle società derivate dalla “trasformazione” degli enti di gestione, appare fortemente condizionato, nell’esercizio dei suoi diritti di azionista, dall’obbligo di tener conto delle direttive del Presidente del Consiglio, dell’intesa da raggiungere con gli altri Ministri, nonché ancora più a monte, del programma di riordino elaborato in sede pubblica: si è senza alcun dubbio in presenza di importanti deroghe rispetto al regime societario tipico che, nel comportare una consistente alterazione dei normali meccanismi di funzionamento degli organismi societari de quibus e una compressione di non poco conto dell’autonomia funzionale degli organi societari con potestà deliberante (derivante dall’aver almeno in parte vincolato le procedure ordinarie di formazione della volontà sociale ad intese e soprattutto ad un atto, il programma elaborati in sede pubblicistica), costituiscono dati normativi il cui rilievo non si può sottovalutare nel verificare la natura privata o pubblica delle società in questione.
L’articolo 16 non si limita a prevedere l’adozione obbligatoria di un programma pubblico destinato a condizionare il Ministro nell’esercizio dei suoi diritti di azionista, ma prescrive anche, incidendo sulle finalità delle nuove società, che lo stesso contempli la devoluzione di una quota dei ricavi delle nuove società “alla riduzione del debito pubblico.”
La strumentalità delle società in questione al perseguimento di finalità pubblicistiche e lo stretto, intenso e penetrante legame tra le stesse e lo Stato non sarebbero potuti emergere con maggiore evidenza e chiarezza.
La disciplina statutaria prevista per le varie società nate per effetto della legge n. 359/1992, dispone il trasferimento all’Assemblea ordinaria dei soci di determinate competenze attinenti proprio alle materie per legge ricomprese nell’ambito di operatività del c.d. programma di riordino elaborato a livello governativo e normalmente spettanti al Consiglio di Amministrazione:
          l’acquisto e l’alienazione di partecipazioni d’entità superiore al 5% del valore della società partecipata;
          l’acquisto, l’alienazione e le dismissioni di aziende;
          le operazioni di fusione, scissione o trasformazione concernenti società controllate o collegate.
Appare evidente l’intento di rimettere almeno una parte di fondamentale importanza dell’attività gestionale delle nuove società alle determinazioni adottate al di fuori delle stesse, in sede pubblicistica, attraverso le intese e il programma suindicati: determinazioni che, in forza delle previsioni statutarie sopra enunciate, sono destinate a riflettersi in ambito societario.
Altro elemento di specialità, di particolare rilievo nell’indagine volta a verificare la natura pubblica o privata delle nuove società, lo si coglie nella disposizione di cui all’articolo 1, comma 7 del d.l. n. 309/1991 convertito in l. n. 359/1992 che, come rilevato, se per un verso prescrive la perdita di efficacia, nei confronti delle società derivanti dalla potenziale trasformazione degli enti di cui al primo comma, delle norme che subordinano l’attività di quest’ultimi a specifiche direttive gestionali, per altro verso fa salvi gli indirizzi di carattere generale.[5]
Concludendo, può dirsi che il regime cui sono sottoposti gli organismi societari in questione presenta connotazioni tutte peculiari: oltre all’istituzione per atto legislativo o, comunque, ad opera di un’autorità pubblica (CIPE) dalla legge allo scopo autorizzata, alla loro intera patrimonializzazione da parte dello Stato ed infine alla determinazione legislativa delle finalità cui l’elaborazione del programma di riordino e, attraverso l’attuazione di questo, il concreto svolgimento dell’attività sociale devono essere orientati, la disciplina dettata per tali enti si caratterizza per la previsione di regole di funzionamento che, se da un lato costituiscono una consistente alterazione del modello societario, comportando una compressione dell’autonomia funzionale degli organismi societari, dall’altro, rivelano la completa attrazione nell’orbita pubblicistica dell’ente societario.
 
 
2. Implicazioni in punto di sindacato del giudice contabile
 
Una volta chiarita la natura giuridica degli enti pubblici economici trasformati in società per azioni, ma non ancora sottratti al controllo dello Stato, in quanto non coinvolti in un processo di privatizzazione sostanziale, si possono verificare alcune delle implicazioni derivate da tale assunzione della veste societaria, non accompagnata da una perdita, da parte dello Stato, della partecipazione esclusiva o maggioritaria del capitale sociale di pertinenza pubblica.
 
3.       Permane il controllo della Corte dei conti?
 
Una questione di grande interesse e al tempo stesso estremamente delicata, sorta a seguito della trasformazione operata con l’articolo 15 del d.l. n. 333/1992, è quella dell’assoggettabilità o meno degli enti in questione, tenuto conto della nuova forma giuridica assunta, al controllo della Corte dei conti[6].
Il problema si è posto in concreto a causa del comportamento omissivo degli organi governativi aventi la titolarità delle azioni e l’esercizio dei relativi diritti nelle nuove società per azioni, organi che, con il mancato invio ai magistrati della Corte dei conti a partecipare alle sedute degli organi d’amministrazione e revisione di tali società, nonché con l’omesso invio dei documenti concernenti la gestione delle stesse, hanno di fatto impedito alla magistratura contabile l’esercizio delle proprie attribuzioni.
In risposta a tale comportamento omissivo, a giustificazione del quale è stato sostenuto che si deve ritenere superata la disposizione di cui all’art. 12 della legge n. 259/1958 “in quanto le modalità di nomina e la composizione degli organi di amministrazione e di controllo della società (…) sono state, per legge, devolute agli statuti societari” e “lo Stato non ha poteri di autorizzazione e direttiva, bensì i diritti dell’azionista[7] nonché che “le nuove società fuoriescono dal rapporto con lo Stato che fa da presupposto al controllo della Corte[8], la Corte dei conti, dopo aver sostenuto, con determinazione della sezione controllo enti del 3 ottobre 1992 n. 29[9], la persistenza dell’obbligo del governo di adottare i provvedimenti di assoggettamento al controllo della magistratura contabile delle società per azioni derivanti per “trasformazione” degli enti pubblici economici, dal momento che l’interruzione del controllo medesimo sulle nuove società per azioni controllate maggioritariamente dallo Stato “si pone in contrasto con la normativa vigente, attuativa, dell’articolo100 Cost.”, ha deliberato, con determinazione della stessa sezione n. 45 del 1992[10], stante il persistente comportamento omissivo del Governo, di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione.
Prima di passare ad esaminare l’iter argomentativo seguito dalla Corte costituzionale, che con sentenza n. 466 del 28 dicembre 1993[11]  ha dichiarato la persistente titolarità in capo alla magistratura contabile del potere di controllo nei confronti delle società per azioni derivanti dalla trasformazione ex lege di Iri, Eni, Ina ed Enel, è opportuno far riferimento ai dati normativi attraverso la cui interpretazione è possibile pervenire alla soluzione della questione.
In primo luogo, l’articolo 100, seconda parte del comma 2, Cost. prevede che la Corte dei conti “partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”, stabilendo anche che la Corte medesima, espletata tale attività di controllo ha l’obbligo di riferire “direttamente alle Camere sul risultato del riscontro effettuato.[12]
In attuazione di tale disposto costituzionale che, lungi dall’attribuire direttamente alla Corte dei conti un potere generalizzato di controllo sugli enti sottoposti a regime di contribuzione ordinaria, rinvia al legislatore, in tal modo presupponendo la mediazione della legge ordinaria per l’individuazione non solo delle modalità (“forme”), ma anche dei “casi” in cui tale potere deve considerarsi sussistente, la legge n. 259 del 1958 ha previsto due tipi di controllo, distinti per quel che riguarda sia i soggetti che vi sono sottoposti, sia le relative modalità di esercizio.
In particolare, al primo tipo di controllo sono sottoposti, ai sensi dell’articolo 2, legge n. 259/58, gli “enti” che con carattere di periodicità ricevono dalla pubblica amministrazione contributi da oltre un biennio ovvero, ancora, quelli cui è continuativamente attribuito un potere impositivo: questo primo tipo di controllo riguarda figure soggettive tanto pubbliche quanto private e fra queste ultime le società per azioni.
Il secondo tipo di sindacato è previsto, invece, dall’articolo 12 della legge n. 259/58 a tenore del quale “il controllo previsto dall’art. 100 Cost. sulla gestione finanziaria degli enti pubblici ai quali l’amministrazione dello Stato o un’azienda autonoma statale contribuisce con apporto al patrimonio in capitale o servizi ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria è esercitato, anziché nei modi previsti dagli articoli 5 e 6, da un magistrato della Corte dei conti, nominato dal Presidente della corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione.
Questa seconda tipologia di controllo ha per destinatari non tutti gli enti beneficiari di apporti al capitale, bensì soltanto quegli enti che, oltre a possedere gli altri requisiti richiesti dalla disposizione in questione, possono essere qualificati come “pubblici”.
È evidente quindi, che la trasformazione di Iri, Eni, Ina ed Enel in società per azioni, trasformazione direttamente attuata con la legge   n. 359/1992 , ovvero, ancora, degli altri enti pubblici economici dei quali il CIPE, esercitando il potere riconosciutogli dall’articolo 18 della stessa legge, delibererà la trasformazione in società per azioni[13], induce ad accettare se in capo a tali enti , ora espressamente sottoposti alla disciplina di diritto comune (ossia quella codicistica), ad eccezione della normativa speciale introdotta dalle disposizioni della L. n. 359/92 e dei successivi provvedimenti legislativi intervenuti in materia, sussistano ancora i requisiti giuridici richiesti per l’assoggettamento al controllo della Corte dei conti dalla L. n. 259/1958, ed in particolare dall’articolo 12 (interpretato in connessione con l’art. 100, co. 2, Cost. di cui costituisce attuazione).
Nel tentare di elaborare una soluzione giuridicamente corretta del problema sopraesposto, cioè coerente o quanto meno non incompatibile con i succitati dati normativi, l’interprete non può non lasciarsi influenzare dalle finalità ultime cui il controllo della magistratura contabile sul sistema delle partecipazioni statali è preordinato, nonché dalla verifica degli obiettivi finali del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche.
Per quel che concerne il primo dei due suindicati elementi di cui occorre tener conto nell’interpretazione dei dati normativi, è opportuno osservare che il controllo della magistratura contabile sulla gestione finanziaria degli “enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”, così come previsto dall’art. 100, co. 2, Cost., è diretto a soddisfare il fondamentale interesse dello Stato “che siano soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al giudizio del Parlamento”: ciò che si desume dall’art. 100, comma 2, Cost. è l’esigenza fondamentale che l’attività degli enti finanziati “in via ordinaria” dallo Stato o il cui patrimonio sia in tutto o in parte, di pertinenza statale sia sottoposta al controllo del giudice contabile e, attraverso il referto che quest’ultimo è tenuto a formulare, al controllo ed indirizzo del Parlamento.
Lo scopo primario della disposizione costituzionale di un controllo del giudice contabile sugli enti sovvenzionati in via ordinaria dallo Stato è quello di offrire alle Camere un canale informativo necessario per l’esercizio delle proprie funzioni sia di controllo che di indirizzo.
È evidente, di conseguenza, che la sottrazione al controllo del giudice contabile degli enti di gestione delle partecipazioni statali comporterebbe in concreto l’impossibilità o quanto meno la difficoltà per il Parlamento di ottenere quei dati conoscitivi e quegli elementi valutativi necessari per esercitare le proprie funzioni ispettive e di indirizzo su un settore di essenziale rilievo nell’ambito della finanza pubblica. Tali esigenze di tutela del patrimonio pubblico e di controllo ed indirizzo parlamentare delle forme di gestione dei fondi pubblici (oggetto di contribuzione “ordinaria”) non sono immediatamente soddisfatte per effetto del solo disposto costituzionale che, al contrario, avendo natura programmatica richiede la mediazione della legge ordinaria[14].
L’assoggettabilità degli enti di gestione delle partecipazioni statali al controllo della magistratura contabile “poteva” desumersi, fino all’entrata in vigore della legge n. 359/1992, dal citato articolo 12 della legge n. 259/1958, trattandosi tanto di enti ai quali lo Stato contribuiva “con apporto al patrimonio in capitale” quanto di “enti pubblici.
Se il primo dei due presupposti di assoggettabilità degli enti in questione al controllo della Corte dei conti non può certo considerarsi venuto meno a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 359/92 (che, sotto tale profilo, ha comportato soltanto la sostituzione dei vecchi fondi di dotazione con il capitale azionario, la cui titolarità è stata attribuita al Ministro del Tesoro), il problema si pone per il secondo presupposto, relativo alla qualificazione degli enti medesimi, ora trasformati in società per azioni, come “enti pubblici”.
Sembrerebbe che la mera trasformazione della forma giuridica di determinati soggetti, in particolare degli enti di gestione delle partecipazioni statali, e quindi l’assunzione da parte di questi della veste di società per azioni, possa aver determinato, nonostante sia di fatto rimasto inalterato l’apporto finanziario dello Stato e non sia venuto meno, quindi, quel complesso di interessi pubblici sottostanti il precedente assetto, una limitazione del campo di applicazione dell’articolo 12 della legge n. 259/1958 che fa riferimento agli “enti pubblici”.
La soluzione della questione ruota intorno all’interpretazione del citato articolo 12, nel far luogo alla quale, si deve avere ben presente che tale disposizione costituisce attuazione del precetto di cui all’art. 100, comma 2 Cost. [15]
4. Sentenza della Corte costituzionale del 28 dicembre1993, n. 466. Rilievi critici.
 
Occorre valutare se e come l’appurata esigenza che permanga il controllo del giudice contabile sulle società derivanti dalla trasformazione degli enti di gestione sia compatibile con i dati normativi dell’art 100, comma 2, Cost., e dell’articolo 12 della legge n. 259/58 il quale testualmente identifica i soggetti da sottoporre al controllo della Corte dei conti negli “enti pubblici” ai quali l’amministrazione dello Stato o un’azienda autonoma statale contribuisce con apporto al patrimonio.
È utile ripercorrere l’iter argomentativo seguito nella sentenza n. 466/93, con la quale la Corte Costituzionale, accogliendo il ricorso proposto dalla Corte dei conti, ha dichiarato che il giudice contabile conserva la titolarità del potere di controllo sulle società per azioni costituite a seguito della trasformazione dell’Iri, Eni, Ina ed Enel fino a quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società.
La Corte, in particolare dopo aver individuato l’elemento centrale della problematica in oggetto nella formulazione letterale dell’art 12 della l. n. 259/58, ha sostenuto di poter superare l’ostacolo frapposto dal dato testuale facendo leva su due fondamentali argomenti.
In primo luogo, il Giudice costituzionale ha rilevato la necessità di superare il tenore letterale procedendo ad un’interpretazione dell’articolo 12 tale da “adeguarlo” al dettato costituzionale, in particolare, all’art 100, comma 2, e alla funzione di controllo prevista da tale disposizione, già collegata dalla stessa Corte con sentenza n. 35 del 1962 “all’interesse preminente dello Stato (costituzionalmente rilevante per l’articolo 100 Cost.) che siano soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al giudizio del Parlamento”: tale finalità ha sostenuto la Corte “può giustificare la permanenza del controllo in questione anche nei confronti delle nuove società” fino a quando la gestione delle stesse possa incidere sul bilancio statale.
Il secondo argomento utilizzato dalla Corte al fine di superare il riferimento testuale operato dall’art 12 agli “enti pubblici” è quello dello stemperamento, sul piano tanto normativo quanto giurisprudenziale, della dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato, stemperamento desunto alla stregua di una triplice analisi: il crescente impiego della società per azioni per perseguire finalità di interesse pubblico, l’adesione comunitaria ad una nozione “sostanziale” di impresa pubblica e, infine, la possibilità di individuare nelle nuove società per azioni derivate dai precedenti enti pubblici “connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica[16].
Quest’ultimo argomento, quello relativo alla presenza nelle nuove società per azioni di tratti pubblicistici o comunque di peculiarità (concernenti la determinazione del capitale sociale, l’esercizio dei diritti dell’azionista, la destinazione dei ricavi dei cespiti da dismettere alla riduzione del debito pubblico) che le allontanavano dal modello di tipo codicistico di società per azioni, sì da indurre a riconoscere la loro natura di “diritto speciale”, è poi utilizzato dalla Corte per dimostrare la compatibilità tra il controllo previsto dall’art. 12 della l. n. 259/58 e la disciplina relativa alle “privatizzazioni.”
La motivazione della sentenza, pur offrendo degli spunti di grande interesse (in particolare, la rilevazione di tratti pubblicistici nelle società per azioni derivanti dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici, nonché, anche, l’affermazione della natura di “diritto speciale” riconosciuta a tali società), lascia intravedere il tentativo della Corte di risolvere il conflitto propostole nel senso della persistente titolarità in capo al giudice contabile del potere di controllo sulle nuove società fino a quando lo Stato conservi nella propria disponibilità la gestione economica delle stesse mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al relativo capitale azionario, senza, però, affrontare pienamente il punto principale della questione: quello, cioè, della riferibilità in via interpretativa della locuzione “enti pubblici” alle nuove società.
Il riferimento all’iter di gestazione della legge n. 259/58 ed in particolare del suo articolo 12 dal quale emerge l’esigenza di sottoporre pur sempre a controllo quanto meno i soggetti di vertice delle partecipazioni statale e attraverso questi, in via mediata, le società operative, così come il riferimento alla “funzione” del controllo previsto dall’art 100, comma 2, Cost., possono e devono giustificare un’interpretazione estensiva ed adeguatrice dell’art 12 (sì da preservarne anche la coerenza col disposto costituzionale di cui costituisce attuazione), ma non consentono in alcun modo di affermare la spettanza alla Corte dei conti del potere di controllo sulle nuove società argomentando, per saltum, dall’art. 100, comma 2, Cost.: questa disposizione rinvia per la sua attuazione alle norme di legge ordinaria ed è a queste, pertanto (art. 12 l. n. 259/58), che è necessario far riferimento. Al riguardo, la Corte, consapevole del fatto che la questione interpretativa finisce per ruotare attorno alla riconducibilità delle nuove società alla nozione di “enti pubblici”, fa leva sulla constatazione dello stemperamento della dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato; rileva, inoltre, la difficoltà di ricondurre all’una o all’altra categoria alcune figure che sembrano, piuttosto, collocarsi su una linea di confine, tra cui, in particolare, le società derivanti dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici che, da un lato, presentano tratti pubblicistici desumibili dall’articolo 14 della l. n. 359/92, dall’altro lato, sono sottoposte ad una disciplina per larga parte derogatoria rispetto al regime tipico delle società per azioni.
La distinzione tra enti pubblici e società di diritto privato, infatti, pur ridimensionata resta pur sempre un dato presente ed ineludibile: al contempo, la semplice constatazione dell’esistenza di deroghe al regime tipico delle società per azioni ovvero la rilevazione di tratti pubblicistici sono osservazioni che non appaiono sufficienti a risolvere il problema della riconducibilità alla sfera applicativa del citato art. 12 delle società costituite a seguito della trasformazione operata con la legge n. 359/1992.
Sembra, quindi, mancare nella motivazione della sentenza n. 466/1993 un’ulteriore ed essenziale passaggio logico, volto a verificare se quelle molteplicità di deroghe alla disciplina societaria tipica, nonché di tratti pubblicistici (deroghe e tratti pubblicistici che la stessa Corte, nell’iter argomentativo seguito, ha indicato come caratterizzanti la disciplina delle società derivanti dalla trasformazione intervenuta con l’entrata in vigore dell’art. 15, l. n. 359/92) sia sufficiente a giustificare una qualificazione in senso pubblicistico delle nuove società per azioni, che consenta di ricondurle nella sfera di operatività del citato art. 12.
Per procedere a tale verifica la Corte avrebbe dovuto affrontare in via preliminare la tematica della configurabilità di enti pubblici a struttura societaria[17].  
5. Il controllo della Corte dei conti e le società per azioni a partecipazione pubblica
 
La Corte costituzionale, nell’assumere un presupposto oggettivo per l’esercizio della funzione di controllo, si è scontrata in primo luogo con il dato testuale fornito dall’articolo 12 della legge n. 259 del 1958, legge che distingue, da un lato, il controllo della Corte dei conti riguardante gli “enti” di qualsiasi natura cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (art. 2, lett. a-b)[18], dall’altro, il controllo relativo agli “enti pubblici” ai quali l’amministrazione statale o una azienda autonoma statale contribuisce con apporto al patrimonio in capitale, beni e servizi, ovvero mediante concessione di garanzia (art. 12)[19]. In questa seconda ipotesi , parlando esplicitamente di “enti pubblici”, la legge adotta un criterio soggettivo, anziché oggettivo , di individuazione degli enti da sottoporre a controllo, che porterebbe ad escludere dal controllo le nuove società derivate dalla trasformazione degli enti pubblici economici, come già in passato escludeva le società per azioni con partecipazione statale.
Prima della legge n. 259 del 1958 l’individuazione degli enti sovvenzionati da sottoporre al controllo della Corte dei conti non si fondava sul dato formale della loro natura giuridica.
L’articolo 15 della legge 19 gennaio 1939, n. 129, istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni, aveva disposto che i rendiconti consuntivi degli “enti di qualsiasi natura”, di importanza nazionale, assistiti direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato, venissero sottoposti a controllo pubblico.[20]
L’utilizzo dell’espressione “enti di qualsiasi natura” sta a significare che si era voluto individuare la categoria degli enti da sottoporre a controllo facendo riferimento non già alla natura della persona giuridica, bensì all’elemento oggettivo della sovvenzione statale. La natura, pubblica oppure privata, dell’ente non assumeva rilevanza alcuna ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 15 della legge n. 129/1939, essendo unico elemento determinante l’esistenza di una sovvenzione statale.
L’impostazione sostanzialistica è stata fatta propria anche dall’articolo 100 della Costituzione, a norma del quale l’elemento che fonda il controllo da parte della Corte dei conti è fornito non dalla natura giuridica degli enti, bensì dal loro gravare sulla finanza statale. La categoria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria ex art. 100 Cost. comprende dunque enti sia pubblici sia privati, attribuendosi esclusiva rilevanza all’elemento sostanziale della provenienza pubblica delle risorse.
Già in Assemblea Costituente, però, erano state espresse perplessità sull’opportunità di estendere il controllo della Corte dei conti alla gestione degli enti, sia pubblici sia privati, ma in special modo privati, cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, ritenendosi che esso avrebbe potuto creare seri inconvenienti al funzionamento di tali soggetti.[21]
Queste perplessità riaffiorarono in occasione della discussione del disegno di legge che sarebbe poi divenuto la legge n. 259 del 1958, quando si scontrarono due concezioni tra loro antitetiche, una favorevole ad assoggettare al controllo anche le società cui lo Stato partecipava con apporti di patrimonio, l’altra contraria addirittura a sottoporre a controllo gli enti pubblici di gestione.[22]
Venne infine trovata una soluzione di compromesso, intesa ad escludere dal controllo le società a partecipazione statale e non anche gli enti di gestione, mediante l’attuale formulazione dell’art. 12 che sottopone i soli “enti pubblici” che beneficiano di apporti patrimoniali o di garanzia finanziaria pubblica ad un particolare tipo di controllo da esercitare sia mediante l’invio di conti consuntivi e dei bilanci, sia mediante un magistrato della Corte, nominato dal Presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione dell’ente.
Ai fini dell’assoggettamento a controllo nei modi previsti dall’art. 12 della legge occorre quindi che sussistano contemporaneamente la qualità soggettiva di ente pubblico e quella oggettiva dell’apporto al patrimonio in capitale, servizi o beni, ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria, come del resto è stato più volte riconosciuto dalla stessa Corte dei conti.[23]
 
6.       Il controllo sulla gestione degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria nell’evoluzione normativa.
 
Tra i controlli che l’articolo 100 della Costituzione affida alla Corte dei conti vi è quello sulla gestione finanziaria degli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria.
Il telaio normativo per lo svolgimento della funzione di controllo referente di cui all’art. 100, comma 2, Cost., risulta costituito dalla legge 21 marzo 1958, n. 259.
Ed invero, la predetta legge definisce, in coerenza con il disposto costituzionale quali siano le contribuzioni ordinarie (art. 2) agli enti sottoposti al c.d. “controllo cartolare” (artt. 5 e 6); individua nel decreto del Presidente della Repubblica (ora, del Presidente del Consiglio dei Ministri) l’atto dichiarativo di sottoposizione al controllo nonché le condizioni per l’esclusione in ragione dell’interesse esclusivamente locale degli enti ovvero della particolare tenuità della contribuzione (art. 3); disciplina le condizioni di esercizio del controllo attraverso la presenza del magistrato incaricato di funzioni istruttorie alle sedute nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali o di revisione; determina nei conti consuntivi e nei bilanci di esercizio i documenti fondamentali sui quali esercitare, comunque, il controllo; sottolinea nel suo complesso la natura consuntiva del controllo in esame teleologicamente rivolto all’attività ed alla gestione (art. 4), ed a tale scopo pone l’obbligo di fornire alla Corte tutte le informazioni e le notizie della stessa ritenute necessarie (artt. 5 e 6) di cui le principali vengono indicate nella determinazione assunta dalla Sezione a seguito dell’emanazione del decreto di sottoposizione al controllo per gli enti ex art. 2 ovvero a seguito della previsione normativa per gli enti ex art. 12 della legge n. 259/1958.
La diversità del modulo di controllo adottato (art. 2 o art. 12) non comporta una diversità o alternatività dello stesso, quasi a delineare una sorta di monocraticità della relativa funzione nei casi nei quali vi sia una contribuzione agli enti attraverso un apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria, in quanto il controllo referente di cui trattasi è unitario e spetta alla Corte che lo esercita esclusivamente, nel suo naturale circuito istituzionale con Governo e Parlamento, attraverso la specifica sezione a tal scopo istituita (art. 9.)
La legge in esame, inoltre, prevede (art. 8) la possibilità di segnalare specifici rilievi al Ministro del Tesoro ed a quello competente, tale disposizione è stata in un primo momento abrogata dall’articolo 3, comma 1 del D. Lgs. n. 286/99 e poi ripristinata dalla Corte costituzionale con sentenza 17 maggio 2001, n. 139.[24]
La lacunosità normativa soprattutto in ordine ai contenuti del controllo sulla gestione non ha, peraltro, oscurato la potenzialità del controllo da effettuare ed i relativi esiti tanto che sia l’art. 131[25] del regolamento del Senato, sia l’art. 149[26] del regolamento della Camera prevedono espressamente l’esame , da parte delle commissioni competenti per materia, delle relazioni della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato con la possibilità anche per la competente Commissione delle Camere di richiedere alla Corte ulteriori informazioni ed elementi di giudizio sottolineando così il ruolo di protagonista attivo del Parlamento per l’arricchimento della propria conoscenza sull’attività o su singole vicende degli enti.
Le carenze registrate nell’archetipo normativo, la proliferazione degli enti, le duplicazioni nel perseguimento dei fini, la distribuzione di risorse “a pioggia” volte ad innescare processi di autoalimentazione delle molteplici figure soggettive, un sistema contabile inadeguato, non hanno indubbiamente favorito un efficiente controllo.
Dovevano, peraltro, trascorrere quasi vent’anni perché con la legge 20 marzo 1975 n. 70 si procedesse ad un primo riordinamento degli enti pubblici istituzionali per una razionalizzazione delle missioni istituzionali che consentisse, tra l’altro, l’individuazione degli enti ritenuti necessari sulla base delle funzioni esercitate.
La svolta fondamentale per un più efficace controllo capace di fornire un effettivo valore aggiunto all’informazione doveva ancora attendere quattro anni. Ed invero, soltanto con il DPR 18 dicembre 1979, n. 696 viene approvato il nuovo regolamento per la classificazione della entrate e delle spese e per l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70.
È con tale disciplina giuscontabile che si introducono i primi rudimentali ma fondamentali strumenti indispensabili per il controllo sulla gestione. Si prevede, infatti, un nuovo conto consuntivo, composto da rendiconto finanziario, conto economico, da situazione patrimoniale e situazione amministrativa, il quale insieme al bilancio di previsione formulato in termini finanziari di competenza e di cassa consente una “lettura” più adeguata e realistica dei fatti e dell’attività gestoria più vicina a quella già consentita dai documenti di bilancio previsti per gli enti pubblici economici e, comunque, più coerente con il dettato della L. n. 259 del 1958
Finalmente, poi , con il D.P.R. 27 febbraio 2003 n. 97 si è provveduto a dettare un nuovo Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. n. 70 del 1975.
Deve evidenziarsi, comunque, il significativo ruolo svolto dal D.P.R. n. 696 del 1979, che si inserisce nel quadro della più generale rivoluzione copernicana in atto nelle pubbliche amministrazioni destinata ad incidere anche sui controlli tradizionali nel passaggio dalla cultura del procedimento a quella dei risultati. In tale mutamento, quindi, accanto alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego ed alla riforma dell’Amministrazione vedono la luce le disposizioni in materia di privatizzazioni degli enti pubblici economici tra le quali giova ricordare, in quanto più significativo, il D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1992 n. 359.
Detto decreto ha disposto, tra l’altro, la diretta trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA, ed ENEL ritenuta inizialmente suscettibile di interrompere il rapporto di controllo della Corte dei conti sulle società succedutesi agli enti pubblici economici confermato, invece, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 466/1993. D’altra parte “non è… la veste formale dell’organismo di diritto pubblico (S.p.A.) che può escludere il controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 100 della Costituzione, giacché è la natura sostanziale dell’organismo che deve essere analizzata ed i modi di contribuzione da parte dello Stato alla sua gestione.[27]
Una diversa e significativa modulazione dei controlli viene introdotta dalla L. 14 gennaio 1994, n. 20, in materia di controllo della Corte dei conti, con la quale in particolare si riducono nella loro tipologia i controlli preventivi di legittimità e si esalta il controllo sull’attività come strumento per la verifica del rispetto dei principi di efficienza, di economicità e di efficacia.
In particolare, con riguardo alla disciplina del controllo, l’art. 3 comma settimo, conferma il controllo sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria siccome disciplinato dalla L. n. 259 del 1958, introducendo il compito di formulare valutazioni sui controlli interni. Con il comma 4 della stessa norma, si dispone che la Corte dei conti “svolge… il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche attraverso la verifica della legittimità e della regolarità della gestione nonché del funzionamento dei controlli interni ed accerta la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.”
Ne risulta, così, ampliato il contenuto e l’ambito di riferimento della sezione controllo enti sia sotto il profilo del giudizio valutativo, da esprimere a seguito dei riscontri effettuati, che sotto il profilo delle figure soggettive investite dal controllo.
A tale ultimo riguardo , infatti, le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno ritenuto[28]che per identificare le “amministrazioni pubbliche” deve utilizzarsi l’indicazione contenuta nell’articolo 1 , comma 2, del D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 e che, pertanto, spetta alla sezione controllo enti “nei modi, nei tempi e nelle forme dalla medesima determinati” il controllo sugli enti pubblici non economici nazionali che ricomprendono “tutti gli enti pubblici che, ovunque, abbiano la sede, non perseguono fini racchiusi in un particolare ambito territoriale, non hanno la cura degli interessi di popolazioni locali e non traggono sostegno da finanze locali.
A seguito di detta pronuncia la Sezione controllo enti[29]dopo un ampio esame della L. n. 20 del 1994 ha avuto modo di precisare con riferimento agli enti sottoposti a controllo nella rinnovellata funzione ex art. 3, comma 4, L. n. 20 cit., che:
a) il controllo è previsto dalla legge n. 20 per la verifica della “legittimità e regolarità della gestione” degli enti, e si svolge anche con la richiesta di riesame di atti non conformi alla legge;
b) il controllo stesso è preordinato, come quello disposto dalla legge n. 259 del 1958, al riscontro del grado di adeguamento dei risultati agli obiettivi, e alla “valutazione complessiva della economicità/efficienza dell’azione amministrativa e dell’efficacia dei servizi erogati”;
c) la previsione legislativa della valutazione comparativa dei “costi, modi e tempi di svolgimento dell’azione amministrativa” induce alla preordinazione di un controllo svolto congiuntamente, ove sia possibile ed utile, su serie di enti, o su argomenti di carattere generale, con referto unitario al Parlamento;
d) l’accennata soluzione deve essere tuttavia realisticamente correlata alla possibile pratica del controllo “a campione”, che sia reso necessario dalle concrete disponibilità della Sezione.”
La disciplina esaminata, comunque, evidenzia la necessità di procedere al completamento della riforma dell’amministrazione, anche rivedendo e razionalizzando gli enti pubblici operanti nell’ordinamento, e della più generale riforma del bilancio. Ed invero, un compiuto giudizio in termini di costi, tempi e modi dell’attività, così come precisato dall’articolo 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994 , non può prescindere da una puntuale identificazione di funzioni e di obiettivi e da una corrispondente articolazione e classificazione dello stato di previsione della spesa per funzioni, obiettivi alle quali si riconnette la gestione delle risorse finanziarie. Si avverte l’esigenza di introdurre un bilancio economico, che si affianchi a quello finanziario, e prevedere accanto ad una contabilità generale, che registra i valori per natura, una contabilità economico analitica che rileva le operazioni degli enti secondo la destinazione e la provenienza dei fattori; appare possibile l’individuazione di centri di responsabilità, intese come unità organizzative titolari di poteri di gestione delle risorse, e, al loro interno, di centri di costo, intesi come unità di riferimento per il raggruppamento di operazioni elementari che abbiano compiutezza funzionale ed ai quali sia possibile imputare costi diretti ed indiretti sostenuti per lo svolgimento dell’attività, al fine di pervenire ad una distinzione e valutazione tra responsabilità della gestione e responsabilità del singolo fatto gestorio in linea con la generale riforma introdotta dal D.lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni .
In linea con tali esigenze vengono emanate la L. 15 marzo 1997 n. 59 e la L. 3 aprile 1997 n. 94 destinate a produrre particolari effetti anche con riguardo all’esercizio della funzione della sezione controllo enti.
Con la L. n. 59/97 si dispone una ampia delega, anche per riordinare gli enti pubblici nazionali in un’ottica di riqualificazione della spesa pubblica e di ottimizzazione delle risorse.
Con la L. n. 94/97 e con il relativo D.lgs. n. 279/97, si provvede, invece, a disegnare una diversa formazione e una nuova struttura del bilancio al fine di identificare i compiti assegnati alle amministrazioni (le c.d funzioni obiettivo), di favorire la misurazione del prodotto delle attività svolte, di identificare centri di responsabilità della gestione.
Si dispone l’obbligo di adottare una contabilità economica che l’art. 10 del menzionato D.lgs. n. 279/97 estende a tutte le amministrazioni pubbliche e, quindi, anche agli enti.
Con il decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 286, recante il riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, emanato a norma dell’articolo 11 della L. n. 59 del 1997, si è disposta all’articolo 3 comma 1, l’abrogazione dell’articolo 8 della L. n. 259/1958, innovando significativamente la disciplina del controllo sugli enti, motivata, secondo la relazione al decreto, dalla opportunità di eliminare un controllo successivo avente ad oggetto la legittimità di singoli atti rimarcando, così , il contenuto della funzione di controllo referente della sezione sull’attività e, quindi, sulla gestione.
In tale ottica ed allo scopo di disporre di un’informazione ampia sull’andamento delle pubbliche risorse e dei risultati conseguiti si ritiene debba essere letta la disposizione di cui all’art. 3, comma 5, del D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 419, relativo al riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali, a norma degli artt. 11 e 14 della legge n. 59 del 1997 , la quale prevede che sulla gestione degli enti privatizzati, i quali continuino a svolgere e gestire compiti e funzioni e fruiscano di risorse, comunque pubbliche, debba esercitarsi il controllo successivo della Corte dei conti, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, sia pure limitatamente all’esercizio di funzione e servizi pubblici.
 
 


[1] Un ulteriore spinta al processo di privatizzazione è stata da ultimo impressa da d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito con legge 8 agosto 2002, n. 178, i cui articoli 7 e 8 prevedono rispettivamente la trasformazione dell’ANAS in S.p.A. a partecipazione pubblica e la creazione della CONI S.p.A. come braccio operativo di cui si avvale il CONI nell’espletamento delle sue attività istituzionali.
 
[2] Cfr. C. IBBA, Gli statuti singolari, in Trattato delle società per azioni, diretto da C.E  COLOMBO e G.B PORTALE, Vol VIII, Le società di diritto speciale, Torino, 1992, 525 ss, in partt. 674 ss.
[3] Cfr. F. CARINGELLA, Gli enti pubblici in forma societaria. Le ipotesi problematiche delle società statale e locali a partecipazione pubblica., in Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, 689 ss.
[4] G.P ROSSI, L’evoluzione del sistema elettrico, in particolare il rapporto tra l’Enel e le imprese degli enti locali, in Rass. giur. energia elettrica, 1993, 22.
[5] Cfr. R. GAROFOLI, La privatizzazione degli enti dell’economia. Profili giuridici, Milano, 1998, 348 ss.
[6] L’estremo interesse del tema è testimoniato dall’intenso dibattito al riguardo sviluppatosi. Cfr. R. PERNA, Privatizzazione formale/sostanziale e controllo della Corte dei conti, in Foro it., 1993, I, 285 ss. L’autore sottolinea che con le due determinazioni in epigrafe (Corte dei conti sez. contr. Enti. 3 ottobre 1992 n. 29 e 18 giugno 1992 n. 23) la Corte dei conti pone la propria attenzione su un punto cruciale del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche avviato con il d.l. 5 dicembre 1991 n. 386, convertito dalla legge 29 gennaio 1992, n. 35, e portato a compimento con il successivo d.l. 1 luglio 1992, n. 333, disposizioni urgenti in materia di finanza pubblica, art. 14-21 convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359: il rapporto fra privatizzazione della forma giuridica e privatizzazione dell’assetto proprietario. L’autore afferma che “il giusto contemperamento fra esigenze imprenditoriali e gli interessi pubblicistici sottostanti la disciplina garantistica delle imprese pubbliche, va ricercato non tanto nel profilo formale del controllo societario, profilo che presenta caratteristiche di elevata “volatilità” nel contesto imprenditoriale, ma in più solidi elementi sostanziali. In tal senso elemento dirimente appare essere l’effettivo assetto di interessi che viene configurato come obiettivo finale del processo di privatizzazione delle imprese pubbliche. In sostanza, nei casi in cui la privatizzazione della forma giuridica delle imprese pubbliche è direttamente finalizzata alla privatizzazione dell’assetto proprietario dell’impresa stessa, non v’è dubbio che l’interruzione del rapporto di controllo con la Corte dei conti risulti non solo legittima, ma funzionale ad un utile collocamento sul mercato della struttura imprenditoriale da dimettere. La permanenza del controllo del giudice contabile finalizzata alla verifica della regolarità della gestione, non appare coerente con la decisione di cedere il controllo sull’impresa a soggetti privati”. C. PINELLI, Prudenza e giurisprudenza in un’interpretazione adeguatrice, in Giur. Cost., 1993, 3872 ss. L’autore ha dichiarato la sottoposizione al controllo da parte della Corte dei conti delle S.p.A. costituite a seguito della trasformazione degli enti pubblici economici “fino a quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali società”. Il progressivo affievolirsi della dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato è da ascriversi, secondo la stessa Corte (v. motivazione , in Giur. Cost., 1993, 3842), all’impiego crescente, in sede normativa, dello strumento della società per azioni per il perseguimento di finalità di interesse pubblico e alla contestuale emersione, in sede comunitaria, della nozione sostanziale di impresa pubblica. È impresa pubblica, recita l’articolo 2 ella direttiva CE n. 80/723, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche “ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possano esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà , di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina”. M. MAUGERI, Il controllo della Corte dei conti sugli enti pubblici economici “privatizzati”, in Giur. Comm., 1994, 543 ss,; C. DEL BONO, Il controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati e la nozione comunitaria di “impresa pubblica”, in Riv. It. Dir. Pubbl. comunitario, 1994, 1011.  Sulla più ampia tematica del controllo sugli enti privatizzati R. PEREZ, I controlli sugli enti pubblici economici privatizzati, in Le trasformazioni del diritto amministrativo, S AMOROSINO (a cura di), Milano, 1995, 195 ss.
 
[7] Nota del 15 settembre 1992 del Ministero del Tesoro
[8] Comunicazione del 10 agosto 1992 del Presidente del Consiglio al Presidente della Corte dei conti.
[9] Vedila in Foro it., 1993, III, 283 ss.
[10] Vedila in Riv. Corte dei conti, 1993, n. 1, I, 35 ss.
[11] Vedila in Giur. cost, 1993, 3829 ss. con nota di C. PINELLI, op. cit.
[12] Cfr. G. CARBONE, Commento all’art 100, nel Comm. della Costituzione fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, 64 ss (estratto dal volume Gli organi ausiliari, Art. 99-100). L’autore sottolinea che “riserva di legge per l’individuazione dei casi e determinazione delle forme di controllo sulla gestione finanziaria degli enti, è stata svolta con la legge 21 marzo 1958, n. 259. Tale legge prevede prevede una dicotomia del regime di controllo tra due categorie di enti: quelli che ricevono contribuzioni correnti, continuative o periodiche e quelli che sono finanziati con apporto di capitale; dai quali la legge fa discendere diversi modi del controllo, di tipo cartolare l’uno (trasmissione di documenti e contabilità consuntive, d’ufficio o su richiesta, direttamente o per il tramite degli organi di controllo interno ovvero dei ministeri vigilanti) e di tipo “presenziale” l’altro (con l’intervento nelle sedute degli organi di amministrazione e di revisione degli enti da parte di un magistrato della Corte delegato dal Presidente)”. Con la trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni ci si chiese se “legittimava la legge n. 259 una diretta ed immediata sottrazione al controllo della Corte dei conti di tali enti società, in una fase di transizione da pubblico a privato?” La risposta a tale interrogativo è stata data dalla Corte costituzionale che con decisione n. 466 del 28 dicembre del 1993, ha dichiarato persistere il controllo della Corte dei conti sulle società succedute agli enti privatizzati “fino a quando permanga inalterato nella sostanza l’apporto finanziario alla struttura economica dei nuovi soggetti, cioè fino a quando lo Stato conservi nella propria disponibilità la gestione economica delle nuove società mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario delle stesse.” Si è posto il problema se sul punto della persistenza del controllo ex art. 100 Cost. sui nuovi soggetti succeduti agli enti pubblici economici, tale controllo dovesse restaurarsi passando attraverso un nuovo procedimento di individuazione assoggettamento degli enti esposti al controllo della Corte dei conti, e perciò seguendo la strada, non prescritta dalla legge, ma sin dal 1958 instaurata consensualmente dal Governo e Corte dei conti, di rimettere l’individuazione dell’ente esposto al controllo pubblico a un atto ricognitivo- accertativo del Governo. L’autore sostiene che “si deve ritenere costituzionalmente più proprio e più corretto un procedimento accertativo- valutativo dell’identità degli enti da ricomprendere o da riportare al controllo della Corte dei conti rimesso alla determinazione dello stesso organo dalla Costituzione investito del potere dovere di esercitare il controllo.
[13] Il potere di cui all’articolo 18 della legge n. 359/92 è stato già esercitato dal CIPE che, con deliberazione del 12 agosto 1992, in G.U 28 agosto 1992, n. 202, ha deliberato la trasformazione in società per azioni dell’Ente ferrovie dello Stato.
[14] C. PINELLI, Prudenza e giurisprudenza in un’interpretazione adeguatrice, in Giur. Cost., 1993, 3872 ss., il quale osserva che “la riserva di legge in ordine “ai casi” e alle “forme” della partecipazione della Corte dei conti “al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria” esclude, a differenza di quanto stabilito per gli atti governativi e per il bilancio, una diretta investitura costituzionale della potestà di controllo”. In realtà entrato in vigore l’art 100 Cost. e prima dell’intervento attuativo del legislatore ordinario, si pose la questione della natura del disposto costituzionale: questione sulla quale, peraltro, non mancarono contrasti. Mentre, infatti, in un parere del 1 giugno 1948, n. 652 il Cons. di Stato, sez. II, sostenne la tesi della natura programmatica della disposizione costituzionale, ritenendo necessario, pertanto, perché potesse questa spiegare efficacia, l’intervento mediato del legislatore ordinario, la Corte dei conti, con deliberazione del 31 gennaio 1949, sostenne, invece, la tesi contraria dell’immediata applicabilità del precetto costituzionale, fonte, conseguentemente, di un obbligo attuale del giudice contabile di controllo sugli enti sovvenzionati.
[15] Cfr. R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli enti dell’economi. Profili giuridici, Milano, 1998. L’autore, circa il problema dell’ampiezza della sfera applicativa dell’articolo 12 che fa riferimento ai soli enti pubblici, suddivide l’indagine in due parti tra di loro connesse. “In primo luogo occorre guardare gli aspetti sostanziali della situazione determinatasi con la trasformazione in società per azioni degli enti economici, allo scopo di verificare se sussistano ancora, o al contrario, debbano considerarsi venute meno le ragioni del controllo del giudice contabile sugli enti trasformati: a tal fine occorre valutare ed individuare gli obiettivi finali cui il processi di privatizzazione delle imprese pubbliche è o appare essere preordinato.
Nella seconda parte l’autore affronta “i problemi interpretativi sorti con la trasformazione degli enti di gestione, segnatamente la questione della riconducibilità degli enti in questione nell’ambito di operatività dell’articolo 12 della l. n. 259/58.
La valutazione dell’opportunità o meno che permanga il controllo del giudice contabile sulle nuove società per azioni derivanti dall’avvenuta trasformazione degli enti economici potrebbe essere diversamente influenzata a seconda che si consideri tale mutamento della veste giuridica come obiettivo in sé, sia pure di carattere temporaneo, ovvero, al contrario, come passaggio obbligato per procedere alla privatizzazione vera e propria, cioè al mutamento dell’assetto proprietario. Nel primo caso, l’utilizzazione dello strumento “privatistico” rappresentato dalle società per azioni, è espressione dell’esigenza di adeguare l’intervento dello Stato in economia a parametri e modelli di efficienza e competitività.
L’autore sottolinea che “sarebbe opportuno che non venisse meno il controllo del giudice contabile, considerato che la mera trasformazione della forma giuridica non esclude le esigenze di tutela degli interessi pubblici sottostanti il precedente assetto: esigenze da ritenere sussistenti pur a seguito di una privatizzazione meramente formale.
In senso contrario Cfr. M. MAUGERI, Il controllo della Corte dei conti sugli enti pubblici economici “privatizzati”, in Giur comm., 1994, 543, in part. 562. il quale sostiene che proprio la scelta dello strumento societario può essere intesa come espressione della volontà dello Stato di adeguarsi del tutto, nel momento in cui assume la veste di imprenditore, alle regole del mercato, con conseguente esclusione di tutto ciò, compreso quindi il controllo del giudice contabile, che caratterizzava il precedente regime pubblicistico: l’adozione del modello societario “può indicare l’intento dello Stato di farsi imprenditore secondo le stesse regole che governano l’azione dei privati, su un piede di parità con questi, dismettendo ogni residuo pubblicistico che non sia imposto dalla stessa legislazione speciale in materia perché ritenuto coerente con gli scopi perseguiti.
Nella seconda ipotesi occorre affrontare il problema dell’opportunità del controllo della Corte dei conti qualora la privatizzazione della veste giuridica sia concretamente preordinata alla diretta ed immediata privatizzazione in senso sostanziale, cioè alla dismissione degli enti stessi. In tal caso la permanenza dell’attività sindacatoria del giudice contabile apparirebbe, in primo luogo, poco coerente con la decisione dei procedere ad una dismissione delle nuove società per azioni e quindi, incompatibile con la volontà di cedere a soggetti privati il controllo sulle imprese; d’altra parte, il persistente controllo della Corte dei conti, finalizzato a creare le condizioni per un efficace espletamento ad opera del Parlamento delle funzioni di vigilanza e di indirizzo, potrebbe costituire un ostacolo notevole al raggiungimento della privatizzazione sostanziale, potendo comportare un effetto dissuasivo nei confronti dei potenziali investitori privati. In questa seconda ipotesi, l’interruzione del controllo del giudice contabile sembrerebbe più funzionale alla realizzazione delle finalità ultime perseguite attraverso il processo di privatizzazione.
L’autore sostiene che “la permanenza del controllo del giudice contabile sulle società per azioni derivanti dall’avvenuta trasformazione degli enti economici può e deve considerarsi opportuna nel caso in cui il mutamento della veste giuridica sia concepito come obiettivo in sé, sia pure parziale e temporaneo, del processo di privatizzazione, non anche quando tale modificazione della forma giuridica preluda ad una immediata dismissione degli enti così come trasformati.
[16] Il riferimento a nozioni di origine comunitaria contenuto nella sentenza n. 466/1993 è accolto con favore da V. CAPUTI JAMBRENGHI, Intervento al seminario su “Privatizzazione e modelli giurisprudenziali su controllo di gestione”, in Iter legis, 1995, 147 ss, il quale definisce “un atto di grande progresso” la pronuncia in esame proprio nella parte in cui afferma “senza mezzi termini che non possiamo trincerarci dietro categorie giuridiche di classificazioni di enti, di soggetti pubblici o semi pubblici, non riconosciuti se non come enti pubblici nella Comunità europea”. In realtà, l’attenzione mostrata dal Giudice costituzionale nei confronti dell’ordinamento comunitario, pur apprezzabile, non è tuttavia condivisibile nel caso di specie per due ragioni.
In primo luogo, infatti la Corte costituzionale non ha richiamato nella sentenza n. 466/1993, la nozione di ente pubblico, pure conosciuta nell’ordinamento comunitario, bensì quella di “impresa pubblica”: nozione questa che , come dimostrato dalla circostanza della sua previsione, ad opera della direttiva 93/38/CE, concernente gli appalti nei settori c.d. esclusi, come categoria soggettiva diversa da quella dell’organismo di diritto pubblico, non è certo assimilabile a quest’ultima, alla quale, peraltro, non sono affatto pacificamente riconducibili gli enti privatizzati. D’altra parte, la nozione comunitaria di ente pubblico, non avente del resto carattere uniforme, ma, al contrario, tendente ad assumere profili differenti con riferimento a ciascuno dei settori di incidenza del diritto europeo, non è riconducibile a quella elaborata , con grandi difficoltà, nell’ordinamento interno. Ciò impone che alla soluzione del problema specifico dell’assoggettabilità degli enti privatizzati al controllo del giudice contabile si proceda alla stregua dei parametri che nell’ordinamento nazionale, non in quello comunitario, consentono di riconoscere gli enti pubblici, i soli ai quali il sindacato della Corte dei conti può estendersi ai sensi dell’art. 12 della l. n. 259/1958,
[17] Cfr. Per un’ampia analisi della materia R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli enti dell’economia. Profili giuridici, Milano, 1998.
I processi di privatizzazione dei precedenti enti pubblici economici e la sempre più marcata tendenza legislativa a riconoscere in capo a soggetti normalmente operanti  iure privatorum la titolarità o l’esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica, tendenza manifestatasi anche a livello locale con l’art. 22, comma 3, lett e), legge 8 giugno 1990, n. 142, come sostituito dall’art. 17, comma 58, legge 15 maggio 1997, n. 127, e l’art 12, legge 23 dicembre 1992, n. 498, norme tutte ora confluite nel dettato degli articolo 112 e ss. del TUEL approvato con d lgs. 18 agosto 2000, n. 267, hanno rivitalizzato un dibattito in realtà mai del tutto sopito: quello della configurabilità di enti pubblici a struttura societaria. Il problema si pone con riferimento ad una serie di enti che, pur rivestendo una forma tipicamente privatistica, cioè quella societaria, sono sottoposti dal legislatore ad una disciplina per larga parte derogatoria rispetto a quella codicistica, e sintomatica, da un lato, di un particolare e a volte penetrante legame della struttura societaria con il soggetto pubblico, dall’altro, della sua strumentalità rispetto al conseguimento di finalità di chiara impronta pubblicistica, non sempre conciliabili, peraltro, con la causa lucrativa propria dello schema societario tipico. La strumentalità pubblicistica dell’ente societario e la conseguente soggezione dello stesso ad una disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per lo schema societario tipico sono i due fondamentale fattori che hanno stimolato il dibattito fiorito attorno alla questione della riconducibilità alla sfera pubblica di alcuni organismi societari.
Il dibattito si è reso più intenso negli anni più recenti a causa della più frequente costituzione, in alcuni casi direttamente con provvedimenti legislativi, in altri ad opera di enti pubblici a ciò ex-lege autorizzati, di società per azioni preposte all’espletamento di compiti di interesse pubblico e conseguentemente assoggettato ad una disciplina diversa da quella codicistica. Ci si trova su una linea di confine tra pubblico e privato, dovendo conciliare con la causa lucrativa dello schema codicistico della società per azioni l’autonoma rilevanza nell’ambito dello stesso organismo societario dell’interesse pubblico.
Punto di partenza dell’analisi è la constatazione della c.d. neutralità del modello societario rispetto alle finalità che con lo stesso si intendono perseguire. Per una complessa ed esauriente analisi del dibattito sviluppatosi in ordine al processo di cosiddetta neutralizzazione del modello societario Cfr. C. IBBA, Le società legali, Torino, 1992, 370 ss.
Tale processo di neutralizzazione dello schema societario si è ampliato, involgendo, per effetto dei diversi interventi legislativi, non più soltanto la causa del contratto, bensì anche i profili attinenti al momento genetico, a quello funzionale ed infine a quello organizzativo.
L’attenzione si è spostata sull’analisi di tale specialità di regime giuridico cui sono sottoposti, in relazione a ciascuno di tali profili, alcuni enti a struttura societaria, primi fra tutti quelli preposti, per espressa previsione legislativa all’espletamento di compiti di interesse generale: in riferimento a tali società si è parlato di società di diritto speciale o singolare, connotate tanto dalla funzionalizzazione alla realizzazione di obiettivi, indicati dallo stesso legislatore, non conciliabili con la causa societaria tipica, quanto della sottoposizione a discipline giuridiche comportanti una più o meno intensa compressione dell’autonomia negoziale o statutaria.
Sostiene la configurabilità di enti pubblici costituiti in forma di società per azioni R. GAROFOLI, Le privatizzazioni degli enti dell’economia. Profili giuridici, Milano, 1998.
L’autore ritiene che “hanno natura di enti pubblici la società per azioni istituite con atto legislativo che ne determina quanto meno la denominazione, lo scopo e la necessaria pertinenza ad un soggetto pubblico per una quota almeno maggioritaria, perché in tal caso l’esistenza e la destinazione funzionale della figura soggettiva è predeterminata con atto normativo e resta indisponibile alla volontà dei propri organi deliberativi”.
In senso contrario Cfr. C. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004 il quale non condivide pienamente la tesi suindicata che ha il merito di individuare i requisiti essenziali perché possa cogliersi in una struttura societaria la reale natura pubblicistica.
Occorre non perdere mai di vista il dato della precisa indicazione legislativa, nel senso della forma societaria dell’ente.
È necessario che il regime giuridico cui la singola società è sottoposta si caratterizzi per la previsione di regole di organizzazione e funzionamento che, oltre a costituire un’alterazione del modello societario tipico (comportando una compressione dell’autonomia funzionale e statutaria degli organismi societari), rivelino la completa attrazione nell’orbita pubblicistica dell’ente societario. Si fa riferimento all’attribuzione legislativa, in capo a soggetti pubblici diversi da quelli che rivestono all’interno della struttura societaria la qualità di soci, di potestà il cui esercizio è destinato a produrre effetti sulle fondamentali determinazioni degli organi societari: è quanto si verifica con riferimento agli enti assoggettati al processo di privatizzazione meramente formale.
La neutralità dello schema societario è stato ancora più di recente ribadito da Cons. Stato sez VI, 5 marzo 2002, n. 1303: “pur non mancando chi, aderendo ad un orientamento negli ultimi anni recessivo,sostiene l’incompatibilità in via di principio tra ente pubblico e schema giuridico delle società per azioni, va progressivamente guadagnando terreno la tesi contraria secondo cui è possibile riconoscere alla società per azioni, qualora ricorrano determinate condizioni, natura di ente pubblico. A conforto di tale tesi vi è un preciso ed attuale dato normativo: si fa riferimento all’articolo 18 L. finanziaria 22 dicembre 1984, n. 887 che, nel prevedere la costituzione della Age Control S.p.a., espressamente la ha definita società per azioni con personalità giuridica pubblica. La disposizione citata costituisce argomento convincente a sostegno della tesi favorevole dell’astratta compatibilità tra struttura societaria e natura pubblica dell’ente essendo tale sintesi espressamente operata dallo stesso legislatore”.
Conf. da ultimo Tar Lecce, sez II n. 1598/2004, a proposito dell’ente nazionale tabacchi privatizzato in società per azioni inizialmente privatizzato, in una prima fase, in senso solamente formale.
[18] La legge intende come contribuzioni ordinarie i contributi che, con qualsiasi denominazione, un’amministrazione o un’azienda autonoma statale abbia assunto a proprio carico, con carattere di periodicità, per la gestione finanziaria di un ente o che da oltre un decennio siano iscritti nel suo bilancio, oppure le imposte, le tasse e i contributi che con carattere di continuità gli enti siano autorizzati ad imporre o che siano comunque ad essi devoluti.
[19] L’IRI, l’ENI e l’INA furono sottoposti al controllo di cui all’art. 12 della legge n. 259/1958, mediante d.P.R., 11 marzo e 25 aprile 1961, adottati ai sensi dell’art. 3 della legge medesima, mentre una specifica disposizione contenuta nella legge istitutiva dell’ENEL (art. 1 ult. Comma, legge 6 dicembre 1962, n. 1643) venne ad assoggettare l’ente in questione al medesimo controllo.
[20] Agli enti in questione incombeva l’obbligo di presentare ai ministeri competenti i progetti di bilancio e i rendiconti consuntivi. Mentre i progetti di bilancio venivano direttamente inviati, da parte del Ministro delle finanze, alle Assemblee legislative, i rendiconti consuntivi erano poi sottoposti al controllo della Corte dei conti, alla quale spettava il compito di esaminarli e restituirli con le deliberazioni e relazioni di sua competenza (artt. 1 e 2 del r.d. 8 aprile 1939, n. 720). Inoltre il Presidente della Corte aveva la facoltà di delegare presso gli enti un proprio rappresentante, con funzioni di riscontro agli effetti previsti dall’art. 15 della legge n. 129 del 1939 (art 3 del r.d. n. 720/1939)
[21] Un ampio resoconto del dibattito avutosi in Assemblea Costituente è contenuto in V. BACHELET, Il controllo della Corte dei conti sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, in Giur. Cost., 1958, 781 ss.
[22] Relazione della V Commissione permanente del Senato, in Atti parlamentari, Senato, II leg., doc. n. 97-A, 9.  Per ulteriori informazioni sui lavori parlamentari della legge n. 259 del 1958, che ebbe un faticoso iter, dal momento che l’originario disegno di legge venne presentato dall’allora Presidente del Consiglio Pella di concerto con il Ministro del Tesoro Gava già il 19 ottobre 1953, cfr. V. BACHELET, Il controllo della Corte dei conti, cit., 781 ss.
[23] Cfr. C.PINELLI, Prudenza e giurisprudenza in un’interpretazione adeguatrice, in Giur. Cost., 1993, 3872 ss., 3874.  
[24] S.v Corte. cost. Sent 17 maggio 2001, n. 139, in Giur cost., 2001, 1109 ss. con nota diF. BERTOLINI, L’eccesso di delega nel conflitto su atto legislativo: estensione del modello o figura tipica? e di E. MALFATTI, La Corte dei conti in conflitto con il Governo: nasce un “superpotere”.
A seguito dell’emanazione dl D.lgs. n. 286/1999, con il quale il Governo ha disciplinato, in attuazione della delega di cui all’art. 11, comma 1, lett. c), della l. n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini “uno”), il riordino ed i potenziamento dei meccanismi e degli strumenti di valutazione di costi, rendimenti e risultati dell’attività svolta dalle pubbliche amministrazioni, la Corte dei conti solleva conflitto di attribuzioni nei riguardi dell’art. 3 del decreto medesimo, che ha determinato l’abrogazione dell’art. 8, legge n. 259/1958, sulla cui base la Corte dei conti era abilitata, nell’ambito della partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, ex art. 100, comma 2, Cost., a raccordare la propria attività di controllo con i Ministeri vigilanti o azionisti e/o competenti (nella fattispecie, a formulare eventuali rilievi sull’attività contrattuale della RAI al Ministro del Tesoro). Dall’impossibilità di esercitare il controllo in concreto , a causa della norma preclusiva contenuta nel decreto delegato, si fa dipendere la necessità di esaminare preliminarmente la legittimità dell’intervento legislativo del Governo, in relazione a numerosi parametri costituzionali, quali gli artt. 100, 3, 97, 41 e 76 Cost.
In sede di giudizio per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato proposto dalla Corte dei conti nei confronti del Governo per vedere “dichiarare l’incostituzionalità” di una disposizione legislativa da quest’ultimo adottata, non possono avere ingresso le censure sollevate per violazione di norme diverse da quelle che definiscono l’ambito delle attribuzioni che la Costituzione riconosce alla Corte dei conti; sicché, nella specie, non può essere fatta valere la violazione degli artt. 3, 41, 81 e 97 Cost.
È ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dalla Corte dei conti nei confronti del Governo sotto il profilo della violazione dell’articolo 100, comma 2 e 76 Cost., in quanto la prima disposizione abilita la Corte a difendere l’integrità dei suoi poteri nei confronti del legislatore delegato con lo strumento del conflitto di attribuzione in riferimento ad atti anche di natura legislativa, e la seconda può essere invocata poiché l’intervento del Governo sulla disciplina dei casi e delle forme del controllo attribuito alla Corte dei conti non giustificato dalla delega legislativa ricevuta, configura un’ipotesi possibile di conflitto, a tutela del principio di legalità (cfr. sentt. nn. 466 del 1993, 457 del 1999, ord. n 280 del 2000).
Non spetta al Governo adottare l’art. 3 comma 1 D.lgs n. 286/1999 che, abrogando l’art. 8 l. 21 marzo 1958, n. 259, ha inciso illegittimamente sui poteri attribuiti da quest’ultima legge alla Corte dei conti in materia di controlli sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, in quanto la legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59, sulla cui base è stato emanato il succitato decreto legislativo, non contiene alcuna previsione in tema di riforma della disciplina dei controlli sugli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, riferendosi la legge stessa, inequivocabilmente, ai controlli attinenti alle “amministrazioni pubbliche”, formula in cui non può certamente ritenersi compresa la categoria eterogenea degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria tradizionalmente oggetto di disciplina distinta; sicché , risultando violato l’art. 76 Cost., il ricorso della Corte dei conti va accolto, e conseguentemente, va annullato l’articolo 3 comma 1 del D.lgs. n. 286/1999 (cfr. sent. n. 457 del 1999).
 
[25] L’articolo 131 del regolamento del Senato rubricato “Esame delle relazioni della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato” afferma che “Le relazioni della Corte dei conti sugli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria sono contemporaneamente assegnate alle Commissioni competenti per materia ed alla 5° Commissione permanente.
 Le commissioni affidano ad uno o più Senatori, per ciascun ente o gruppo di enti, l’incarico di studiare le relazioni al fine di segnalare i casi sui quali sia opportuno l’esame da parte delle Commissioni stesse. Segnalazioni in tal senso possono anche essere avanzate da ciascun componente della Commissione.
Entro il mese di giugno di ciascun anno le Commissioni competenti per materia inviano alla 5° Commissione permanente un rapporto nel quale illustrano le proprie conclusioni in ordine ai profili tecnici dell’attività degli enti ed alla regolarità della loro gestione.
La 5° commissione permanente presenta entro il mese di settembre una relazione generale all’Assemblea sui profili economico-finanziari della gestione degli enti sovvenzionati e sulla conformità di essa al programma e allo sviluppo economico. Nella relazione, alla quale sono allegati i rapporti delle altre Commissioni, possono essere avanzate, anche alla luce delle conclusioni dei rapporti predetti, proposte di risoluzione in ordine alla conduzione degli enti.
La relazione generale della 5° Commissione permanente è di norma discussa dall’Assemblea prima dell’esame del bilancio dello Stato.
I rilievi, che la Corte dei conti formula al di fuori delle relazioni annuali e comunica al Senato, sono parimenti deferiti per l’esame alla Commissione competente per materia. La Commissione riferisce su di essi nel proprio rapporto annuale. Tuttavia, quando la gravità o l’urgenza del rilievo della Corte lo richieda, la Commissione invia un apposito rapporto alla 5° Commissione permanente perché questa riferisca anticipatamente all’Assemblea.
[26] L’articolo 149 del regolamento della Camera rubricato “Rapporti delle Commissioni con la Corte dei conti” afferma che “Le relazioni che la Corte dei conti invia al Parlamento sulla gestione degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria sono assegnate all’esame della Commissione competente per materia.
La Commissione, su richiesta di un quinto dei suoi componenti, o un suo comitato possono, tramite il Presidente della Camera, invitare la Corte dei conti a fornire ulteriori informazioni ed elementi di giudizio.
La Commissione presenta su ciascuna gestione un documento che allega al proprio parere sul rendiconto consuntivo, e può altresì votare una risoluzione a norma dell’articolo 117.
[27] Cfr. S. TORREGROSSA,  Appaltare in Europa, 1992, nota 5.
[28] S.S. R.R. det. n 2 del 18 gennaio 1995
[29] Sez. Contr. Enti, det. n. 35/95

Petroni Paolo

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