Il fatto
Il Tribunale di Ragusa, in composizione monocratica, aveva assolto per insussistenza del fatto un imputato dall’accusa di ricettazione ipotizzata come commessa in luogo imprecisato in epoca anteriore e prossima al 27/01/2017.
In particolare, la motivazione del Tribunale, posta a fondamento dell’esito assolutorio, era nel senso che l’imputato si era appropriato di un bene non già oggetto di reato bensì semplicemente smarrito (e il delitto di cui all’art. 647 cod. pen. era stato depenalizzato).
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Il procuratore della Repubblica del Tribunale di Ragusa proponeva ricorso per Cassazione deducendo, come unico motivo, violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale poiché, come più volte affermato in sede di legittimità, l’assegno bancario conserva i segni esteriori di un possesso altrui con la conseguenza che chi se ne appropria non realizza la condanna descritta dall’art. 647 cod. pen., ora depenalizzata, bensì il reato di furto per essere non venuto meno il potere di fatto del proprietario sull’oggetto smarrito.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva reputato fondato per le seguenti ragioni.
Si osservava a tal proposito come la giurisprudenza di legittimità sia sul punto concorde nel ritenere che, nel caso di appropriazione di “cose che, come gli assegni o le carte di credito, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite” (così Sez. 2, n. 12824 dell’8/03/2018 e n. 46991 del 08/11/2013, nello stesso senso cfr anche Sez. 2, n. 24100 del 03/05/2011, e, in precedenza, Sez. 2, n. 8109 del 26/04/2000, Rv 216589) (In termini analoghi, con riferimento al telefono mobile, Sez. 5 sentenza n. 1710 del 06/10/2016 dep. 13/01/2017 Rv. 268910 – 01 imputato Corti, secondo cui “integra il reato di furto – e non quello di appropriazione di cosa smarrita, depenalizzato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 – la condotta di chi si impossessi di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, trattandosi di bene che conserva anche in tal caso chiari segni del legittimo possessore altrui e, in particolare, il codice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio”).
Il principio di diritto, cui pertanto si sarebbe dovuto attenere il Giudice del rinvio, era che la detenzione successiva dell’assegno (così come della carta di credito) in assenza di una specifica e convincente spiegazione circa la liceità delle modalità attraverso le quali tale detenzione era stata conseguita, integrasse necessariamente, anche da un punto di vista soggettivo, il reato di ricettazione.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui, citandosi precedenti conformi, è postulato che, nel caso di appropriazione di cose che, come gli assegni o le carte di credito, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito con la conseguenza che colui che se ne appropria, senza provvedere alla sua restituzione, commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite.
Tale pronuncia, pertanto, deve essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta, ove si verifichi una condotta illecita di questo tipo, si debba verificare se essa sia stata correttamente contestata (o meno).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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