(Riferimento normativo: C.p.p., artt. 495, 507)
Il fatto
Con la sentenza impugnata del 18 maggio 2018, la Corte d’appello di Milano confermava la decisione del Tribunale in sede del 3 aprile 2017 con la quale era stata affermata la responsabilità penale di S. A. E. F. e L. F., in ordine al delitto di falso in testamento olografo, con le statuizioni accessorie.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano proponevano ricorso le imputate, per mezzo del difensore Avv. E. P., articolando tre motivi così strutturati: a) violazione di norme previste a pena di inutilizzabilità ex art. 191 cod. proc. pen. per essere stata la falsità del testamento asseverata attraverso la consulenza tecnica disposta in un procedimento civile non definito con sentenza irrevocabile senza che si procedesse al richiesto esame del consulente, con travisamento di prova decisiva, anche tenuto conto dell’autenticità dell’atto attestata con la consulenza di parte; b) vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità fondata su un mero post factum, quale è l’uso del testamento mediante pubblicazione, che non dispiega efficacia dimostrativa di una forma di concorso morale in assenza della prova di un contributo causale rilevante ascrivibile alle imputate; c) mancata concessione delle attenuanti generiche avendo la corte territoriale del tutto trascurato i positivi indicatori prospettati nell’atto d’appello.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva ritenuto fondato in relazione al primo motivo proposto.
Il Supremo Consesso osservava al riguardo che se è vero che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, è legittima l’acquisizione nel processo penale della consulenza tecnica depositata nel procedimento civile, non ancora definito con sentenza passata in giudicato, attesa la sua natura di prova documentale alla luce della nozione generale di documento contenuta nell’art. 234 cod. proc. pen. (Sez. 3, n.15431 del 07/11/2017 – dep. 2018, omissis, Rv. 272551, N. 5863 del 2012 Rv. 252127) dovendo la stessa considerarsi prova documentale in quanto formata fuori del procedimento penale e rappresentativa di situazioni e cose (Sez. 3, n.5863 del 23/11/2011 – dep.2012, G., Rv. 252127 N. 8723 del 1996 Rv. 205871, N. 22821 del 2002 Rv. 225229, N. 7916 del 2008 Rv. 239546), è altrettanto vero però che l’acquisibilità del documento lasciava, tuttavia, impregiudicata la questione del diritto al contraddittorio nella formazione della prova posta a fondamento del giudizio di responsabilità.
I giudici di piazza Cavour evidenziavano inoltre come, dal testo della sentenza di primo grado, risultasse che l’acquisizione della CTU svolta nel procedimento civile fosse stata disposta dal giudice (f. 2 sentenza primo grado) che rigettava la concorde richiesta della difesa e del Pubblico Ministero di esame del consulente d’ufficio così come la Corte d’appello di Milano aveva, del pari, rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria mediante esame (anche) del medesimo consulente richiamando l’utilizzabilità dell’elaborato ed il divieto di utilizzazione di cui all’art. 238, comma 2-bis, cod. proc. pen..
Preso atto di ciò, la Cassazione richiamava quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, alla ammissione di una nuova prova ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., il giudice non può non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie con la conseguenza che l’istanza di ammissione di queste ultime integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, quindi, rituale richiesta a norma dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 54274 del 04/10/2016 – dep. 21/12/2016, omissis, Rv. 268858; Sez. 6, n. 5401 del 06/04/2000 – dep. 08/05/2000, omissis, Rv. 21614401; Sez. 6, n. 10109 del 26/06/1997 – dep. 10/11/1997, omissis, Rv. 20881701) mentre, ai fini del vaglio della loro ammissibilità sotto il profilo della non manifesta superfluità o irrilevanza ai sensi dell’art. 190 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 48645 del 06/11/2014 – dep. 24/11/2014, omissis, Rv. 26125601; Sez. 5, n. 26885 del 09/06/2004 – dep. 15/06/2004, omissis, Rv. 22988301), la parte, che di tale diritto intenda avvalersi, ha l’onere di tematizzare la prova indicando specificamente i temi dei quali voglia sollecitare l’approfondimento.
Oltre a ciò, si evidenziava come un costrutto ermeneutico di tal genere fosse dovuto per una esigenza di specificità rispetto all’ipotesi, contemplata in via generale, dell’esercizio del diritto alla controprova a seguito di istruzione probatoria officiosa poiché, mentre in quella ordinaria, cui si riferisce l’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., la deduzione della prova contraria è strettamente correlata ai temi indicati dalle parti nelle liste depositate ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen. e nelle richieste articolate ai sensi dell’art. 493 cod. Rv. 21410801), nel caso disciplinato dall’art. 507 cod. proc. pen., il diritto alla controprova deve esplicarsi in relazione ai temi sui quali il giudice ha ritenuto indispensabile ai fini del decidere disporre un supplemento istruttorio (Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992 – dep. 21/11/1992, omissis, Rv. 191607).
Tal che se ne faceva conseguire che, una volta rilevato che, nel caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova, sia riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria che può essere denegato dal giudice, con adeguata motivazione, solo quando le prove richieste sono vietate dalla legge o sono manifestamente superflue o irrilevanti, il giudice di appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495, comma secondo, cod. proc. pen., deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’art. 190 stesso codice (per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte) mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado (Sez. 6, n.48645 del 06/11/2014, G. , Rv. 261256, N. 26885 del 2004 Rv. 229883, N. 761 del 2007 Rv. 235598).
Orbene, venendo a trattare la questione sottoposta al loro vaglio giudiziale, gli ermellini denotavano come, nel caso in esame, dall’acquisizione ex art. 507 cod. proc. pen. della consulenza tecnica grafologica svolta nel procedimento civile, ancora pendente, fosse derivato il diritto delle imputate di richiedere la citazione a prova contraria del consulente tecnico posto che il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall’art. 468, comma primo, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria in quanto l’opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa (Sez. 5, n.41662 del 14/04/2016, omissis, Rv. 267863, N. 8033 del 1995 Rv. 202023, N. 15368 del 2010 Rv. 246613, N. 9606 del 2012 Rv. 252158, N. 2815 del 2014 Rv. 258878, N. 26048 del 2016 Rv. 266976) fermo restando che l’esame del predetto consulente – il cui elaborato era stato posto, in funzione rafforzativa delle conclusioni del consulente del Pubblico Ministero, a fondamento dell’affermazione di responsabilità – s’appalesa(va) tanto più necessario, nella prospettiva della prova contraria, in quanto risulta che la difesa ne abbia contestato le conclusioni assumendo iniziative di sollecitazione e di critica rispetto all’attività tecnica ed ai relativi esiti (Cfr. Sez. 1, n.54492 del 05/04/2017, omissis, Rv. 271899) e che il giudice non abbia ritenuto di superare le divergenti valutazioni attraverso la perizia (Sez. 3, n.21018 del 30/09/2014 – dep. 2015, C., Rv. 263737 N. 10918 del 1992„ N. 7663 del 2005 Rv. 230824) finendo per conferire rilievo dirimente alla CTU solo documentalmente introdotta nel processo.
Di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, la sentenza impugnata veniva annullata con rinvio al giudice d’appello perché, in piena libertà di giudizio ma facendo corretta applicazione degli enunciati principi – procedesse a nuovo esame.
Conclusioni
La sentenza in questione è assai interessante nella parte in cui chiarisce che le parti hanno diritto alla prova contraria anche quando il giudice ritenga di dover assumere ex officio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 c.p.p..
In questo caso, però, se non sussistono le preclusioni temporali sancite dall’art. 468 c.p.p., il diritto alla controprova deve esplicarsi in relazione ai temi sui quali il giudice ha ritenuto indispensabile ai fini del decidere disporre un supplemento istruttorio mentre resta fermo il fatto che non sono ammesse le prove richieste se queste sono vietate dalla legge, manifestamente superflue o irrilevanti.
Siffatta decisione, di conseguenza, può essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta si venga a verificare una evenienza processuale di siffatto genere.
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