(Riferimento normativo: d.P.R. n. 309/1990., art. 73)
Il fatto
La Corte di appello di Roma confermava la pena inflitta all’imputato per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, per avere illecitamente detenuto, nella propria abitazione, grammi 50 di sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in 10 involucri, grammi 10 di hashish e grammi 3 di marijuana.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato adducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 533 c.p.p., comma 1, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, dolendosi la difesa del mancato riconoscimento dell’uso personale con riferimento alle sostanze diverse dalla cocaina rinvenute nella disponibilità del ricorrente nel senso che le argomentazioni riguardanti il valore ponderale ed il frazionamento in dosi non potevano valere per l’hashish e la marijuana caduti in sequestro che avevano un peso molto modesto e non erano confezionate in dosi e, pertanto, tale elemento, ad avviso del ricorrente, renderebbe evidente l’erroneità e l’illogicità del ragionamento svolto dalla Corte di merito in relazione all’affermazione di responsabilità del ricorrente per le sostanze diverse dalla cocaina oltre al fatto che gli argomenti e i dati offerti a sostegno della colpevolezza dell’imputato e della esclusione dell’utilizzo per uso personale dello stupefacente sarebbero stati insoddisfacenti anche in relazione alla detenzione della sostanza del tipo cocaina, non avendo la Corte adeguatamente valutato il comprovato stato di tossicodipendenza dell’imputato, l’esiguità della somma rinvenuta nell’appartamento, abitato soltanto dal ricorrente, l’assenza di sostanze da taglio o di altri strumenti idonei al confezionamento in dosi nonché l’assenza di qualsivoglia condotta di spaccio; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in quanto, con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, la difesa sosteneva che, considerate le peculiarità della condotta, non dovrebbe trovare applicazione il principio stabilito dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite in ordine alla valutazione unitaria da operarsi in relazione alla fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 giacché, dato il modesto valore ponderale delle sostanze diverse dalla cocaina e le modalità della condotta, per il ricorrente, sarebbe consentito porre in essere una valutazione differenziata rispetto alle varie sostanze cadute in sequestro mentre illogica e inadeguata sarebbe la motivazione offerta dalla Corte territoriale con riferimento alla detenzione della sostanza stupefacente diversa dalla cocaina dal momento che, considerato il peso di tali ultime sostanze sequestrate, pur volendo escludere che esse fossero destinate esclusivamente all’uso personale, ad avviso del legale, i Giudici avrebbero dovuto pervenire ad un inquadramento sub comma 5 del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, anche tenuto conto dell’accertato consumo di tali sostanze da parte del ricorrente.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
I motivi di doglianza risultavano essere parzialmente fondati alla luce delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come la questione attinente all’uso personale della sostanza stupefacente del tipo cocaina caduta in sequestro, ad avviso della Corte, fosse stata adeguatamente valutata dai Giudici di merito che avevano escluso tale possibilità sulla base di argomentazioni corrette sotto il profilo logico e giuridico posto che il rilevante quantitativo della predetta sostanza, da cui potevano trarsi 213 dosi, l’elevato grado di purezza (pari al 75,5%), il frazionamento dello stupefacente in singoli involucri e l’accertata presenza nell’abitazione del ricorrente di un bilancino di precisione avevano indotto la Corte di merito a ritenere dimostrata la destinazione al commercio di tale sostanza ed il ragionamento sotteso all’affermazione di responsabilità sul punto, secondo il Supremo Consesso, non manifestava le criticità evidenziate dalla difesa nel ricorso.
Veniva parimenti reputato infondato il rilievo difensivo secondo il quale la Corte di merito avrebbe erroneamente mancato di inquadrare tale condotta nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, posto che il dato quantitativo e qualitativo, il frazionamento in dosi e le modalità di detenzione denotavano come dovesse escludersi la lieve entità del fatto.
La giustificazione fornita in sentenza, difatti, rispondeva ai criteri di valutazione da tempo affermati in sede di legittimità in base ai quali la fattispecie in questione può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, la quale deve essere tratta, come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018) da una valutazione complessiva degli indici rivelatori normativizzati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Veniva invece considerato fondato il motivo che atteneva alla insufficienza della valutazione espressa dalla Corte di merito in relazione alla fattispecie di cuì al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4.
La motivazione contenuta in sentenza sulla esclusione della possibilità che lo stupefacente caduto in sequestro fosse destinato ad un uso personale e che fosse riconducibile alla fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, difatti, ad avviso della Corte, si attagliava al quantitativo di cocaina ma non alla droga “leggera” la quale, come lamentato dalla difesa, non solo era presente nell’abitazione in un quantitativo non particolarmente rilevante ma non era frazionata in dosi, come la cocaina.
Come si legge nella motivazione della sentenza n. 51063 del 27/09/2018, invero, sebbene l’esito più comune, nel caso di contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di diversa qualità, conduca in concreto ad una valutazione unitaria del fatto, non è in astratto da escludersi l’ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto, inducendo il Giudice a riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta nell’ambito del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Di conseguenza, alla stregua di ciò, si perveniva ad annullare la sentenza impugnata limitatamente all’imputazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, ed al trattamento sanzionatorio adottato relativamente a tale ipotesi, con rinvio alla Corte di appello di Roma, altra sezione, per nuovo esame sul punto.
Conclusioni
La decisione in questione è assai interessante nella parte in cui, citando un passaggio argomentativo della sentenza emessa dalle Sezioni Unite n. 51063 del 27/09/2018, sebbene l’esito più comune, nel caso di contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di diversa qualità, conduca in concreto ad una valutazione unitaria del fatto, non è in astratto da escludersi l’ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto, inducendo il Giudice a riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta nell’ambito del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Va da sé dunque che, ove in relazione ad una delle sostanze psicotrope rivenute laddove queste siano di diverso tipo, si debba valutare la sussistenza o meno dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, c. 5, d.P.R. n. 309/1990, ben potrà chiedersi che venga scissa la qualificazione giuridica del fatto, di norma considerato unitariamente nell’ipotesi di detenzione di sostanze stupefacenti di diversa qualità, al fine di verificare la sussistenza di tale fattispecie delittuosa.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su questa tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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