Nel caso di riforma in peius di una sentenza assolutoria emessa in sede giudizio abbreviato condizionato, la Corte di Appello è tenuta, ai sensi dell’art. 6 CEDU, a rinnovare l’istruttoria dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento del

AR redazione 09/11/15

 

Nella sentenza n. 35799 emessa dalla sezione sesta della Corte di Cassazione in data 23 giugno 2015, è stato affrontato il delicato tema inerente se e quando vi sia l’obbligo di rinnovare l’istruttoria dibattimentale nel caso di riforma in peius di una sentenza assolutoria emessa in sede giudizio abbreviato condizionato.

Nel caso di specie, la difesa, con motivi aggiunti, aveva addotto, nel ricorso proposto in sede di legittimità,  «violazione di legge avuto riguardo all’art. 6 CEDU per avere la Corte riformato la decisione assolutoria resa in primo grado muovendo dalla ritenuta non attendibilità delle dichiarazioni del teste C. rese nel corso del giudizio senza procedere alla rinnovazione dell’esame».

La Corte di Cassazione, dal canto suo, ha ritenuto fondato tale motivo rilevando che, secondo «il costante orientamento sul tema oramai espresso da questa Corte, (…) per riformare “in peius” una sentenza assolutoria emessa all’esito di giudizio abbreviato condizionato, il giudice di appello è obbligato – in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia – a rinnovare l’istruzione dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova orale acquisita dal primo giudice in sede di integrazione probatoria. (Sez. 3, n. 11658 del 24/02/2015 – dep. 20/03/2015, P., Rv. 262985; Sez. 6, n. 14038 del 02/10/2014 – dep. 03/04/2015, omissis, Rv. 262949)».

            Difatti, sulla scorta di quest’orientamento ermeneutico, gli ermellini hanno dedotto l’incontrovertibilità del suddetto vizio il quale finiva «per assorbire le ulteriori doglianze prospettate dalla difesa dell’imputato, imponendo per ciò solo l’annullamento con rinvio affinchè la Corte distrettuale» provvedesse «ad ottemperare all’incombente in questione».

            Tale iter argomentativo, di conseguenza, è stato tracciato sulla scorta di numerosi precedenti in cui la Cassazione è giunta a conclusioni analoghe.

In effetti, nelle decisioni citate nella pronuncia in commento, è stato formulato il medesimo principio di diritto rilevando per un verso che  «la Corte Europea ei Diritti dell’Uomo, a partire dalla nel caso Dan vs. Moldavia del 5.7.2011 ha affermato che la condanna emessa in grado di appello, in riforma di una pronuncia assolutoria emessa in primo grado, non si pone, in linea astratta, in contrasto della Convenzione EDU (e in particolare con il disposto dell’art. 6, 1, a norma del quale, tra l’altro, “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti”), purchè l’affermazione di responsabilità, qualora determinata da una diversa valutazione di attendibilità di prove orali ritenute decisive, consegua all’esame diretto dei testimoni da parte del giudice del gravame»[1], constatando per altro verso che tale principio era stato ribadito nella sentenza Hanu c. Romania del 4.6.2013 con la quale venne precisato come tale rinnovazione potesse avvenire pure senza una previa richiesta da parte dell’imputato, «dovendo in tali casi il giudice d’appello provvedervi d’ufficio»[2].

Difatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha espressamente postulato che «uno dei requisiti per un processo equo è che l’imputato abbia la possibilità di confrontarsi con i testimoni alla presenza di un giudice chiamato, alla fine, a decidere la causa, in quanto l’osservazione diretta da parte del giudice dell’atteggiamento e della credibilità di un determinato testimone può essere determinante per l’imputato (si vedano P.K. c. Finlandia (dec.), n. 37442/97, 9 luglio 2002; mutatis mutandis, Pitkänen c. Finlandia, n. 30508/96, §§ 62-65, 9 marzo 2004; e Milan c. Italia (dec.), n. 32219/02, 4 dicembre 2003)»[3].

«Secondo la Corte di Strasburgo, infatti, l’osservazione diretta del comportamento del teste e la conseguente valutazione della sua attendibilità può avere conseguenze decisive per l’accusato»[4] in guisa tale che «non può essere negato il diritto di difesa nella sua declinazione di diritto ad una valutazione affidabile delle testimonianze fondamentali e, più specificamente, di diritto alla valutazione non solo dei contenuti, ma anche del contegno del teste, a cui si chiede di “reagire” al confronto con l’accusato “di fronte” al giudice»[5].

Del resto, pure il nostro diritto domestico, secondo l’elaborazione ermeneutica operata in sede nomofilattica, ha chiarito che deve essere risentito il teste ogniqualvolta «l’affermazione di penale responsabilità scaturisca da un diverso apprezzamento dell’attendibilità della sua deposizione, da considerare decisiva (cfr. ex plurimis, sez. 5^, n. 28061 del 7.5.2013, omissis, rv. 255580; sez. 3^, n. 42344 del 9.7.2013, omissis, rv. 256856; sez. 2^, n. 45971 del 15.10.2013, omissis, rv. 257202 (…); sez. 5^, n. 47106 del 25.9.2013, Donato e altro, rv. 257585; sez. 6^, n. 8654 dell’11.2.2014, Costa, rv. 259107; sez. 4^, n. 7597 dell’8.11.2013 dep. il 18.2.2014, omissis, rv. 259127)»[6]e il giudice avverti la necessità di «rivalutare l’attendibilità del teste (Sez. 5, n. 47106 del 25/09/2013, omissis, Rv. 257585)»[7].

Questo approdo ermeneutico sembra essere infatti l’unico da intraprendere affinchè il giudice di seconda istanza non svaluti «una fonte dichiarativa, con esiti decisivi per il processo, in senso contrario a quanto avvenuto ad opera del primo giudice, avanti al quale la prova dichiarativa sia stata raccolta»[8].

Con tale orientamento nomofilattico, inoltre, non solo è spiegato in quali casi la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale deve considerarsi obbligatoria, ma è stato altresì affermato altresì quando ciò non sia richiesto.    In particolare, è stata esclusa l’applicabilità del criterio ermeneutico suesposto nei casi in cui si debba compiere «una diversa valutazione di prove non dichiarative, ma documentali (sez. 6^, n. 36179 del 15.4.2014, omissis, rv. 260234; conf. sez. 2^, n. 677 del 10.10.2014 dep. il 12.1.2015, omissis, rv. 261556)» tra le quali, vanno annoverate «anche le conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione (così sez. 2^, n. 29452 del 17.5.2013, omissis, rv. 256467 (…)) o le riprese video (sez. 2^, n. 13233 del 25.2.2014, omissis, rv. 258780)»[9] ovvero nelle ipotesi «di impossibilità di ripetizione dell’atto o per altre gravi ragioni»[10](esempi: morte del teste o impossibilità a testimoniare per non autoaccusarsi).

Sempre in punto di rito, è stato altresì postulato che «la regola “Dan v. Moldavia” non trova spazio nei procedimenti celebrati mediante rito abbreviato, per l’ovvia ragione che anche il giudice della decisione riformata ha normalmente valutato la fonte dichiarativa solo attraverso la lettura di un verbale da altri formato (Sez. 3^, Sentenza n. 45456 del 30/09/2014, rv. Rv. 260868; Sez. 2^, Sentenza n. 32655 del 15/07/2014, rv. 261851; Sez. 2^, Sentenza n. 40254 del 12/06/2014, rv. 260442, (…)»[11] sempreché il giudizio di primo grado sia stato definito «nelle forme del rito abbreviato “secco”, ovvero con esclusiva valorizzazione degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari e senza che, peraltro, si sia dato corso ad alcuna diretta assunzione delle prove da parte del Tribunale nel contraddittorio tra le parti»[12].

Ebbene, se nel caso di specie, la rilevanza e la decisività della prova da istruire venivano chiaramente dedotte nella sentenza in commento affermandosi come le dichiarazioni rese dal teste (da escutere) nel corso delle indagini rivestissero «portato decisivo», invece, nessuna delle condizioni ostative appena menzionate era rinvenibile nel caso di specie.

Non si trattava di una prova documentale, né il rito scelto dagli imputati era un abbreviato semplice essendo trattato, come trapela sempre dalla stessa sentenza in commento, di un rito abbreviato «condizionato alla escussione del teste omissis».

Rilevata la palese correttezza dell’impianto motivazionale sin qui esaminato, si pone un ulteriore problema, in quanto logica conseguenza di tale pronuncia, ossia come ed in che termini i giudici di appello debbano disporre una rinnovazione di questo tipo.

Infatti, dal momento che, secondo la giurisprudenza della Corte europea, «le modalità di applicazione dell’articolo 6 ai procedimenti di appello dipendono dalle caratteristiche di ogni singolo procedimento»[13], ne deriva che «si deve tenere conto complessivamente del procedimento nazionale e del ruolo attribuito al giudice di appello nell’ordinamento giuridico nazionale»[14].

Tal che ne dovrebbe conseguire come la norma di riferimento, da tenersi in considerazione, per questa precipua ipotesi, sia l’art. 603 c.p.p..

Ed invero, il Supremo Consesso, nella sentenza n. 46065 del 2012, dichiarando manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 603 c.p.p. per contrasto con l’art. 117 cost. e con l’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo (così come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/ Moldavia), nella parte in cui non prevede la preventiva necessaria obbligatorietà della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per una nuova audizione dei testimoni già escussi in primo grado, nel caso in cui la Corte di Appello intenda riformare “in peius” una sentenza di assoluzione dell’imputato, ha evidenziato la perfetta compatibilità tra l’art. 603 c.p.p. e l’art. 6 CEDU così come applicato dalla Corte EDU.

Nello specifico, nella decisione appena citata, è stato rilevato che tale dettato procedurale, «letto ed interpretato anche alla stregua dei (…) principi di diritto enunciati dalle SS.UU. con la sentenza n. 33748/2005[15]», «imponendo al giudice anche di motivare sulla reiezione di riassunzione delle prove»[16], e consentendo altresì «la più ampia rinnovazione del dibattimento sicchè, il giudice di appello, sia d’ufficio, sia ove sollecitato dall’imputato, ben può provvedere alla riassunzione delle prove già assunte nel giudizio di primo grado»[17], permette di ritenere come non vi sia «alcuna incompatibilità o contrasto non sanabile in via interpretativa fra la norma interna e la disposizione dell’art. 6 p. 1 della Convenzione»[18].

Chiarito come possa utilizzarsi l’art. 603 c.p.p., si pone però l’ulteriore problema di comprendere come tale potere rinnovatorio debba essere esercitato.

Infatti, secondo la Corte di Cassazione, atteso che «il giudice di appello non può sapere ex ante come orienterà la propria decisione e quale sarà la propria valutazione di attendibilità delle dichiarazioni che hanno portato il primo giudice ad assolvere l’imputato»[19], ne deriva come «il meccanismo della rinnovazione istruttoria dovrà operare all’esito del giudizio e prima della decisione, allorquando la Corte del gravame del merito si rende conto che, allo stato degli atti, andrebbe a riformare in peius l’intervenuta assoluzione in primo grado»[20] dato che, diversamente opinando, «s’imporrebbe la rinnovazione istruttoria in appello della prova dichiarativa a fronte di ogni impugnazione di sentenze di assoluzione»[21].

Orbene, alla luce del fatto che tale potere può essere esercitato una volta terminato il giudizio, va da sé che la difesa, ove la rinnovazione istruttoria venisse disposta ex officio, dovrebbe essere messa in condizione di poter svolgere adeguatamente la sua funzione garantendogli innanzitutto un termine a difesa per potere preparare l’esame del teste, e dandogli altresì la possibilità di discutere una seconda volta al fine di poter adeguatamente esporre le proprie ragioni alla luce delle risultanze istruttorie ulteriormente acquisite.

Solo in questo modo, invero, ad opinione di chi scrive, verrebbe garantito all’imputato un’adeguata difesa in ordine alla formazione della prova che, come è noto, deve avvenire attraverso il contraddittorio tra le parti.

Posto ciò, le perplessità sollevate, da parte di autorevole letteratura scientifica, in ordine ad una effettiva compatibilità tra queste due norme[22], suggerirebbero comunque un intervento del legislatore attraverso la modifica dell’art. 603 c.p.p..

Ebbene, sembra porsi in tal senso l’art. 22 del d.d.l. A.C. 2067 intitolato «(Modifiche alle disposizioni in materia di appello)»  (attualmente al vaglio del Senato) il quale prevede quanto segue: «3. Dopo il comma 4 dell’articolo 603 del codice di procedura penale è inserito il seguente: «4-bis. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale»».

            Una statuizione legislativa di questo tenore, in effetti, ad avviso di chi scrive, da un lato, dovrebbe escludere qualsivoglia dubbio interpretativo stabilendosi per l’appunto l’obbligatorietà della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ogniqualvolta la pronuncia assolutoria sia stata emessa sulla sola valutazione di una prova dichiarativa, dall’altro metterebbe le parti in condizione di sapere, prima che inizi il giudizio di secondo grado, che verrà sempre rinnovata l’istruttoria dibattimentale in tale ipotesi.

 


[1]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 24 febbraio 2015 (dep. 20 marzo 2015), n. 11658, in CED Cass. pen., 2015.

[2]Ibidem.

[3]Corte EDU, sez. III, sentenza 4 giugno 2013, par. 40,  ric. n. 10890/2004, Hanu c. Romania, in http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22Hanu%20c.%20Romania%22],%22documentcollectionid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22],%22itemid%22:[%22001-120034%22]}.

[4]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 24 febbraio 2015 (dep. 20 marzo 2015), n. 11658, in CED Cass. pen., 2015.

[5]Ibidem.

[6]Ibidem.

[7]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 12 novembre 2014  (dep. 20 marzo 2015), n. 11648, in CED Cass. pen., 2015.

[8]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 2 ottobre 2004 (dep. 3 aprile 2015), n. 14038, in CED Cass. pen., 2015.

[9]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 24 febbraio 2015 (dep. 20 marzo 2015), n. 11658, in CED Cass. pen., 2015.

[10]Cass. pen., sez. I, sentenza ud. 3 marzo 2015 (dep. 8 giugno 2015), n. 24384, in CED Cass. pen., 2015.

[11]Cass. pen., sez. VI, sentenza ud. 2 ottobre 2004 (dep. 3 aprile 2015), n. 14038, in CED Cass. pen., 2015.

[12]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 30 settembre 2014 (dep. 4 novembre 2014), n. 45456, in CED Cass. pen., 2014.

[13]Corte EDU, sez. III, sentenza 5 marzo 2013, par. 41,  ric. n. 36605/2004, Manolachi c. Romania, in http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22Manolachi%20c.%20Romania%22],%22documentcollectionid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22],%22itemid%22:[%22001-119225%22]}. Per un commento di questa pronuncia, vedasi: S. RECCHIONE, La prova dichiarativa cartolare al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, 7 maggio 2013, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

[14]Ibidem.

[15]Ai sensi dei quali: 1) «la mancata risposta del giudice di appello alle argomentazioni svolte dalla difesa nel contraddittorio dibattimentale circa la portata di decisive risultanze probatorie, conducente all’illegittimo esercizio del potere demolitorio della sentenza di assoluzione di primo grado ad opera di un giudice che ha valutato solo il carteggio processuale, inficia la tenuta “informativa” e “logico – argomentativa” della sentenza di condanna e, a causa della negativa verifica di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la rende suscettibile di annullamento»(Cass. pen., Sez. Un., sentenza ud. 12 luglio 2005 (dep. 20 settembre 2005), n. 33748, in Cass. pen. 2005, 12, 3732, con nota di G. BORRELLI, Tipizzazione della condotta e nesso di causalità nel delitto di concorso in associazione mafiosa; Il merito, 2006, 1, 116), 2) «il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, sostituendo all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, ha l’obbligo di dimostrarne con rigorosa analisi critica l’incompletezza o l’incoerenza, non essendo altrimenti razionalmente giustificato il rovesciamento della statuizione assolutoria in quella di condanna»(ibidem).

[16]Cass. pen., sez. II, sentenza ud. 8 novembre 2012 (dep. 27 novembre 2012), n. 46065, in CED Cass. pen., 2012.

[17]Cass. pen., sez. II, sentenza ud. 8 novembre 2012 (dep. 27 novembre 2012), n. 46065, in CED Cass. pen., 2012.

[18]Ibidem.

[19]Cass. pen., sez. III, sentenza ud. 24 febbraio 2015 (dep. 20 marzo 2015), n. 11658, in CED Cass. pen., 2015.

[20]Ibidem.

[21]Ibidem.

[22]Sull’argomento, vedasi: S. TESORIERO, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della CEDU, Riv. trim. – 3-4/2014, Dir. pen. contemporaneo.

AR redazione

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