La Corte di Giustizia con Sentenza del 22 maggio 2014 (causa n. C-539/12), si è pronunciata in via pregiudiziale in merito all’interpretazione dell’articolo 7 della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, datata 4 novembre 2003.
Il caso, sviluppatosi nel Regno Unito e posto all’attenzione della Corte, ha ad oggetto la controversia tra il ******* e il suo datore di lavoro, la B.G. ****, opposti in giudizio perché in contrasto circa la quantificazione della retribuzione riferita al periodo di ferie annuali.
Il Sig. L. risulta assunto dal 2010 con qualifica di consulente addetto alle vendite di energia, percependo una retribuzione base di 1.222,50 lire sterline (GBP) al mese ed una provvigione variabile, quantificata in base ai risultati di vendita ottenuti. Tale provvigione costituisce mediamente il 60% dell’intero stipendio e viene erogata al lavoratore in data successiva alla conclusione del contratto di vendita. Nel corso del 2011 L. percepiva un provvigione media mensile di GBP 1 912,67.
Dai fatti emerge che il dipendente chiedeva ed otteneva dal datore di lavoro le ferie per il periodo compreso tra il 19 dicembre 2011 e il 3 gennaio 2012, secondo quanto previsto dalla normativa nazionale (articolo 16 del II regolamento del 1998 sui tempi di lavoro – Working Time Reguiations 1998 e articoli da 221 a 224 della legge del 1996 sui diritti dei lavoratori – EmploymentRightsAct 1996) e dalla normativa comunitaria (articolo 7 della Direttiva 2003/88). Nel suddetto periodo l’attore percepiva una retribuzione base di GBP 1.222,50 ed una provvigione sulle vendite, relativa a contratti stipulati nelle settimane precedenti pari a GBP 2.350,31.
Tuttavia, durante le ferie, il dipendente essendo impossibilitato a concludere nuovi contratti di vendita, non maturava nuove provvigioni da percepire nei periodi retributivi successivi. Pertanto, l’attore L. proponeva ricorso al Tribunale del lavoro del Regno Unito (*******************) lamentando il mancato calcolo, all’interno della retribuzione percepita nel periodo successivo a quello di fruizione delle ferie, degli emolumenti corrispondenti alle provvigioni. Dal canto suo, il convenuto B.G. affermava di aver agito secondo le disposizione previste dall’articolo 7 della direttiva 2003/88, in quanto il dipendente, nel mentre usufruiva delle ferie, percepiva oltre alla retribuzione di base, anche le provvigioni da riferire ai contratti conclusi in precedenza.
Per questi motivi il Tribunale nazionale sospendeva il giudizio e rimetteva la causa alla Corte di Giustizia.
Nel caso di specie, la Corte si trova a dover decidere in merito a due questioni:
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Dare una corretta interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della Direttiva 2003/88 circa l’effettiva retribuzione da percepire a titolo ferie;
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Quantificare, in ipotesi di interpretazione dell’articolo 7, nel senso di includere eventuali elementi variabili nella retribuzione, l’ammontare della retribuzione stessa.
La Suprema Corte, nel chiarire la vicenda, ha richiamato una giurisprudenza ormai consolidata, secondo cui “il diritto alle ferie annuali retribuite di ogni lavoratore dev’essere considerato come principio di diritto sociale dell’Unione europea che riveste particolare importanza, al quale non è possibile derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata soltanto nei limiti espressamente enunciati dalla direttiva 93/104 stessa, direttiva che è stata codificata dalla direttiva 2003/88 . Tale diritto è, peraltro, espressamente sancito all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, alla quale l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce lo stesso valore giuridico dei Trattati”.
Sebbene l’articolo 7 della Direttiva sopra citata, non chiarisce quale sia l’effettiva retribuzione da corrispondere al dipendente, la Corte, in più occasioni, ha affermato il principio secondo cui il prestatore di lavoro, con riferimento al periodo di ferie annuali, deve percepire la retribuzione ordinaria, la quale deve necessariamente essere quantificata garantendo una corrispondenza tra quanto percepito a titolo di ferie e quanto percepito durante il normale svolgimento dell’attività lavorativa.
Alla luce di tali considerazioni, la tesi del datore di lavoro non può essere accolta. Le provvigioni ricevute dal *******, durante i giorni di assenza per ferie, si riferiscono ai periodi lavorativi antecedenti il mese di dicembre 2011. Il dipendete, invece, con riferimento al periodo di ferie, percepisce soltanto la retribuzione base, decurtata di eventuali provvigioni, poiché, in detto periodo, non ha potuto concludere nessun contratto di vendita.
Si configura in tal senso una sorta di discriminazione, in quanto il lavoratore, scoraggiato dal mancato guadagno, suo malgrado potrebbe essere indotto alla rinuncia, specie se, come nel caso in esame, la provvigione costituisce il 60% dell’intero compenso. Ad ogni modo, secondo la Corte, tutti i compiti previsti dal contrato di lavoro ed eseguiti dal dipendete dietro il corrispettivo di una retribuzione, devono“necessariamente far parte dell’importo cui il lavoratore ha diritto durante le ferie annuali. Inoltre […] tutti gli elementi della retribuzione globale che si ricollegano allo status personale e professionale del lavoratore devono continuare a essere versati durante le sue ferie annuali retribuite”.
La Corte ricorda che l’importo della retribuzione versata a titolo di ferie annuali deve, in linea di principio, essere calcolato in modo da corrispondere alla retribuzione ordinaria percepita dal lavoratore, rifiutando l’ alienazione di qualsivoglia “inconveniente intrinsecamente collegato all’esecuzione dei compiti del lavoratore secondo il contratto di lavoro e compensato da un importo pecuniario”. Nel caso di specie siffatta provvigione deve essere presa in considerazione all’atto del calcolo della retribuzione complessiva dovuta a titolo di ferie annuali, poiché esiste un rapporto diretto tra l’attività lavorativa svolta dal dipendente (prevista dal contratto di lavoro) e la provvigione mensile da questi percepita in virtù dei risultati di vendita ottenuti.
Non rientrano, d’atro canto, nel computo della retribuzione, i costi accessori e occasionali sostenuti dal lavoratore nell’adempimento dell’attività lavorativa.
Da ultimo, la Corte demanda il compito di quantificare l’equa retribuzione a titolo di ferie al Giudice nazionale, il quale, tenuto conto delle “direttive” impartite” dalla Corte stessa e in ossequio al principio stabilito dall’articolo 7 della Direttiva 2003/88, è tenuto al calcolo della retribuzione sulla base di una media applicata su un periodo di riferimento, da questi giudicato rappresentativo.
Con il rinvio pregiudiziale i giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, interpellano la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
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