Nel rapporto medico paziente è configurabile la frode in commercio?

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Il reato di frode in commercio non rappresenta una novità per il codice Rocco, essendo già disciplinata dal codice Sardo-Italiano del 1859 e dal codice Zanardelli. Rispetto all’impostazione codicistica del 1889, però, la previsione di cui all’odierno art. 515 c.p. non figura più tra i reati contro la fede pubblica, essendo stata elevata – in conformità all’ideologia del legislatore del ’30 – a fenomeno inerente l’economia pubblica.

Tale collocazione sistematica ha dato adito ad alcune critiche, specie tra coloro che hanno continuato a sostenere che la citata norma incriminatrice sia posta a presidio del patrimonio del soggetto che riceve un bene al posto di un altro (il cd. aliud pro alio), e non di interessi riconducibili ad una cerchia indeterminati di soggetti[1].

Trattasi quest’ultimo di un approccio ermeneutico minoritario, contrastato dalla Dottrina maggioritaria e dalla Giurisprudenza prevalente, come anche l’arresto in esame ha confermato.

 

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Quanto alla sentenza in commento, essa origina dal rapporto professionale tra un cliente ed il suo dentista: quest’ultimo impiantava al primo una dentiera in resina in luogo della pattuita (e dal maggior valore economico) protesi dentaria in ceramica[2].

Il professionista veniva condannato dal Giudice di prime cure per il reato di frode in commercio e di falsità in scrittura priva (oggi depenalizzato), mentre veniva assolto dall’accusa di lesioni colpose.

Tale statuizione veniva ribaltata dalla Corte d’Appello che, invece, assolveva il dentista da entrambi i capi di imputazione. Quanto all’accusa di falso, che non interessa in modo particolare il presente elaborato, si rilevò come fosse assente una contraffazione materiale, con la conseguente configurabilità, al più, di un falso ideologico in scrittura privata che, però, non ha rilevanza penale.

Relativamente alla frode in commercio, il Giudice di seconda istanza evidenziava, per la configurazione del delitto de quo, la necessità che il soggetto agente operasse nell’esercizio di una attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico. L’estensione di una simile previsione normativa anche all’attività medico dentistica, invero, si sarebbe configurata come analogia in malam partem della norma penale.

 

Avverso tale decisione proponeva ricorso la parte civile, sostenendo, quanto alla configurabilità dell’art. 515 c.p., la sufficienza di un espletamento dell’attività criminosa  nell’esercizio di un atto obbiettivamente commerciale.

Tale argomentare veniva sostenuto dal difensore anche con l’indicazione di precedenti arresti della Suprema Corte di Cassazione, i quali affermavano come per la configurazione del reato di frode in commercio “non è [fosse] richiesto che l’agente [rivestisse] la qualità di commerciante”.[3]

 

            Il Giudice di Legittimità, tuttavia, ha ritenuto di condividere l’approccio della Corte territoriale, ritenendo il ricorso infondato.

Per quanto attiene al delitto di cui all’art. 515 c.p. la Corte di Cassazione osserva come la norma incriminatrice contestata, inserita nel capo II del titolo VIII del secondo libro del codice sostanziale – relativo ai delitti contro l’industria ed il commercio – sanzioni le condotte commesse nell’esercizio di una attività commerciale o di uno spaccio aperto al pubblico.

Trattasi di una disposizione volta a salvaguardare l’onesto svolgimento del commercio e non a proteggere gli interessi patrimoniali dei singoli acquirenti, tanto che, in altri arresti[4], non è bastato ad escludere la rilevanza penale del fatto la circostanza che l’acquirente non abbia ricevuto un danno economico in conseguenza della consegna dell’aliud pro alio.

L’eventuale dilatazione di tale disposizione a pratiche non commerciali, anche per il Giudice di Legittimà, si risolverebbe, stante la specificità del bene giuridico tutelato dalla norma, in una estensione analogica in malam partem, in pieno contrasto con l’art. 25 Cost..

Nel caso oggetto della sentenza in esame deve, pertanto, escludersi la configurabilità dell’art. 515 c.p. in presenza di attività medica (alla quale viene ricondotta anche quella odontoiatrica) che si caratterizza, anche se svolta con fini di lucro ed in modo professionale, non allo scambio tra beni e merci per il loro corrispettivo, ma per la cura del paziente e la tutela della loro salute.

Tali affermazioni trovano conferma, per la Corte di Cassazione, anche allorquando vi sia la fornitura di una protesi dentaria, poiché risulta assorbente, nel rapporto dentista-paziente, la predetta finalità di cura.

Una simile conclusione sarebbe destinata a mutare solo ove si consideri il rapporto tra odontotecnico e dentista: solo in questo caso vi sarebbe un atto di scambio commerciale e sarebbe possibile configurare la violazione dell’art. 515 c.p..

 

Resta da chiedersi come mai il caso di specie non sia stato ricondotto dal Giudice di Legittimità ad un caso di truffa cd. contrattuale, per altro aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 11 c.p., vista anche la clausola di sussidiarietà presente nell’art. 515 c.p..

Le due fattispecie, tuttavia, debbono dirsi non convergenti: nel reato di cui all’art. 640 c.p., invero, il prodotto acquistato dal cliente non risulta diverso da quello pattuito.

Mentre la truffa si configura con il dolus in contrahendo (artifici e raggiri che inducono la controparte a prestare il proprio consenso, ledendolo nella sua autodeteminazione), la frode in commercio è invece caratterizzata dalla sleale esecuzione del contratto (mediante la consegna di una res diversa da quella pattuita)[5].

 

 

[1]Per approfondimenti si veda R: GAROFOLI, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, Tomo II, pp. 206 ss., a cui si rimanda anche per i relativi spunti bibliografici.

[2]In commento alla citata sentenza si veda anche P. MACIOCCHI, Frode in commercio non applicabile tra medico e paziente, in Quotidiano del Diritto, 21 agosto 2017.

[3]Si veda, ex multis, Cass. Pen. n. 633 del 14/3/2002 in banca dati Pluris.

[4]Cass. Pen. n. 16055 del 21/4/2006 in banca dati Pluris.

[5]Cfr. Cass. Pen. n.5438 del 19/12/2002 in banca dati Pluris.

Sentenza collegata

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Avv. Casetta Stefano

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