L’art. 8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), in tema di tutela del diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, impone alle autorità nazionali il dovere di compiere ogni tentativo possibile per agevolare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed il genitore non collocatario, anche nel caso in cui sussista una considerevole distanza tra il luogo di residenza di quest’ultimo e quello in cui risiede l’altro genitore, conformando l’esercizio del diritto di visita secondo le modalità più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza del minore.
Trattasi di un giudizio da formularsi con riferimento ad elementi concreti, emergenti non solo dalle modalità con cui ciascuno dei genitori ha svolto in passato i propri compiti, ma anche con riguardo alla rispettosa capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché alla personalità del genitore, alle sue consuetudini di vita ed all’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, individuando il genitore collocatario sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell’unione.
Ed è in quest’ottica che la Suprema Corte di Cassazione con sentenza del 23 settembre 2015 n. 18817, sottolinea espressamente che l’allontanamento del coniuge dal luogo di residenza del nucleo familiare, a seguito della cessazione della convivenza, costituisce espressione della facoltà di fissare liberamente il centro dei propri interessi ed affetti e non giustifica, di per sé, un apprezzamento negativo in ordine all’idoneità del genitore a porsi quale punto di riferimento per la crescita e l’educazione dei figli, potendo al più incidere sulla disciplina dei tempi e delle modalità della loro permanenza presso l’altro genitore, in relazione alla distanza eventualmente esistente tra i rispettivi luoghi di residenza, tali da garantire una congrua assiduità, anche in funzione della comune assunzione delle responsabilità genitoriali derivanti dall’affidamento condiviso.
Ed invero, scrivono gli Ermellini, l’opportunità di confermare l’affidamento condiviso in considerazione della comprovata idoneità di entrambe i genitori a rappresentare un adeguato punto di riferimento per il figlio, in presenza di un buon rapporto intrattenuto da ciascuno di essi con il piccolo, consente di escludere una riduzione del rapporto genitoriale ad una “mera apparenza”, essendo l’intensità del rapporto tra genitore non collocatario e figlio minore valutabile soprattutto in termini qualitativi, in relazione all’impegno profuso dal genitore per comprendere i bisogni del figlio e per collaborare con l’altro genitore nell’individuazione dei mezzi più appropriati per farvi fronte.
Ed è in tale impegno, d’altronde, che si esprime la c.d. bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, per la cui realizzazione non è strettamente necessaria una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazioni tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore.
Per tali motivi, secondo Piazza Cavour, il trasferimento del bambino dall’ambiente familiare del padre, la cui situazione familiare subiva un mutamento, avendo intrapreso quest’ultimo una nuova convivenza con un’altra donna, dalla quale era in attesa di un figlio, presso il nucleo familiare della madre, composto da un figlio maggiorenne avuto da un precedente matrimonio, anche se implica lo spostamento in un’altra città, risulta maggiormente tranquillizzante in un momento particolarmente importante per lo sviluppo del minore, come è quello dell’avvio della scolarizzazione, costituendo l’unico centro di attenzioni, cura ed interessi degli altri congiunti, laddove le attenzioni del padre, nel primo ambiente, sarebbero state prevalentemente concentrate verso il nascituro.
Di conseguenza, in tutte le decisioni riguardanti i bambini, il superiore interesse morale e materiale della prole impone di privilegiare, tra più soluzioni eventualmente possibili, quella che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il miglior sviluppo della personalità del minore.
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