Risarcimento del danno per equivalente _ il risarcimento per tutti i danni che siano conseguenza diretta dell’atto illegittimo _ L’art. 134 del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 _ sull’importo del prezzo offerto per il servizio – il criterio del 10% non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata _se il danno non viene provato, riconosciuto il 5%
Nella fattispecie, avuto riguardo al fatto che la ricorrente non ha assolto l’onere di provare l’ammontare effettivo del danno conseguito a seguito dell’illegittima esclusione dalla gara di cui in causa, il risarcimento del danno va individuato, in via equitativa, l’importo del risarcimento dovuto in suo favore nella misura del 5% dell’offerta economica prodotta in gara dalla stessa
La giurisprudenza, per quanto concerne la commisurazione del pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione dell’ appalto, ha ravvisato il criterio da seguire nella disposizione di cui all’ad. n. 345 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, All. F. Sebbene detta norma, dopo l’introduzione del D.Lgs. n. 152/2008 (terza modifica al Codice dei contratti) sia stata abrogata dall’art.256, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006, il suo contenuto, però, è stato sostanzialmente trasfuso nell’art. 134 stesso codice che ha confermato il criterio del calcolo dell’indennizzo da recesso (decimo dell’importo delle prestazioni da eseguire).
In tal senso la giurisprudenza prevalente è orientata a ritenere che in tema di contratti della Pubblica amministrazione, al titolare dell’interesse legittimo leso spetta il risarcimento per tutti i danni che siano conseguenza diretta dell’atto illegittimo, e non solo per quelli scaturenti dalla perdita di chance come se fosse responsabilità extracontrattuale, posto che, anche se in presenza di danno di ammontare incerto, è possibile procedere in via equitativa ai sensi dell’art. 1126 e .c., liquidandolo, con applicazione analogica della regola fissata neIl’art. 345 della L. 20 marzo I865 n. 2248 alI. F (oggi art. 134 del Codice dei Contrattti), nella misura del 10% sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta, e l’ammontare netto dei lavori eseguiti (Consiglio di Stato 8 luglio 2002 n. 3796).
L’art. 134 del Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), dispone che:
“1. La stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decima dell’importo delle opere non eseguite.
2. Il decimo dell’importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta, e l’ammontare netto dei lavori eseguiti”.
Detto parametro, valido per il settore dei lavori pubblici, è stato ritenuto estensibile analogicamente agli appalti di fornitura di beni e servizi. (vedasi Consiglio di Stato, sez.V,n.478/2007).
Trasponendo detti principi al caso di specie, va liquidato alla ricorrente il risarcimento del danno, sulla cui quantificazione il Collegio ora si sofferma.
La liquidazione, nella misura massima del 10% qui richiesta, è subordinata alla prova rigorosa, posta a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto. Nel caso di specie, però, la ricorrente si è limitata ad affermare che il danno avrebbe dovuto essere computato nella misura piena sottraendosi al predetto onere probatorio derivante dall’art. 2697 del c.c. atteso che essa nella memoria depositata in data 11/11/2010 si limita ad affermare che il danno risarcibile dovrebbe essere computato nella misura piena del 10% senza alcuna riduzione in quanto essa nel periodo immediatamente successivo alla gara indicata in epigrafe non avrebbe ricevuto alcuna commessa, ma non produce alcuna prova documentale in tal senso, rimettendo – inammissibilmente – al Collegio l’onere di acquisizione di atti e documenti (le scritture contabili e della visura camerale dalla cui acquisizione emergerebbe la prova di quanto asserito) che erano nella sua piena disponibilità (per il principio secondo cui l’azione risarcitoria non è soggetta alla regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, bensì al principio dell’onere della prova, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2435).
Non essendo stata, inoltre, prodotta alcuna prova relativa all’utile effettivo che la ricorrente avrebbe potuto ricavare dallo svolgimento del servizio, in mancanza di ogni supporto probatorio, non può trovare applicazione il criterio di quantificazione invocato, col rischio che il risarcimento riconosciuto potrebbe essere superiore al danno patito e potrebbe essere più favorevole all’imprenditore dell’impiego del capitale investito, ciò in contrasto con la stessa nozione di risarcimento, ossia ricucitura della situazione patrimoniale lesa dal’inadempimento (C.S.,sez.VI, 21/5/2009 n. 3144).
Il Collegio ritiene, infatti, che il criterio del 10%, se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l’utile che una impresa trae dall’esecuzione di un appalto, non possa, tuttavia, essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata.
Come affermato da un orientamento giurisprudenziale con il quale il Collegio concorda (C. Stato, sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967), il criterio del 10%, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale.
In tal modo il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno, sicché appare preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5098; Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1563; sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478).
Nella fattispecie, avuto riguardo al fatto che la ricorrente non ha assolto l’onere di provare l’ammontare effettivo del danno conseguito a seguito dell’illegittima esclusione dalla gara di cui in causa, va individuato, in via equitativa, l’importo del risarcimento dovuto in suo favore nella misura del 5% dell’offerta economica prodotta in gara dalla stessa.
Su detta somma spetta la rivalutazione monetaria e gli interessi, dal momento che, stante la natura di debito di valore dell’importo risarcitorio, il relativo credito va maggiorato degli accessori destinati a conservarne la consistenza (cfr Consiglio di Stato, 8 luglio 2002, sez. V, n. 3796).
Pertanto, sulla somma così come determinata, vanno calcolati sia la rivalutazione monetaria, sia gli interessi legali secondo il saggio vigente, entrambi a decorrere dal momento della concretizzazione del danno, individuato alla data di mancata aggiudicazione dell’appalto, fino al soddisfo.
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