Nessuno sconto di pena al condannato ex art. 416-bis se le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono discordanti

Redazione 25/10/13

Lucia Nacciarone

Non ha rilievo, ad avviso della seconda sezione penale della Cassazione (sent. n. 43317 del 23 ottobre 2013) l’incongruenza delle testimonianze raccolte in dibattimento, purché rimanga incontestata l’appartenenza dell’imputato al clan mafioso e la sua operatività all’interno dello stesso.

La decisione dei giudici di legittimità respinge quindi il ricorso dell’uomo, che chiedeva la riduzione della pena decretata dai giudici di merito (10 anni di reclusione) attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche fondate principalmente sulla sua giovane età.

Ciò che più conta, avvisano i giudici, è il fatto comprovato di aver ricoperto un ruolo di spicco all’interno dell’associazione, ponendo in essere condotte di una notevolissima gravità e nonostante l’intervenuto arresto del fratello e degli altri sodali all’imputato più vicini.

In merito alla questione delle discrasie fra i vari collaboratori di giustizia, la Cassazione così conclude: «i parametri valutativi della reciproca attendibilità vanno individuati nella contestualità, autonomia, reciproca non conoscenza, convergenza almeno sostanziale nonché in tutti quegli elementi idonei ad escludere fraudolente concertazioni ed a conferire a ciascuna chiamata i connotati di reciproca autonomia, indipendenza ed originalità; le eventuali dichiarazioni in quanto fisiologiche per la disarmonia normalmente presente in racconti di soggetti diversi. L’eventuale sussistenza di smagliature e discrasie, anche di un certo peso, rilevabili tanto all’interno di dette dichiarazioni quanto nel confronto tra di esse, non implica, di per sé, il venir meno della sostanziale affidabilità quando, sulla base di adeguata motivazione, risulti dimostrata la complessiva convergenza nei rispettivi nuclei fondamentali, mentre l’esigenza di convergenza e di concordanza fra le dichiarazioni accusatorie provenienti da diversi soggetti, in funzione di reciproco riscontro tra le dichiarazioni stesse, non può essere spinta al punto da pretendere che queste ultime siano totalmente sovrapponibili fra di loro, in ogni particolare spettando, invece, pur sempre al giudice il potere-dovere di valutare, dandone atto in motivazione, se eventuali discrasie possano trovare plausibile spiegazione in ragioni diverse da quelle ipotizzabili nel mendacio di uno o più dichiaranti».

 

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