Niente garanzie del giusto processo ai professionisti soggetti al giudizio disciplinare dei Consigli territoriali

Redazione 30/05/11

La modifica della Costituzione e l’introduzione del giusto processo, in parallelo con gli interventi delle Corti europee sugli ordinamenti professionali nazionali, hanno sollecitato la giurisprudenza a riflettere in ordine all’attuazione dei precetti di cui all’art. 111 Cost. («il contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale», nel rispetto della «ragionevole durata» del processo) nell’ambito del procedimento disciplinare attivato dagli Ordini professionali, prendendo in considerazione la struttura stessa del procedimento ed i principi ispiratori della potestà disciplinare.

Riguardo all’applicabilità del principio costituzionale del giusto processo al procedimento disciplinare, sebbene non siano mancate alcune sentenze che hanno affermato il valore generale del principio di imparzialità e terzietà della giurisdizione rispetto a qualunque specie di processo, tuttavia, le Sezioni Unite della Cassazione, sia pure limitatamente alle funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli locali dell’Ordine degli avvocati, hanno da tempo affermato che il relativo procedimento riveste natura non giurisdizionale, bensì amministrativa. La funzione disciplinare che compete ai Consigli territoriali costituisce, infatti, manifestazione di un potere amministrativo attribuito dalla legge per l’attuazione di un rapporto che si instaura con l’appartenenza all’Ordine, il quale stabilisce comportamenti conformi ai fini che intende perseguire. Pertanto, il richiamo all’art. 111 Cost. non appare pertinente in relazione ai Consigli degli Ordini territoriali quando irrogano una sanzione disciplinare, non essendo questi giudici ma esercitando, piuttosto, un’attività amministrativa.

Con la sentenza n. 11608 depositata il 26 maggio 2011, i giudici della Cassazione hanno ribadito le considerazioni sopra esposte, estendendo il principio già affermato con riguardo ai Consigli territoriali degli avvocati anche ai Consigli locali dei geometri e di altri professionisti, quando questi siano sottoposti ad un procedimento disciplinare. Nella prospettiva anzidetta la Corte ha giudicato legittima l’istruttoria che precede il giudizio disciplinare anche in caso di mancata adozione della relativa delibera da parte del Consiglio, così come ha giudicato infondata la doglianza del ricorrente circa la mancata contestazione dei fatti disciplinarmente rilevanti. A tale ultimo proposito, la Corte ribadisce un assunto già condiviso dalle Sezioni Unite in base al quale, in tema di giudizio disciplinare nei confronti di un professionista, «la formale incolpazione non richiede una minuta, completa e particolareggiata esposizione delle modalità dei fatti che integrano l’illecito», né l’indagine volta ad accertare la correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare va condotta alla stregua di un confronto meramente formale, «dovendosi piuttosto dar rilievo all’iter del procedimento e alla possibilità che l’incolpato abbia avuto di avere conoscenza dell’addebito e di discolparsi». In questo senso, anche il riferimento a fatti oggetto di un procedimento penale, come nel caso sottoposto all’esame della Corte, deve considerarsi sufficiente ad integrare una valida contestazione dell’addebito disciplinare, risultando rispettato il diritto di difesa dell’incolpato, il quale è in tale evenienza posto in grado di svolgere in sede disciplinare le più opportune difese, senza rischiare di essere giudicato per fatti diversi da quelli ascrittigli o diversamente qualificabili sotto il profilo della condotta professionale a fini disciplinari.

Essendo la sentenza impugnata perfettamente in linea con gli affermati principi, la Corte, con la pronuncia in oggetto, rigettato il ricorso proposto e confermato la sanzione irrogata dal Consiglio territoriale dei geometri e confermata dal Consiglio Nazionale.

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