Il percorso giuridico che consente uno Stato membro di uscire dell’Eurozona e riacquistare la sovranità monetaria consta di molte proposte, ma le modalità saranno riassunte (senza pretese di esaustività) in questo contributo.
Esiste una parte dell’opinione pubblica, infatti, che ritiene la moneta denominata “Euro” la causa di tutti i mali economici del nostro Paese.
Questa porzione d’Italia è stanca e nutre disaffezione verso questo modo di governare l’Europa ; sono stanchi di sentirsi dire “ce lo chiede l’Europa” e non ritengono soddisfatti gli obiettivi posti dagli stessi trattati, non riuscendo a percepire la natura solidaristica dell’ Europa(si veda il caso della crisi greca), ma anzi riscontrando delle insanabili contraddizioni in molti articoli dei trattati, a partire dall’art. 3 del TUE; non capiscono in che modo l’art. 11 della cost. possa essere utilizzato per i fini di pace quando vi sono state molte guerre commerciali all’interno della U.E. [1]che aumentano le tensioni e i conflitti tra gli Stati; non si capisce come coniugare l’esasperata competizione commerciale con l’equità ed un welfare state degno di un Paese moderno; si critica la posizione di vantaggio dei tedeschi nei loro rapporti con l’Unione Europea; si contesta il pareggio di bilancio adottato in virtù del fiscal compact, perché a parere di molti opinionisti, legali ed economisti si vieterebbe di fare deficit e in questo modo di consentire una spesa pubblica che tenga conto di importanti investimenti oltre che di sostegno alla spesa pubblica[2]; se si ritiene che l’Europa “fortemente competitiva” sia neoliberista in quanto sia il preludio di un rapporto mercantilista tra stati , se si pensa che la crescita in questo modo non sia equilibrata e che anzi abbia posizioni antisolidaristiche(123,124,125 TFUE) e se si pensa che l’Europa, questa Europa sia soltanto una guerra finanziaria di asservimento della domanda degli stati vicini e che nulla abbia a che vedere con l’economia sociale di mercato visto che il lavoro è ridotto a merce come durante l’epoca liberista, allora l’unica strada è quella di ripristinare la sovranità monetaria.
L’uscita dall’Eurozona, lo premetto, non è un percorso condiviso per quanto riguarda la sua fattibilità da tutti gli studiosi di diritto, tuttavia vi sono autorevoli giuristi [3]che sostengono che sia possibile uscire dall’eurozona senza recedere dall’Unione europea.
Indice
1. Come si esce dall’Eurozona
Si ritiene di azionare gli art.139 e 140 TFUE, ossia si ipotizza di sfruttare il concetto degli stati membri con deroga e il loro regime transitorio applicabile, vista la condizione temporanea di tale status giuridico; in che senso? Nel senso che l’unione monetaria è un atto successivo rispetto all’instaurazione dell’UE(art.3par4), la moneta “Euro” non è un elemento fondante della personalità giuridica della UE, perciò non costituisce un obbligo, infatti vi sono degli Stati che pur facendo parte della UE non hanno aderito alla moneta unica; la moneta unica presuppone sempre il consenso dello Stato membro interessato, un consenso che poteva mancare fino alla fase deliberativa finale che prevede l’unanimità del Consiglio.
In altre parole, è ipotizzabile azionare un meccanismo legale inverso, che permetta allo Stato che non riesce o non trova conveniente questo status giuridico, di riconsiderare il suo percorso legale, rinunciando al provvedimento ampliativo che ha reso possibile l’entrata; non consta che esista una disposizione che vieti l’uscita dall’eurozona.
L’Euro, dunque, non coinciderebbe con l’Europa e in mancanza di divieti, la decisione dell’uscita non può che essere autonoma ed appartenere allo Stato membro, in quanto membro decidente del Consiglio, facendo venir meno l’unanimità originaria.
Ovviamente non basta che il Governo chieda di azionare tali articoli del trattato, ma occorrono atti giuridici che abbiano anche efficacia esterna, non bastando un semplice decreto legge; un decreto legge, pur avendo effetti interni, contrasterebbe con i vincoli sanciti dagli articoli 10,11 e 117 della costituzione.
Oltre ad un decreto legge (e successivamente la sua conversione in legge) che contemplasse nel dettaglio i provvedimenti di natura economica e dell’infrastruttura istituzionale occorrente, occorrerebbe anche una legge di rango costituzionale, in particolare modificando l’art.117 della costituzione.
I provvedimenti legislativi, inoltre, non possono disimpegnare lo Stato italiano dagli obblighi internazionali e comunitari, se non si vuole incorrere in vizi di costituzionalità, a meno che il Governo e la sua maggioranza(anche di revisione costituzionale) non accetti il rischio di lunghi contenziosi, di censure della Corte costituzionale che potrebbero rimuovere le leggi(anche costituzionali) o, in altri casi, la richiesta di abrogazione delle leggi da parte della Corte di Giustizia europea qualora lo stato membro violasse le disposizioni comunitarie.
Ricordo che uscire dall’Eurozona, significherebbe in ogni caso dover rendere conto alla Commissione, al Consiglio e alla Corte di giustizia europea, perché si rimarrebbe ancora nell’ambito dell’Unione europea.
Chi pensa di risolvere i problemi legali semplicemente non conformandosi alle molteplici autorità politiche e monetarie e alle sanzioni generalmente connesse(anche molto gravi),dovrà ricredersi.
I “sovranisti” devono capire che siamo interconnessi non solo economicamente, ma anche legalmente e che il quadro normativo europeo o internazionale e i loro centri di potere non sono di loro disponibilità a seconda di ciò che più gli aggrada.
Revocando il proprio consenso all’adesione della moneta unica verrebbe meno anche l’obbligo di rispettare il fiscal compact(art.14 par.5)(4), ma non l’obbligo del pareggio di bilancio, che resterebbe costituzionalizzato; tornare allo status antecedente all’adesione avrebbe anche il supporto legale dell’art.69 e 56 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati(5), perché è ipotizzabile chiedere l’insostenibilità dell’insieme dei criteri di convergenza; tuttavia, resto convinto che non basta un decreto legge e men che meno una consultazione referendaria per uscire dall’Eurozona, ma atti normativi efficaci sia sul piano interno che esterno, cercando di creare un quadro legale per il ritiro dall’Euro, magari prendendo spunto dal regolamento CE 1103 e agendo al contrario(6).
Chi minimizza la portata degli impegni e degli obblighi internazionali e comunitari forse trascura la distinzione tra trattati ed atti derivati e non considera la complessità degli atti comunitari entrati a far parte nel nostro ordinamento; se potessi usare una metafora, direi che non si può pensare che cessata la pioggia il terreno diventi subito secco, ma lo diventerà a seconda di quanto risplenderà il sole e se ci saranno o meno le nubi nella volta del cielo.
Il sole è l’intensità della politica a rimuovere gli effetti senza danneggiare i terreni, e le nubi la capacità di ostacolare la forza innovatrice della politica, attraverso opposizioni parlamentari e gli atti giuridici dei Tribunali e delle Corti; ipotizzo che ci sarà molto nuvoloso e che i terreni rimarranno per molto tempo paludosi.
Una di queste “nubi” potrebbe essere il regolamento comunitario 593/2008 che per effetto della diretta applicabilità costituirebbe un ostacolo per chi pensa di ripristinare la moneta sovrana incorporando gli eventuali effetti inflattivi all’interno del decreto legge, o modificando alcuni articoli del codice civile, in particolare il 1277 e il 1278 allo scopo di consentire un cambio della moneta con l’Euro pari a 1.1(7), o forse prevedendo un credito di imposta per attenuare gli effetti negativi della svalutazione per le controparti.
Questa “nube” continuerebbe a sussistere anche con la moneta sovrana(perché rimarremmo ancora all’interno dell’Unione europea) perché le parti potrebbero aver scelto di regolare il proprio contratto con una legge extranazionale e in tal caso lo scudo protettivo della nostra legge italiana non avrebbe effetto.
Le parti hanno libertà di scelta sulla legge applicabile, anche in base alle norme del nostro codice di diritto internazionale privato, e di conseguenza si avrebbe un collegamento con un ordinamento diverso da quello del foro naturale.
Il regolamento, inoltre, fissa i criteri di collegamento in mancanza di scelta tra le parti, a meno che non risulti chiaramente la scelta.
In ogni caso, in mancanza di scelta, potrebbe accadere che la parte acquirente o venditrice si trovi come controparte rispetto allo Stato dove si applica una legge e nello stesso tempo quello Stato potrebbe essere lo Stato che adotti la nuova moneta in sostituzione dell’Euro.
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2. Quali problemi rimarrebbero insoluti
Tutta l’impostazione commerciale comunitaria ed internazionale è impostata a grandi linee sulla libertà di commercio e sull’autonomia delle parti che costituisce il pilastro della libertà e dell’iniziativa economica, anzi è la pietra angolare del sistema; la tendenza a livello internazionale è quella di limitare(fino ad un certo punto s’intende) che le contingenti maggioranze politiche di uno Stato possano mettere in discussione l’attività contrattuale e gli affari negoziali dei privati, creando incertezze giuridiche e scoraggiando gli investitori esteri.
L’intento è di unificare il diritto commerciale comunitario ed internazionale[8], perché solo una regolamentazione giuridica uniforme può contrastare la tendenza di fare affari e di investire laddove non vi siano criticità nei tempi del processo o incertezza nella normativa sostanziale commerciale e va da sé che non può bastare la lex mercatoria (ossia un sistema di norme create dalle imprese senza la mediazione legislativa) non essendo una legge dello Stato, ma dovendo (le aziende) far sempre più uso degli arbitri internazionali; la prassi degli affari diventa sempre più complessa e non può attendere le formalità dei processi civili degli Stati poiché i traffici internazionali economici sono in aumento ed abbisognano di risposte veloci, chiare ed efficienti da parte della Giustizia; se ciò non accadrà, in futuro è ipotizzabile una tendenza da parte delle aziende a denazionalizzare i loro contratti commerciali, dove saranno sempre più gli Stati (sta già accadendo) a dover adattarsi alle aziende e non viceversa; pertanto anche la Giustizia italiana dovrà fare la sua parte per far competere il nostro sistema paese con le grandi potenze economiche.
In questa competizione tra sistemi-paese, non ha alcuna importanza la decisione di uno Stato se il resto del mondo adotta una politica diametralmente opposta, perciò se vogliamo rimanere con i piedi per terra, dovremo modificare il sistema tenendo conto del pensiero dominante a livello internazionale, salvando il capitalismo da se stesso, con disposizioni efficaci che consentano una sana concorrenza e regole chiare e trasparenti.
Chi non ci sta al sistema potrebbe correre il rischio di peggiorare la situazione, a meno che a livello geopolitico le grandi potenze adottino politiche condivise tendenti alla compensazione degli squilibri interni ed esterni superando soprattutto l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia, così come auspicato da molti autorevoli leaders politici, economisti e opinionisti.
se dovessi sintetizzare, le aziende vogliono un sistema stabile normativo, processi veloci, norme chiare e non ambigue e zero operazioni ermeneutiche da parte degli operatori giuridici, in altre parole semplificare il sistema ed abbattere i costi dello stesso.
Le parti, dunque, potrebbero stabilire che la legge regolatrice del contratto appartenga ad un altro Stato, anche ad uno Stato terzo; se un decreto legge violasse o interferisse con un atto comunitario (in questo caso il regolamento) che rientra nell’ambito giurisdizionale della Corte di Giustizia, tale decreto legge potrebbe essere annullato.
Gli elementi problematici di tali atti normativi che permettono l’estraneità di un contratto rispetto all’ordinamento giuridico interno possono essere le molteplici leggi ordinarie o i giudici che possono essere due o più astrattamente competenti a trattare eventuali controversie, ma ci sono anche problemi afferenti alla diversità di valuta.
Inoltre non si può non parlare del debito estero.
Qualora si decidesse di uscire dall’Euro si rimborserebbe i contratti e i titoli di Stato in una moneta (probabilmente) svalutata, e ciò avverrebbe con l’assenso dell’Unione? Con l’impostazione giuridica, politica ed economica risultante dai Trattati? Da atti derivati e dalle sentenze fino ad ora emanate? O si pensa veramente di non vedere una reazione dei mercati speculativi? O che basti una legge sulla ridenominazione? Non lo credo, anche se è vero che non sono un’economista, ma è anche vero che se lascio per strada un buttafuori gravemente ferito dopo averlo fatto salire nella mia auto, mi aspetto delle conseguenze negative che possono spaziare dalle lesioni fisiche (percosse) fino alla denuncia per omissione di soccorso e non serve uno psicologo per aspettarsi ciò come reazione.
Vi potrebbero essere diversi profili di incostituzionalità che potrebbero vanificare il lavoro del Parlamento e del Governo (la palude come metafora), che spaziano dalla violazione della tutela del risparmio costituzionalmente protetto, nonché dall’eguaglianza di trattamento previsto dall’art. 3 della costituzione.
Potrebbero essere i tribunali degli altri Stati a giudicare i contratti impugnati e i debitori italiani potrebbero essere costretti a pagare in euro le loro passività.
La ridenominazione, in altre parole, sarebbe efficace per il paese interno, ma anche se la quasi totalità del debito pubblico è emesso in base alle leggi italiane, le obbligazioni private invece sono governate dalle leggi di un’altra giurisdizione e i tribunali potrebbero rigettare la ridenominazione per i creditori stranieri[9].
In generale, a prescindere dall’Italexit, ogni azienda si chiederà chi avrà cognizione in caso di controversia legale, e studierà tutto ciò che possa comportare minori incertezze legali e quindi minori costi , valutando se esiste un trattato sul riconoscimento reciproco delle sentenze o se lo Stato riconoscerà solo le sentenze dei propri giudici, magari con il riesame della sentenza straniera , ma anche se esistono meccanismi di risoluzione delle contese giudiziarie alternative, magari raggiungendo un accordo bonario attraverso la mediazione.
La soluzione meno costosa è ciò che evidentemente interesserà un’azienda, e non se uno Stato ritiene conforme o meno da un punto di vista etico, il comportamento della stessa; se poi pensiamo che non esistono cause dall’esito certo, si può ben capire come il mondo economico e finanziario (almeno una sua parte) cercherà soluzioni alternative sempre più al di fuori del circuito giudiziario, conformandosi a decisioni extragiudizarie, facendo sempre più leva sulla credibilità dell’azienda nel mondo degli affari.
La storia dell’integrazione europea, altro non è che il tentativo (malriuscito fin che si vuole) di dare una risposta ad una molteplicità di problemi che partendo da un piano economico, mirava e mira (o dovrebbe mirare) a creare un grande sistema integrato e federato avente pochi centri decisionali con il compito di armonizzare i sistemi legislativi degli stati nazionali, allo scopo ( in linea teorica) di migliorare il benessere delle popolazioni coniugando il liberismo (con la cosiddetta “forte competitività”) con le regole per renderlo operativo; ciò che è diventato è sotto gli occhi di tutti, ma non si può dire che non abbia una logica interna; poi si potrà criticare sin che si vuole, ma la logica c’è.
Dal Trattato di Roma del 1957, fino al Trattato di Lisbona si può affermare che vi siano stati molteplici tentativi miranti all’unificazione, con una breve interruzione collocabile intorno agli anni’70; la storia dell’Unione è la storia dell’aspro dibattito e delle contese fra federalisti e confederati e in questi ultimi tempi degli euroscettici od eurocontrari contro gli europeisti; il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri ha dovuto tener conto delle specificità storiche e legislative degli Stati e della lunga durata della guerra fredda; con il crollo del muro di Berlino, mutati gli scenari geopolitici, vi sono state le condizioni per un allargamento dell’Unione Europea, i cui intendimenti erano già presenti molto tempo prima e non sono un fenomeno riconducibile a pochi uomini, anche se potrebbero aver avuto un forte ruolo di accelerazione nell’integrazione Europea; chi parla di traditori della Patria dovrebbe allora “processare” tutti i giudici delle corti interne ed esterne, tutti i Parlamentari e i Governi che hanno reso possibile questa unione a partire dal 1957, anno della stipula del Trattato di Roma.
Su quali basi si potrebbero “processare” i cosiddetti traditori? Chi ha introdotto lo SME (secondo una certa scuola di pensiero abbiamo scongiurato il disordine monetario)? Oppure processiamo chi ha introdotto il Trattato di Roma nel 1957? Se anche fosse possibile farlo, si rischierebbe di comprimere la possibilità della politica in un dato momento di scegliere le politiche più opportune, perché la generazione seguente potrebbe condannare le scelte precedenti non più con le semplici innovazioni legislative, ma con uno strumentario giuridico che se fosse realizzabile farebbe tremare i polsi per l’uso ed abuso che ne verrebbe fatto (ed è qui l’importanza cruciale della Corte costituzionale nel mettere i paletti giuridici necessari per evitare una deriva autoritaria o terroristica di un Governo estremista).
La logica sottostante(condivisibile o meno) dell’Europa è di rendere possibile i traffici commerciali nel rispetto delle leggi nel quadro della concorrenza, se poi si è verificato un altro scenario, la logica non cambia, semmai la causa è da ricercare altrove.
3. Il fenomeno Euro
Il fenomeno Euro non si può comprendere se non si guarda il passato, perché l’adozione della moneta unica è stata frutto di un’evoluzione che partendo da alcuni rapporti(Werner e Delors) e passando per l’atto unico europeo (1986) hanno introdotto la cooperazione in materia di politica economica e monetaria.
La moneta dunque è stato il risultato di un pensiero di fondo federale che vuole l’Europa sempre più integrata, convinti che sia un processo auspicabile per potenziare la forza economica degli Stati nel loro complesso.
L’obiettivo della moneta unica era presente nell’art. 2 del TUE poi trasposto nel Trattato di Lisbona(10).
Si mantiene ancora la politica economica al di fuori del circuito sovranazionale, anche se gli Stati sono tenuti a degli indirizzi di massima dettati dal Consiglio, mentre la stabilità dei prezzi e la politica monetaria è stata ceduta al sistema SEBC e della BCE.
L’Unione Europea si fonda su un rigido sistema di controllo delle finanze pubbliche con dei mezzi vincolanti per correggere i disavanzi eccessivi, un sistema che ha provocato le critiche più aspre da parte del “partito della spesa pubblica” e delle loro ragioni (parziali e soggettive) economiche.
La crisi del 2008 e la crisi del debito sovrano di alcuni paesi hanno peggiorato la situazione, dimostrando scarsa solidarietà da parte dei Paesi centrali a scapito della periferia, in altre parole dimostrando scarsa sensibilità europeista per ragioni nazionali; con l’eccessivo rigore si è perso di vista l’insieme e si è ritornati al particolarismo, unendo le ragioni nazionali con una visione punitiva ( il rigore, ossia una politica tutta volta al contenimento della spesa pubblica) non confacente allo spirito europeo.
Ritengo che questo “spirito punitivo” sia ancora presente nei paesi del centro, perché questi Stati (o meglio le loro classi dirigenti economiche e politiche) sono convinti a torto o a ragione che gli Stati della periferia abbiano vissuto al di sopra delle loro possibilità e su questa logica sono stati istituiti nuovi e più penetranti strumenti di stabilizzazione e di assistenza finanziaria; in caso di difficoltà finanziarie i Paesi membri potranno chiedere assistenza finanziaria, ma tali misure saranno soggette ad un programma di aggiustamento macroeconomico.
Sto parlando del MES e del Patto di bilancio (Fiscal compact) che tanto ha fatto discutere in Europa; la governance economica oggi, in Europa, è una lotta tra rigoristi ed antirigoristi, tra chi pensa di attenuare le rigidità del pacchetto di misure legislative dirette a rafforzare il controllo delle politiche finanziarie degli Stati membri e tra chi pretende rigore e rispetto della tempistica(Germania in primis).
Tra gli antirigoristi vi sono anche gli eurocontrari duri e puri che fanno leva sul malcontento per avere il consenso necessario per abbandonare sic et simpliciter il sistema dell’Eurozona non escludendo neppure l’uscita dall’Unione Europea.
Se sia giusto o meno non spetta a me dirlo.
Ai posteri l’ardua sentenza.
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Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore 2021
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- [1]
Un colabrodo chiamato Unione Europea
- [2]
http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2016/01/i-deficit-pubblici-equivalgono-lasciare.html
- [3]
https://orizzonte48.blogspot.com/2013/11/lunione-europea-in-base-ai-trattati-non.html
- [4]
https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_bilancio_europeo
- [5]
http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20041101120858
- [6]
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A31997R1103
- [7]
https://scenarieconomici.it/la-lex-monetae-come-uscire-dalleuro-senza-farsi-alcun-male-di-giuseppe-palma/
- [8]
https://it.wikipedia.org/wiki/Commissione_delle_Nazioni_Unite_per_il_diritto_commerciale_internazionale
- [9]
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-06-05/il-latinorum-dell-uscita-dall-euro-191028.shtml?uuid=AE5ZWvYB
- [10]
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A12012M%2FTXT
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