Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, decidendo sulla richiesta del Pubblico ministero di archiviazione del procedimento penale a carico di un indagato, sottoposto ad indagini per il delitto di minaccia, rigettava l’istanza restituendo gli atti al Pubblico ministero e disponendo che quest’ultimo formulasse entro dieci giorni l’imputazione per il delitto di cui all’art. 610 cod. pen..
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso siffatto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone affidandosi ad un unico motivo con il quale costui deduceva che nei confronti dell’indagato si procedeva esclusivamente per il delitto di minaccia e che, solo per tale reato, era stata chiesta la archiviazione.
A fronte di ciò, secondo la pubblica accusa, non era consentito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero di formulare imputazioni per fatti diversi da quelli cui si riferiva la richiesta di archiviazione ed, anche laddove fossero emersi fatti ulteriori, ad avviso dell’impugnante, il giudice avrebbe dovuto innanzitutto ordinare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. il che non era avvenuto, né il giudice aveva diversamente qualificato il fatto di minaccia come violenza privata.
Si reputava pertanto come cotale provvedimento dovesse ritenersi abnorme.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si faceva prima di tutto presente come la Corte di Cassazione avesse più volte affermato che costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari, sia l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia quello emesso nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione (Sez. 4, n. 1217 del 10/10/2018 – dep. 2019; Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018) fermo restando che, al fine di verificare se l’ordine d’imputazione coatta si riferisca o meno al fatto per il quale il pubblico ministero abbia richiesto l’archiviazione o ad un fatto, non può farsi riferimento alla sola qualificazione giuridica attribuita al fatto dal pubblico ministero potendo il giudice, ai sensi dell’art. 521, comma primo, cod. proc. pen., sempre attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica.
Difatti, secondo la Corte, non è abnorme il provvedimento ordinatorio del giudice per le indagini preliminari che, nel rigettare la richiesta di archiviazione, disponga la formulazione dell’imputazione e corregga contestualmente la qualificazione giuridica del fatto atteso che i poteri di controllo del giudice sull’iniziativa penale del P.M. sono delimitati dalla notizia di reato sicché comprendono anche il potere di individuare l’esatta qualificazione giuridica del fatto (Sez. 5, n. 22390 del 10/05/2005) fermo restando che una conferma in tal senso è ricavabile proprio da un’attenta lettura della sentenza delle Sezioni Unite sopra citata relativa ad una richiesta di archiviazione per il delitto di tentata concussione in relazione alla quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’imputazione coatta per i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 cod. pen.) e di violenza privata (art. 610 cod. pen.).
Difatti, in questo arresto giurisprudenziale, nel postulare che il reato di violenza privata è «una fattispecie non delibata da parte del pubblico ministero, del tutto estranea alle condotte per le quali il rappresentante della pubblica accusa aveva chiesto l’archiviazione della notizia di reato», e nell’annullare senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente all’ordine di formulazione della imputazione per il reato di cui all’art. 610 cod. pen., le Sezioni Unite, affermando che l’ordinanza era legittima nella parte in cui ordinava al pubblico ministero di formulare l’imputazione per il reato di cui all’art. 392 cod. pen., avevano confermato il potere del GIP di qualificare diversamente il fatto per il quale è stata chiesta l’archiviazione e di ordinare al pubblico ministero la formulazione dell’imputazione per il fatto così riqualificato.
Oltre a ciò, si affermava altresì come possa procedersi per il reato diversamente qualificato anche allorché difetti la mancanza di una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato ai sensi dell’art. 335 cod. proc. pen. (vedi Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009 – dep. 2010).
Ebbene, una volta concluso tale excursus giurisprudenziale, i giudici di piazza Cavour osservavano come, nella fattispecie in esame, il Giudice per le indagini preliminari, ordinando al Pubblico ministero di formulare l’imputazione per il reato di violenza privata consumata, avesse in tal modo, sia pure implicitamente, qualificato diversamente il fatto per il quale il Pubblico ministero, ritenendo che esso integrasse una mera minaccia, aveva richiesto l’archiviazione.
Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse nella parte in cui viene affermato che non è abnorme il provvedimento ordinatorio del giudice per le indagini preliminari che, nel rigettare la richiesta di archiviazione, disponga la formulazione dell’imputazione e corregga contestualmente la qualificazione giuridica del fatto atteso che i poteri di controllo del giudice sull’iniziativa penale del P.M. sono delimitati dalla notizia di reato sicché comprendono anche il potere di individuare l’esatta qualificazione giuridica del fatto.
Tale considerazione giuridica, che si basa su un precedente conforme, ad avviso di chi scrive, è condivisibile fermo restando che se il giudice ha un potere di “riformulare” la prospettazione accusatoria, ciò, però, non significa che il giudice possa surrogarsi in toto al pubblico ministero nel senso di formulare una ipotesi accusatoria inerente un fatto del tutto diverso da quello considerato dal pubblico ministero.
A conferma di quanto appena enunciato si osserva come lo stesso art. 521, c. 1, c.p.p. (richiamato nella pronuncia qui in commento) si riferisce alla sola ipotesi in cui al giudice è permesso conferire al fatto una qualificazione giuridica diversa mentre, quella contemplata al comma secondo, prevede che costui è tenuto con ordinanza a trasmettere gli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso [sebbene tale evenienza processuale ricorra nei soli casi in cui “il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518 comma 2” (così: art. 521, c. 2, c.p.p.)].
La distinzione tra definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione e diversità del fatto (pur se solo per talune ipotesi) compiuta in questa disposizione legislativa, pertanto, sembra comunque confermare il fatto che se al giudice è consentito di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, non gli è però permesso di considerare un fatto differente da quello richiamato dall’autorità requirente nel capo di imputazione.
E’ dunque condivisibile una tesi giuridica volta a sostenere che il giudice delle indagini preliminari può configurare un fatto come un reato diverso da quello prospettato dalla pubblica accusa mentre non si può pervenire alla medesima conclusione ove questo organo giudicante consideri un fatto diverso da quello contestato dal pubblico ministero.
Del resto, la giurisprudenza di legittimità richiamata in questa medesima sentenza secondo la quale costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del giudice per le indagini preliminari, l’ordine d’imputazione coatta emesso nei confronti dell’indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione non pare porsi in contrasto con quanto sin qui sostenuto dato che una cosa è un fatto considerato dal giudice ma non dalla pubblica accusa, altro è, viceversa, valutare lo stesso fatto, così come formulato ontologicamente dall’autorità requirente, ma stimandolo sussumibile sotto una diversa norma incriminatrice rispetto a quella presa in considerazione dallo stesso p.m..
Nel primo caso, difatti, ad avviso dello scrivente, è configurabile l’abnormità, nel secondo caso, invece, no.
D’altronde, consentire al giudice delle indagini preliminari di valutare un fatto diverso da quello considerato dalla pubblica accusa e per esso ordinare l’imputazione coatta, rappresenterebbe una evidente lesione del diritto di difesa dato che l’indagato non potrebbe sostenere valide ragioni dato che costui non sarebbe messo in condizione di adeguatamente difendersi dato che il fatto, per cui viene formulata l’imputazione coatta, non sarebbe quello rispetto al quale costui ha formulato le proprie doglianza difensive essendo questo differente da quanto contestato nel capo di accusa.
Tra l’altro, la sentenza in questione sembra collocarsi su tale linea interpretativa nella parte in cui si asserisce che i poteri di controllo del giudice sull’iniziativa penale del P.M. sono delimitati dalla notizia di reato sicché comprendono anche il potere di individuare l’esatta qualificazione giuridica del fatto: il riferimento, infatti, è alla qualificazione per l’appunto giuridica del fatto e non ad una differente ricostruzione del fatto in relazione alla quale, ove l’illecito sia diverso da quello contestato nella prospettazione accusatoria, è giustificabile l’emissione di un ordine di imputazione coatta che, proprio in relazione a quanto statuito nella decisione qui in commento, non può stimarsi abnorme.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, dunque, anche tenuto conto delle considerazioni sin qui esposte, non può che essere positivo.
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