1. La questione
La Corte di Appello di Firenze aveva riformato una sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Siena nei confronti di una persona accusata del delitto di cui all’art. 590, comma 3, cod. pen..
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi addotti, deduceva vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione la cui esistenza sarebbe stata desumibile da un documento allegato al ricorso.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il motivo summenzionato era ritenuto infondato poiché, secondo la Corte di legittimità, nel ricorso summenzionato era assente ogni riferimento alla produzione di tale documento nelle fasi di merito.
Invece, a parere degli Ermellini, la produzione documentale avvenuta in sede di legittimità è inammissibile in quanto, come affermato in sede nomofilattica, non è ammissibile la produzione per la prima volta in sede di legittimità di «documenti nuovi», ovvero già non facenti parte del fascicolo, diversi da quelli che non costituiscono nuova prova e che non esigono attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte, perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di Cassazione (Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012; Sez. 4, n. 3396 del 06/12/2005).
Invero, i documenti esibiti per la prima volta in sede di legittimità non sono ricevibili perché il nuovo codice di rito non ha previsto all’art. 613, diversamente dall’abrogato art. 533, tale facoltà: si è, in tal modo, inteso esaltare il ruolo di pura legittimità della Suprema Corte che procede non ad un esame degli atti, ma soltanto alla valutazione dell’esistenza e della logicità della motivazione (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019).
Invece, qualora, al contrario, la difesa avesse già prodotto tale documento nelle fasi di merito, ad avviso del Supremo Consesso, sarebbe stato necessario specificare tale dato processuale posto che il giudice di legittimità non può dedurlo dal mero adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso, che altrimenti si trasformerebbe nello strumento per introdurre nel giudizio di legittimità documenti e fatti non dedotti tempestivamente davanti ai giudici del merito (Sez. 6, n. 12645 del 04/03/2015).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi affermato che non è di norma ammissibile la produzione di documenti in sede di legittimità.
Difatti, si afferma in tale pronuncia, lungo il solco di un pregresso e costante orientamento ermeneutico elaborato dalla Cassazione in subiecta materia, che la produzione documentale avvenuta in sede di legittimità è inammissibile in quanto, come affermato in sede nomofilattica, non è ammissibile la produzione per la prima volta in sede di legittimità di «documenti nuovi», ovvero già non facenti parte del fascicolo, diversi da quelli che non costituiscono nuova prova e che non esigono attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte, perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di Cassazione.
E’ dunque sconsigliabile procedere ad una produzione di questo tipo (salvi i casi di prova nuova e che non richiedono attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte), per la prima volta, in sede di legittimità, se ciò non è stato fatto in precedenza nel giudizio di merito fermo restando che, ove si sia proceduto in tal senso, è comunque onere del ricorrente specificare tale dato processuale.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba fare riferimento ad un documento in un ricorso per Cassazione.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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