(Riferimento normativo: C.p.p. art. 677, c. 2-bis).
Il fatto
Con ordinanza dell’i ottobre 2018 il Tribunale di Sorveglianza di Torino aveva dichiarato l’inammissibilità della richiesta, presentata nell’interesse di S. C., volta all’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale in relazione all’esecuzione della pena di un anno e quattro mesi di reclusione, inflittagli per il delitto di ricettazione con sentenza del Tribunale di Aosta del 22 ottobre 2010, ovvero, in subordine, all’esecuzione della sanzione nella forma della semilibertà o della detenzione domiciliare c.d. «generica» ex art. 47-ter, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354.
Si era, a tal fine, rilevato che il condannato fosse venuto meno all’obbligo, sancito, a pena di inammissibilità, dall’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., di «fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza» e di «comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto» secondo l’interpretazione che ne avevano fornito le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 18775 del 17/12/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 246720) con cui si estendeva l’obbligo e la sanzione per la sua trasgressione all’ipotesi in cui l’istanza fosse presentata dal difensore del condannato non detenuto né latitante o irreperibile.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Veniva proposto da parte dell’avvocato del condannato ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale si deduceva violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen. nonché insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Si rilevava, al riguardo, di essere stato ritualmente eletto domicilio presso il ristorante ove l’assistito lavorava, quale cuoco stagionale, sino al 30 aprile 2018, sicché non ricorreva, a detta del ricorrente, la causa di inammissibilità indicata dal Tribunale di sorveglianza.
Oltre a ciò, si aggiungeva altresì che, anche qualora si fosse reputata la sopravvenuta inidoneità del domicilio eletto in conseguenza del venir meno del rapporto lavorativo, sarebbe stata configurabile unicamente un’ipotesi di omessa comunicazione della variazione del domicilio, non assistita dalla sanzione di inammissibilità e soggetta, invece, alla disciplina prevista dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen..
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso riteneva il ricorso fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come il Tribunale di sorveglianza di Torino avesse richiamato, correttamente, l’indirizzo ermeneutico, espresso dal massimo organo nomofilattico (Sez. U, n. 18775 del 17/12/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 246720), secondo cui il condannato non detenuto deve, a pena di inammissibilità, al momento della presentazione di una istanza finalizzata all’ammissione a misure alternative alla detenzione, dichiarare o eleggere domicilio, a tal fine non potendosi riconoscere efficacia alla dichiarazione o elezione eventualmente effettuata nella fase, ormai conclusa, di cognizione.
Nel caso di specie, il condannato, dopo avere eletto domicilio — in ossequio alla regola stabilita dall’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., secondo cui «Il condannato, non detenuto, ha l’obbligo, a pena di inammissibilità, di fare la dichiarazione o l’elezione di domicilio con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza» — presso il ristorante dove aveva lavorato sino al 30 aprile 2018, se ne era allontanato, mutando il domicilio, senza effettuare la comunicazione obbligatoria prescritta dallo stesso art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che «il condannato, non detenuto, ha altresì l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto».
Costui, quindi, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza «per mancata dichiarazione di nuovo domicilio a seguito del suo mutamento» ma così facendo, ad avviso della Corte, era stato tuttavia trascurato il fatto che la normativa codicistica sanziona con l’inammissibilità l’omessa dichiarazione o elezione di domicilio all’atto della presentazione della domanda e non anche l’omessa comunicazione del mutamento successivo del domicilio originariamente eletto o dichiarato, secondo quanto risulta dal testo normativo sopra riportato e costantemente confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 48337 del 13/11/2011, omissis, Rv. 253977; Sez. 1, n. 15137 del 03/03/2011, omissis, Rv. 249738).
Posto ciò, considerato, ad abundantiam, che il sopravvenuto mutamento del domicilio non aveva, in concreto, precluso la rituale notifica, in data 28 giugno 218, al condannato del decreto di fissazione dell’udienza camerale in esito alla quale è stata emessa l’ordinanza impugnata, la Corte ravvisava la contrarietà al disposto normativo di tale decisione.
La Cassazione, pertanto, alla luce di ciò, disponeva l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Torino affinché procedesse all’esame, nel merito, dell’istanza presentata nell’interesse del condannato.
Conclusioni
La decisione in commento è sicuramente condivisibile in quanto con essa si è proceduto ad una corretta interpretazione di quanto previsto dall’art. 677, c. 2-bis, c.p.p..
Infatti, dal momento che questa disposizione codicistica non prevede che la mancata comunicazione del domicilio rispetto a quello eletto o dichiarato con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza comporti la sua inammissibilità, la Corte, nel caso di specie, anche alla luce di quanto già affermato dalla stessa Cassazione in altre pronunce, è giunta del tutto correttamente ad escludere l’inammissibilità dell’istanza per mancata dichiarazione di nuovo domicilio a seguito del suo mutamento.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, si ribadisce, non può che essere positivo.
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