Indice:
- Il fatto
- La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
- La posizione assunta dal Presidente del Consiglio dei ministri
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Consulta
- Conclusioni
Il fatto
Presso il Tribunale penale di Rimini, veniva fatta richiesta, in apertura dell’udienza preliminare, dal difensore di persona imputata di omicidio aggravato ai sensi degli artt. 575 e 577, primo comma, numero 1), del codice penale – di essere giudicato con rito abbreviato.
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Rilevato che il giudizio abbreviato non è ammesso per i delitti puniti in astratto con la pena dell’ergastolo, in forza della disposizione di cui all’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 33 del 2019, ed evidenziato come una perizia assunta in incidente probatorio abbia già riconosciuto l’imputato nel giudizio a quo come totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto e socialmente pericoloso, ancorché in grado di partecipare al processo, il rimettente sottoponeva al vaglio della Consulta, su conforme richiesta del pubblico ministero, la questione se la disposizione in parola sia compatibile con l’art. 111, secondo comma, Cost. anche in casi come quello all’esame.
Difatti, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».
In particolare, dopo essere state ricostruite le complesse vicende normative che, a partire dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989, avevano interessato la questione dell’ammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo, e dopo aver dato conto della recente sentenza n. 260 del 2020 della Corte costituzionale con la quale la disciplina in questa sede censurata era stata ritenuta non in contrasto con una pluralità di parametri costituzionali, il rimettente riteneva tuttavia come tale disciplina fosse incompatibile con l’art. 111, secondo comma, Cost. in relazione alla specifica situazione di un imputato già riconosciuto, con le garanzie del contraddittorio, incapace di intendere e di volere.
In tale ipotesi, infatti, ad avviso del rimettente, sarebbe del tutto superflua la celebrazione di un «processo dibattimentale e collegiale, che nulla potrebbe aggiungere al materiale probatorio già esistente, e non potrebbe rafforzare in alcun modo i diritti della difesa»: nel caso di specie, l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato sarebbe già stata «incontrovertibilmente accertata», con conseguente inutilità del dibattimento, la prova essendo già «cristallizzata» e «non modificabile».
Ed invero, l’art. 431, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. prevede l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento dei verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio, che saranno pertanto – unitamente alla stessa perizia – pienamente utilizzabili dalla corte d’assise per la decisione, in quanto assunti con tutte le garanzie del contraddittorio, né la celebrazione di un dibattimento innanzi alla corte d’assise potrebbe condurre, osservava il rimettente, ad un diverso esito sul piano sanzionatorio rispetto al giudizio abbreviato: in entrambi i casi, infatti, dovrà essere applicata soltanto una misura di sicurezza.
Concludeva, pertanto, il giudice a quo che l’auspicata dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata «consentirebbe di definire il processo in tempi brevi senza inutile dispendio di preziose risorse organizzative, con l’applicazione, in via definitiva, di una misura di sicurezza e senza nessuna compressione del diritto di difesa».
La posizione assunta dal Presidente del Consiglio dei ministri
Interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
Osservava anzitutto l’interveniente che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, il difetto di imputabilità ritenuto da una perizia assunta in incidente probatorio non può ritenersi un dato processualmente accertato sino a che sia intervenuto un vaglio da parte di un giudice, il quale ben potrebbe discostarsi dalle conclusioni peritali, che non assurgono mai alla valenza di prova legale.
In ogni caso, i profili di asserita illegittimità costituzionale della disposizione censurata sarebbero stati già esaminati ed esclusi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 320 (recte: 260) del 2020, anche riguardo al parametro ora invocato dell’art. 111 Cost..
L’allungamento dei tempi processuali inevitabilmente connesso alla necessaria celebrazione di un dibattimento innanzi alla Corte d’Assise, invero, per l’Avvocatura generale dello Stato, non potrebbe dirsi irragionevole nemmeno nei casi in cui l’esito decisorio sia scontato dal momento che il dibattimento sarebbe la sola forma di giudizio nella quale possono estrinsecarsi i diritti riconosciuti alle vittime del reato dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Consulta
La Consulta, sebbene avesse ritenuto la questione ammissibile, come di seguito precisato, la stimava, tuttavia, non è fondata.
Anzitutto, per il giudice delle leggi occorreva sottolineare che – come giustamente rilevato dalla difesa statale – le risultanze di una perizia assunta in incidente probatorio, relativa allo stato mentale dell’imputato al momento del fatto, attendono ancora di essere valutate dal giudice ai fini della decisione, e non assurgono certo al valore di prova “incontrovertibile” in giudizio, come assumeva invece il rimettente atteso che, quale che sia il rito adottato – giudizio abbreviato o dibattimento –, le parti avranno piena facoltà di porre in discussione le valutazioni peritali, eventualmente attraverso propri consulenti tecnici, e il giudice potrà sempre motivatamente discostarsi da quelle valutazioni, eventualmente previa nomina di un diverso perito.
Invero, se è vero, così come sarà evidentemente possibile, per le parti, chiedere l’ammissione di prove e discutere su quelle acquisite in relazione a tutti gli altri elementi – positivi e negativi – del reato, a cominciare dalla sua effettiva commissione da parte dell’imputato, è altrettanto vero che, per la Corte di legittimità costituzionale, la questione da doversi decidere è, piuttosto, se debba essere giudicata manifestamente irragionevole la scelta legislativa di imporre la celebrazione del rito ordinario di fronte a una corte di assise, anche laddove la prova dei fatti costitutivi del reato e delle circostanze che escludono la responsabilità dell’imputato – come, appunto, il vizio totale di mente – sia (non già incontrovertibile, ma) particolarmente agevole, sulla base delle risultanze di una perizia assunta mediante incidente probatorio.
A fronte di ciò, presto atto di come il rimettente muovesse dall’assunto – reiterato nella recente sentenza di questa Corte n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 10.2.) – secondo cui «una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. potrà essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)», il giudice a quo riteneva, per l’appunto, che, in un caso come quello all’esame, la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in Corte d’Assise non avesse alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali non funzionale ad alcuna esigenza della difesa dell’imputato nonché, dal punto di vista dell’intero ordinamento, in un «inutile dispendio di preziose risorse organizzative».
La sentenza n. 260 del 2020, difatti, aveva già affrontato, e risolto negativamente, la questione se la disposizione all’esame violi l’art. 111, secondo comma, Cost., confrontandosi specificamente con l’argomento dell’asserita inutilità di un dibattimento pubblico nell’ipotesi in cui i fatti siano di agevole accertamento, ad esempio per essere intervenuta la piena confessione dell’imputato.
Orbene, l’ipotesi ora all’esame del giudice rimettente era, per la Corte costituzionale, parimenti caratterizzata da fatti agevolmente accertabili sebbene il prevedibile esito del processo in questo caso sia l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, sulla base delle risultanze della perizia assunta in incidente probatorio.
Ciò, dunque ad avviso del rimettente, priverebbe di senso l’obbligo di celebrare il dibattimento anche sotto il profilo del quantum della sanzione, posto che all’imputato dovrebbe al più essere applicata una misura di sicurezza, la cui durata non dipende dalla tipologia del rito con il quale il processo sarà celebrato.
La sentenza n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 7.6.) ha peraltro già sottolineato come tra le finalità ispiratrici della legge n. 33 del 2019 non vi fosse solo quella (emersa nella proposta di legge C. 392 del 27 marzo 2018) di conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l’ergastolo, ma anche quella (evidenziata nella parallela proposta di legge C. 460 del 3 aprile 2018, poi assorbita nella prima) che rispetto ai reati più gravi previsti dall’ordinamento sia celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità».
Ebbene, per il Giudice delle leggi, quest’ultima finalità non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile – in particolare perché non imputabile –, ma rispetto ai quali l’ordinamento può comunque avere interesse a svolgere un processo pubblico avanti a una corte a composizione mista, con «partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia» (art. 102, terzo comma, Cost.) fermo restando che il perseguimento di tale finalità rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali, secondo i giudici di legittimità costituzionale, non è a loro è consentito sovrapporre la propria autonoma valutazione.
Era pertanto ribadito come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili, e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità» (sentenza n. 260 del 2020, Considerato in diritto, punto 7.6.) restando ferma la possibilità per la Corte d’Assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell’eventuale consenso dell’imputato all’acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento.
Conclusioni
Con la decisione in esame la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale inerente l’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».
In particolare, in tale provvedimento, sulla falsariga di quanto già enunciato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 260 del 2020 ove era stato ivi postulato che, tra le finalità ispiratrici della legge n. 33 del 2019, non vi fosse solo quella (emersa nella proposta di legge C. 392 del 27 marzo 2018) di conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l’ergastolo, ma anche quella (evidenziata nella parallela proposta di legge C. 460 del 3 aprile 2018, poi assorbita nella prima) che rispetto ai reati più gravi previsti dall’ordinamento sia celebrato un processo pubblico innanzi alla Corte di Assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità», la Consulta, nella pronuncia qui in oggetto, ribadisce che quest’ultima finalità non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile – in particolare perché non imputabile –, ma rispetto ai quali l’ordinamento può comunque avere interesse a svolgere un processo pubblico avanti a una corte a composizione mista, con «partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia» (art. 102, terzo comma, Cost.).
Tale normativa, così formulata, ha dunque resistito a questa censura di legittimità costituzionale pur non potendosi sottacere che, sempre in tale sentenza, seppur in modo indiretto e mediato, si stigmatizzi tale legislazione evidenziando, per l’appunto in modo velato, la sua discutibilità sotto vari profili, considerandola certamente foriera di aggravi processuali.
Ad ogni modo, tale pronuncia cristallizza tale dettato normativo, stimandolo per l’appunto conforme alla nostra Legge fondamentale, e dunque, ad oggi, non è possibile chiedere il rito abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo, neppure ove si verifichi l’evenienza descritta nell’ordinanza di rimessione emessa dal Tribunale di Rimini.
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