Non integra il reato di falsità materiale ex art. 477 cod. pen. la condotta di falsificazione del certificato unico dei redditi da lavoro dipendente (CUD) emesso da una ditta privata

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(Ricorsi dichiarati inammissibili)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 477)

Il fatto

La Corte di Appello di Palermo confermava una pronuncia del Tribunale di Palermo con la quale gli imputati erano stati condannati, rispettivamente, uno alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi sei di reclusione ed E. 200,00 di multa per i reati di cui agli artt. 110, 640, 489 e 61 n. 2 cod. pen. e l’altro alla pena di mesi quattro di reclusione ed E. 120,00 di multa per i reati di cui agli artt. 110 e 640 cod. pen.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Tra i motivi addotti nel ricorso per Cassazione, per quello che in rileva in questa sede, si adduceva la violazione degli artt. 192 e 530 co. 2 cod. proc. pen. e degli artt. 110, 489, e 640 cod. pen. in ragione della asserita errata valutazione delle emergenze procedimentali compiuta dalla Corte territoriale in quanto il Giudice di merito avrebbe dovuto escludere qualunque responsabilità degli odierni ricorrenti in quanto la condotta contestata al capo b) a uno solo di essi, andava ritenuta ascrivibile al c.d. “falso grossolano” e la violazione degli artt. 530, co. 2 cod. proc. pen., degli artt. 110, 489 e 640 cod. pen. e del D.lgs. 7/2016 poiché il Giudice di merito non aveva pronunciato sentenza liberatoria nei riguardi di uno degli imputati, in relazione al delitto di cui al capo b), nonostante nel caso di specie l’uso di atto falso avesse ad oggetto “scritture private“, ipotesi depenalizzata a seguito dell’emanazione del suddetto Decreto legislativo. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

I ricorsi venivano dichiarati inammissibili.

In particolare, in relazione a ciò che rileva in questa sede, si osservava prima di tutto come occorresse partire, al fine di una maggiore chiarezza e logicità espositiva, dall’esame del secondo motivo dedotto dai ricorrenti avente ad oggetto l’asserita avvenuta depenalizzazione del delitto di “uso di atto falso” che, ad avviso degli Ermellini, risultava essere manifestamente infondato

Orbene, una volta fatto presente che l’intervenuta depenalizzazione parziale dell’uso di atto falso aveva inciso soltanto sulle ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 489 cod. pen., ipotesi nelle quali l’atto falso consiste in una scrittura privata rilevandosi al contempo che, a tal proposito, la giurisprudenza di legittimità aveva precisato che, «in tema di falso in scrittura privata, a seguito dell’abrogazione dell’art. 485 cod. pen. e della nuova formulazione dell’art. 491 cod. pen., da parte del d.lgs. n. 7 del 2016, la rilevanza penale dell’attività di falsificazione (ovvero utilizzazione dell’atto falso), realizzata secondo le modalità previste dagli articoli che precedono il predetto art. 491, è circoscritta alle scritture private indicate da quest’ultimo (testamento olografo, cambiale e titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore), sempre che il fine avuto di mira dall’agente sia quello di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno. (Fattispecie in tema di cambiali)» (Sez. 5, n. 26812 del 10/02/2016), si evidenziava come, nel caso di specie, l’attestazione (CUD) apparentemente rilasciata dall’Ospedale Civico di Palermo non potesse essere ritenuta “scrittura privata” dovendo invece essere ascritta alla nozione di atto a carattere pubblicistico, rilevante ex art. 489 cod. pen., anche a seguito della riforma di tale disposizione normativa ad opera del D.Igs. 7/2016.

A sostegno di quanto appena esposto, i giudici di piazza Cavour rilevavano come la giurisprudenza della Suprema Corte abbia statuito che «non integra il reato di falsità materiale ex art. 477 cod. pen. la condotta di falsificazione del certificato unico dei redditi da lavoro dipendente (CUD) emesso da una ditta privata dovendosi escludere che tale documento abbia natura pubblicistica e sia riconducibile alla nozione di certificato penalmente rilevante. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, in ogni caso, il falso in certificato presuppone la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto da cui proviene l’atto).» (Sez. 5, n. 44879 del 15/09/2015). Da quanto appena esposto se ne faceva invece conseguire, ragionando a contrario, che, laddove il documento falso (nella specie CUD) esibito “promani” non da una ditta privata, ma da un datore di lavoro ascrivibile quantomeno alla categoria di “persona incaricata di pubblico servizio”, quale è l’Azienda ospedaliera, si deve ritenere integrato il reato di cui all’art. 489 cod. pen.

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante in quanto in essa, da un lato, richiamandosi un precedente conforme, viene ribadito il principio di diritto secondo cui non integra il reato di falsità materiale ex art. 477 cod. pen. la condotta di falsificazione del certificato unico dei redditi da lavoro dipendente (CUD) emesso da una ditta privata dovendosi escludere che tale documento abbia natura pubblicistica e sia riconducibile alla nozione di certificato penalmente rilevante, dall’altro, invece, che, laddove il documento falso (nella specie CUD) esibito “promani” non da una ditta privata, ma da un datore di lavoro ascrivibile quantomeno alla categoria di “persona incaricata di pubblico servizio”, quale è l’Azienda ospedaliera, si deve ritenere integrato il reato di cui all’art. 489 cod. pen..

Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di comprendere quando la falsificazione del certificato unico dei redditi da lavoro dipendente (CUD) integri un fatto penalmente rilevante e quando, invece, no.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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