Un comune ha respinto il progetto per la ristrutturazione di un sottotetto di un immobile, già oggetto di contezioso (si contestava tra l’altro impossibilità di passare alla categoria <<ristrutturazione senza rispetto delle sagome e del prospetto>> dell’edificio, perché sito in una zona a vincolo storico-paesaggistico-ambientale). La sanatoria delle opere abusive non può essere ottenuta realizzandone ulteriori, tanto più se non si ravvisa il requisito della c.d. doppia conformità: lecito l’ordine di demolizione e di ripristino già passato in giudicato. Nella fattispecie non si può invocare, perciò, la c.d. sanatoria giurisprudenziale.
È quanto deciso dal Tar Lombardia sez.II n.1900 depositato il 13 agosto 2015.
Il caso. Una società presentava un progetto per ottenere un parere, ai sensi dell’art.111 del Regolamento edilizio, sugli interventi ad un sottotetto già oggetto di contezioso: la PA lo dichiarò inammissibile. La ditta ha impugnato per vari motivi il diniego e tale inammissibilità. Si noti che aveva già realizzato alcune opere, risultanti prive del requisito della doppia conformità, per sanare gli abusi edilizi di cui la PA aveva già ordinato la demolizione ed il ripristino. È pendente un ricorso allo stesso Tar relativo a tale ordine di demolizione, mentre quello precedente ed il rifiuto dell’accertamento della conformità di tali interventi era stato deciso dallo stesso Tar Lombardia 1897/12, decisione confermata dal CDS 1564/13. Il ricorso, perciò, è stato respinto per infondatezza.
Sanatoria giurisprudenziale. Pacifica la difformità del progetto approvato dalla Commissione per il paesaggio e quello in esame. Infatti la giurisprudenza amministrativa costante prevede una sanatoria parziale, in presenza di elementi di novità e di tale diversità del progetto, in caso di conformità con la sopravvenuta normativa urbanistico-edilizia, tale da consentire il rilascio di un titolo abilitativo sanante (CDS 1564/13). Non è, però, il nostro caso.
Doppia conformità ex art. 36 DPR 380/81. Pur essendo conformi alla normativa vigente al momento della richiesta della sanatoria, tali opere, sul cui carattere abusivo, come detto, si è formato un giudicato, non lo erano al Piano Regolatore Generale vigente al momento della loro realizzazione. Non si può quindi ravvisare la doppia conformità. Invero <<è legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1324; Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3235; Sez. V, 17 settembre 2012, n. 4914; Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306). Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale: Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico>> (CDS 2755/14). In breve <<secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza di tale divieto discende dall’esigenza, presa in considerazione dalla legge, di evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione, anche in presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello strumento urbanistico >>.
Non si può sanare tale carenza con nuove opere. Nella fattispecie l’istanza di sanatoria prevede la realizzazione di nuovi interventi per rendere l’opera abusiva conforme alle norme vigenti, ciò, però, conferma l’assenza della conformità delle stesse al momento della realizzazione e, per quanto sopra, è illegittima. Infatti i limiti imposti dal legislatore alla concessione della sanatoria sono tassativi e non soggetti ad <<alcuna possibilità di estensione discrezionale da parte della PA>> (CAGR Sicilia 941/09 e Tar Lombardia 7311/10). È quindi lecito il diniego della PA a sanare tali abusi. La ditta non potrà ottenere il consenso a nuovi progetti finchè non sarà esaurita l’attività amministrativa volta a punire l’abuso edilizio e non sarà stata attuata la sanzione comminata: ciò, come ricordato, è oggetto di un ricorso pendente, dato che le opere abusive non sono state ancora demolite.
Assenza di garanzie partecipative. Rilevano solo se sono state frustate le possibilità dell’interessato di produrre elementi di fatto e di diritto tali da incidere sulla decisione della PA (CDS 2298/15 e Tar Lombardia 995/15). Ciò non è ravvisabile nella fattispecie perché l’esito del provvedimento era vincolato e la PA non avrebbe potuto in alcun caso assumere una diversa posizione.
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