Quanto alla richiesta di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, ritiene il Collegio che la stessa vada respinta.
Anche a prescindere dalla legittimità degli atti impugnati, occorre ricordare come la Giurisprudenza abbia affermato il condivisibile principio secondo il quale, nel caso di responsabilità precontrattuale, il risarcimento non può essere riconosciuto al di là del c.d. interesse negativo, che comprende le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto (danno emergente) e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali (lucro cessante), non trovando per contro spazio la differente posta di pregiudizio costituita dal mancato utile relativo alla specifica gara d’appalto oggetto di revoca (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 07 settembre 2010 , n. 2167; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 gennaio 2011 , n. 20). Tali danni devono essere, comunque, adeguatamente provati nell’an e nel quantum dall’interessato in base alla regola generale dell’onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata (T.A.R. Cagliari, n. 2167/2010 cit.).
Nel caso in questione, parte ricorrente non ha offerto alcun principio di prova con riferimento né all’uno né all’altro pregiudizio.
Tale considerazione porta altresì a respingere la domanda di liquidazione dell’indennizzo di cui all’articolo 21 quinquies della legge 241 del 1990.
La giurisprudenza ha avuto occasione di precisare che l ‘indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento riconosciuto legittimo (cd. responsabilità della p.a. per atti legittimi), va circoscritto al danno emergente, come espressamente stabilito nel comma 1 bis dall’art. 21 quinquies comma 1 bis l. 8 agosto 1990 n. 241, nel quale debbono essere ricompresse le spese di partecipazione alla procedura per lesione della pretesa a non essere coinvolto in trattative inutili; tali spese devono essere adeguatamente documentate (Consiglio Stato , sez. V, 06 ottobre 2010 , n. 7334).
Ma , come detto, parte ricorrente non ha in alcun modo addotto né in alcun modo documentato se e quali siano state le spese di partecipazione alla gara delle quali avrebbe titolo al ristoro.
Ne consegue la reiezione della domanda.
Si legga anche
sentenza numero 2167 del 7 settembre 2010 pronunciata dal Tar Sardegna, Cagliari
Va anzitutto premesso che il potere dell’amministrazione di non dare corso all’aggiudicazione con la stipula del contratto incontra un limite insuperabile nei principi di buona fede e correttezza alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la p.a..
Deve, quindi, in linea di principio, ritenersi sussistente la colpa dell’amministrazione che addiviene alla conclusione di una procedura di affidamento lavori senza mai stipulare il relativo contratto a causa dell’omessa verifica e vigilanza sulla sussistenza della relativa copertura finanziaria e della legittimazione stessa a gestire la procedura.
Tale comportamento, ingenerando nelle parti un falso affidamento in ordine alla positiva conclusione della vicenda, deve considerarsi divergente rispetto alle regole cui è tenuta anche l’Amministrazione nella fase precontrattuale.
In definitiva, nel caso in cui la P.A. violi il dovere di lealtà e correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c..
Il caso sottoposto all’attenzione del Collegio ne è un esempio emblematico.
Lamenta l’ATI ricorrente, che il comportamento del Comune di Buggerru è illecito, non ravvisandosi alcun oggettivo e fondato motivo di interesse pubblico che giustifichi, a distanza di tanto tempo, il rifiuto di stipulare il contratto con la ditta aggiudicataria.
Secondo la ricorrente il Comune avrebbe violato i canoni di diligenza, non accertando fin dal primo atto della procedura la sussistenza della copertura finanziaria delle opere, per le quali si era indetta una gara e la si era portata a compimento.
Ritiene, in definitiva la ricorrente, che siano stati violati gli obblighi di protezione ed informazione, rientranti nell’ambito dei più generali doveri di correttezza e buona fede, e che sia ravvisabile la colposa omissione della verifica dei presupposti finanziari per l’esecuzione del vincolo contrattuale, nonché la lesione del legittimo affidamento ingenerato dall’avvenuta aggiudicazione dell’appalto.
Il Collegio ricorda che se è vero che in conformità ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato (Cfr. Tar Basilicata n. 829/2004 ; Tar Napoli 3258/2002; Tar Salerno 163/2004), deve riconoscersi la libertà dell’Amministrazione di non dare corso all’aggiudicazione con la stipula del contratto e tale è il comportamento del’Amministrazione che di fatto ha rifiutato la stipula, è pur vero che l’insindacabilità della discrezionalità posta in essere dall’Amministrazione e rappresentata dal rifiuto della stipula incontra, pur sempre, un limite insuperabile nei principi di buona fede e correttezza alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la PA e nella tutela dell’affidamento ingenerato nel privato.
Occorre, quindi, esaminare quella condotta illecita che rileva ai fini dell’accertamento della responsabilità precontrattuale.
La condotta tenuta dall’Amministrazione nel porre in essere una procedura di affidamento di lavori e nel concluderla senza mai addivenire alla stipula del contratto ed alla esecuzione dei lavori, per l’omessa verifica e vigilanza sulla sussistenza della relativa copertura finanziaria, ha, infatti, realizzato un comportamento divergente da quelle regole di buona fede e correttezza che vanno osservate anche dall’Amministrazione nella fase precontrattuale.
Era onere del Comune, che ha indetto la gara, vigilare sulla sussistenza, prima, e sulla permanenza, poi, dei presupposti finanziari necessari alla stipula del contratto ed alla sua esecuzione, nonché alla tutela dell’affidamento ingenerato nel soggetto privato.
L’esame degli atti allegati al ricorso, evidenzia una situazione nella quale il Comune ha, fin dall’origine, ovvero dalla data di indizione del bando, ingenerato un affidamento, rafforzato anche dalla definizione di tutti gli atti della procedura di evidenza pubblica.
Appare evidente al Collegio che la condotta tenuta dall’amministrazione, e mantenuta in un rilevante arco di tempo, più di due anni, contrasti con le regole di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 cc., regole che, come già rilevato, e per giurisprudenza oramai consolidata, attengono anche alla attività delle pubbliche amministrazioni.
E’ difatti chiaro che la regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
Ne consegue, in linea generale, che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto, in caso di conclusione di un contratto invalido o inefficace, e anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.
Nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio si versa nella prima delle ipotesi riportate.
L’Amministrazione, dopo aver aggiudicato in via definitiva la gara ha:
lasciato trascorrere tempo;
ha chiesto copie di progetti da distribuire ai partecipanti alla conferenza di servizi;
ha coinvolto ALFA quale possibile soggetto subentrante nella stipula contrattuale.
Un dato di fatto è incontrovertibile:
è del tutto chiaro che l’intervento non ha mai avuto effettiva copertura finanziaria e, trattandosi di intervento programmato sin dal 2005, l’omessa vigilanza si è protratta per ben più di due anni.
In tali ipotesi la colpa dell’Amministrazione, per aver iniziato una procedura ed averla portata avanti in mancanza di una diligente verifica delle proprie disponibilità, deve ritenersi sussistente e causa del danno ingiusto prodotto al privato che ha ragionevolmente confidato nella stipula del contratto.
Una simile protratta omissione di vigilanza sulla necessaria copertura finanziaria della operazione che si era attivata ed addirittura la stessa legittimazione a condurla, rende poi, assolutamente non scusabile la condotta dell’Amministrazione ed impone di accogliere, in parte, la richiesta risarcitoria della ricorrente per i danni causati dal comportamento tenuto dall’ente locale, in violazione delle regole di correttezza e buona fede ex artt. 1337 e 1338 cc.
§§§§§§§§§§
Trattandosi di danno da responsabilità precontrattuale della p.a. il pregiudizio risarcibile è solo quello circoscritto al cosiddetto interesse contrattuale negativo, comprensivo delle spese inutilmente sostenute e delle perdite di favorevoli occasioni.
Poiché la prova di tali pregiudizi deve essere offerta dal ricorrente, non è possibile supplire a tale prova con una richiesta di consulenza tecnica.
Tale onere è stato solo parzialmente assolto dalla ricorrente che, in realtà, sovrappone la determinazione equitativa del preciso ammontare del danno con la prova del danno.
E’ necessario esaminare le singole voci di danno richieste.
Con riferimento alla perdita di ulteriori chance di guadagno va ricordato che nel rispetto del principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., la parte che invoca il danno da perdita di chance ne deve fornire la prova rigorosa.
Le occasioni favorevoli di cui si lamenta la perdita non devono essere astratte, ma avere un minimo di concretezza.
Tale prova nel caso di specie non è fornita, in quanto i documenti della produzione di parte ricorrente non costituiscono prova idonea della perdita di chance.
Si tratta di bandi di gara pubblicati nel periodo in cui era in corso la trattativa per cui è causa. Sicché la ricorrente, in pratica, assume che a causa della trattativa in corso l’A.t.i. non ha potuto concorrere ad altre gare.
Tuttavia non vi è alcuna prova:
a) che l’a.t.i. ha presentato domanda di partecipazione;
b) che avesse un margine di possibilità di vittoria;
c) che le maestranze e i mezzi d’opera dell’a.t.i. sono di entità tale da impedirle di essere contemporaneamente impegnata sul fronte delle trattative con il Comune di Buggerru e sul fronte della partecipazione ad altre gare di appalto.
Non risulta dunque provato che nel periodo della trattativa si siano presentate all’A.t.i. concrete favorevoli occasioni, a cui ha dovuto rinunciare per tenersi a disposizione del Comune di Buggerru.
Nessun danno può quindi essere liquidato a questo titolo.
Sul danno da spese di gara.
La ricorrente chiede il danno per le seguenti voci:
costi per la presentazione dell’offerta sostenuti da RICORRENTE:
costi per giornate spese dall’Ing. Santi negli anni 2007 e 2008, e precisamente 18 giorni lavorati nel 2007 al costo giornaliero di 725 €/g pari ad € 13.050,00 e 30 giorni lavorati nel 2008 al costo giornaliero di € 650 €/g pari ad € 19.500,00;
costi per viaggi per l’anno 2007 e 2008 pari ad € 8.911,00 per un totale complessivo di € 41.461,00;
a tale totale si aggiunge un 15% di spese generali per ulteriori € 6.219,00;
b) costi sostenuti da Consorzio nazionale cooperative di produzione e lavoro Ciro Ricorrente tre (spese vive per viaggi, nolo auto, spese soggiorno, vitto personale, costi commerciali progettisti e ufficio gare, costi ufficio ingegneri e consulenti, spese centro progettazioni, ufficio acquisti, spese sostenute da Centro Sarcobit) pari a € 39.800, oltre a spese generali per € 5.970,00 (15%);
c) costi sostenuti da Ricorrente due Ambiente (per prestazioni dell’ufficio tecnico e ingegneria, da ufficio acquisti, da centro operativo per residuo gara, progetto sicurezza, progetto accantieramento) pari a € 8.750,00 oltre spese generali per € 1.313,00.
Il Collegio ritiene, in questo caso, di dover ricorrere alla valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. proprio in ragione della richiesta della ricorrente che si limita a quantificare, in via generale, un numero di ore lavoro per le prestazioni dell’Ing. Santi, coinvolto nella procedura selettiva senza, tuttavia, produrre alcuna documentazione giustificativa a corredo. Essa si limita poi a quantificare le spese sostenute dal Consorzio Ciro Ricorrente tre e da Ricorrente due Ambiente, anche qui omettendo di fornire documentazione giustificativa a corredo. Anche la documentazione inerente le spese di viaggio è solo parzialmente idonea a fornire un valido supporto probatorio, tanto da giustificare, nel complesso, come già rilevato, il ricorso alla valutazione equitativa del danno.
In ragione di ciò, il Collegio stima equo liquidare in favore dell’ATI la somma di euro 20.000,00 (ventimila/00) a cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino all’effettivo soddisfo.
Sul danno da mancato utile di impresa derivante dall’appalto oggetto di aggiudicazione definitiva, le ricorrenti chiedono l’importo di € 142.755,45 come utile che l’ATI Ricorrente avrebbe ottenuto dall’appalto calcolando il 10% sull’importo dell’offerta pari ad € 1.805.856,51, detratte le spese generali.
Il Collegio ricorda che non è risarcibile, il “mancato guadagno dell’utile d’impresa”, espressione che nella specie, con riferimento alle richieste formulate nell’atto introduttivo dalla ricorrente, corrispondono alla componente del lucro cessante nel danno per lesione del c.d. interesse positivo, quale interesse all’esecuzione del contratto,che come tale, non può essere risarcita in una fattispecie di responsabilità precontrattuale.
In conclusione, le richieste risarcitorie formulate dalla ricorrente vanno accolte nei limiti di quanto sopra espresso.
decisione numero 7334 del 6 ottobre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato
nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, non può ritenersi inadeguata la motivazione posta a fondamento della revoca in esame
Va condivisa quindi la doglianza con la quale l’appellante sostiene che il provvedimento di revoca era adeguatamente motivato con riferimento alla rinnovata valutazione dell’interesse pubblico ostativo alla realizzazione dell’opera
Nella delibera di giunta sono evidenziati alcuni profili di illegittimità dell’affidamento (criticità tecnico-economica del progetto scelto, sopravvenienza di normativa ) e altri aspetti riguardanti una nuova valutazione dell’interesse pubblico alla non realizzabilità dell’opera.
Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, rispetto a quelle derivanti all’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente qualificazione del provvedimento in termini di revoca.
Al riguardo, si osserva che con l’entrata in vigore dell’art. 21-quinques della l. n. 241/90 il legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, consentita non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (Cfr. Cons. St. , Sez. VI, 17 marzo 2010, n.1554).
Nel caso di specie, la motivazione del provvedimento di revoca è costituita essenzialmente da una nuova valutazione dell’interesse pubblico rivolto a dettare organica e diversa pianificazione del territorio comunale.
Va aggiunto che la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo (Cfr. la decisione di questa Sezione, 21 aprile 2010, n.2244) , come in concreto avvenuto in questo caso .
4.5.Va condivisa anche la doglianza con la quale si sostiene che nella specie non vi è stata violazione dell’art. 7 L. n.241/1990 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca.
Occorre considerare da una parte che vi è stata una certa partecipazione al procedimento delle ricorrenti originarie che hanno predisposto anche una proposta riorganizzativa della sosta in superficie, anche se non ha avuto seguito.
Inoltre, l’Amministrazione comunale ha fornito sufficienti elementi di prova, alla stregua dell’art. 21 octies L. n.241/1990 e successive modificazioni, sul fatto che il contenuto del provvedimento impugnato non poteva essere diverso da quello adottato in considerazione dell’ intento perseguito, anche recentemente, di allontanare la circolazione dei veicoli dal centro storico (ove era prevista la realizzazione del parcheggio in contestazione).
SI LEGGA ANCHE
la decisione numero 2244 del 21 aprile 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato
Tale motivazione_ accertata convenienza e opportunità di effettuare un intervento tecnicamente e qualitativamente diverso da quello previsto in precedenza_ rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, rispetto a quelle derivanti all’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca.
l’entrata in vigore dell’art. 21-quinques della l. n. 241/90 ha risolto il problema del fondamento del potere di revoca degli atti amministrativi: la revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi)..
l’atto di autotutela sia stato legittimamente adottato dal Comune sulla base di una adeguata motivazione.
La Ricorrente s.n.c. di D’E. Sabato, già aggiudicataria dei lavori di costruzione dei loculi nel nuovo cimitero del comune di Visciano, otteneva l’affidamento, a trattativa privata, anche dei lavori di rifacimento del muro di confine del cimitero, ritenuti complementari rispetto a quelli già assegnati.
Successivamente, con deliberazione di G.C. n. 84 del 4.12.2007 veniva disposto l’annullamento d’ufficio della deliberazione di G.C. n. 8 del 23.01.2007, relativa all’affidamento dei secondi lavori.
La Ricorrente impugnava tale deliberazione davanti al Tar per la Campania, proponendo anche domanda risarcitoria e, con atto di motivi aggiunti, chiedeva l’annullamento del provvedimento n. 95/2008 del 15.04.2008, con il quale il responsabile dell’area tecnica del comune di Visciano aveva annullato la determinazione n. 31/2007 del 30.01.2007 di affidamento dei lavori.
Con sentenza n. 20237/08 il Tar ha respinto la domanda di annullamento degli atti, qualificando gli stessi come esercizio del potere di revoca e ha accolto la domanda di riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinques della legge n. 241/90, condannando il comune di Visciano al rimborso in favore della ricorrente della complessiva somma di euro 21.129,00.
La Ricorrente ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo di appello del Consiglio di Stato?
L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione dell’esercizio da parte del comune di Visciano del proprio potere di autotutela in ordine a un provvedimento di affidamento di pubblici lavori e dalle connesse pretese patrimoniali, di carattere risarcitorio o indennitario, avanzate dall’impresa privata.
Con un primo gruppo di censure l’appellante contesta – sotto i seguenti due principali profili – la statuizione con cui il Tar ha respinto la domanda di annullamento:
a) era stata oggetto di contestazione anche la sussistenza dei presupposti per esercitare il potere di revoca con riguardo all’assenza di ragioni di pubblico interesse, alla omessa valutazione dell’affidamento delle parti destinatarie del provvedimento da rimuovere e del tempo trascorso, all’obbligo di motivazione;
b) non sussistevano comunque i vizi di legittimità su cui è stato fondato l’annullamento d’ufficio.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento.
In primo luogo, si osserva che l’appellante non ha interesse a sostenere una diversa qualificazione dell’atto impugnato, in quanto qualificando lo stesso come annullamento vedrebbe pregiudicata la sua pretesa ad ottenere l’indennizzo, riconosciuto invece dal Tar e, del resto, la stessa Ricorrente sostiene che l’amministrazione “ha inteso mascherare la revoca per motivi di opportunità con l’annullamento per vizi di legittimità del precedente provvedimento per evitare la gravosità finanziaria di un provvedimento di revoca”.
Ciò premesso, l’appellante ha certamente interesse a dimostrare l’illegittimità del potere di autotutela esercitato dall’amministrazione per ottenere il pieno risarcimento dei danni, in luogo dell’indennizzo.
A prescindere dalla questione della possibilità di rimettere in discussione in questa sede la qualificazione dell’atto come revoca in assenza di appello del comune, si rileva che nei due provvedimenti impugnati è effettivamente presente una commistione tra i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio e del potere di revoca. Tuttavia, sono prevalenti gli elementi della revoca e ciò conduce a confermare la qualificazione degli atti, effettuata dal Tar.
Ai fini della qualificazione si deve, in primo luogo, tenere conto del fatto che la Giunta ha annullato la precedente deliberazione con cui aveva fornito direttive al responsabile di area per l’affidamento dei lavori in questione e che il provvedimento di affidamento dei lavori è stato poi annullato con la determinazione del responsabile dell’area tecnica.
Nella delibera di giunta sono evidenziati alcuni profili di illegittimità dell’affidamento (assenza del carattere di complementarietà dei lavori e di pregiudizio derivante da un eventuale sovrapposizione dei cantieri) e alcuni altri aspetti inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico (interesse alla conservazione del contesto di notevole interesse storico, affettivo e architettonico rappresentato dal vecchio cimitero).
Tali indicazioni sostituivano le precedenti direttive impartite al responsabile dell’area tecnica, il quale, con il provvedimento del 14.4.2008, ha dato maggiore rilievo alla “opportunità” di rimuovere la precedente decisione sulla base della “accertata convenienza e opportunità di effettuare un intervento tecnicamente e qualitativamente diverso da quello previsto in precedenza, ritenendosi conveniente operare attraverso il rifacimento del muro di confine tra vecchio e nuovo cimitero invece che con la sua totale demolizione e ricostruzione ex novo”.
Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, rispetto a quelle derivanti all’interesse a rimuovere un vizio di illegittimità, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca.
L’appellante contesta sotto vari profili la sussistenza dei presupposti per procedere alla revoca.
Al riguardo, si osserva che l’entrata in vigore dell’art. 21-quinques della l. n. 241/90 ha risolto il problema del fondamento del potere di revoca degli atti amministrativi.
L’art. 21-quinques ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
Nel caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico al fine di procedere ad un intervento di carattere tecnico differente.
Tenuto che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità.
Nell’atto contenente le direttive della Giunta è stato anche valutato l’affidamento dell’impresa privata nell’atto da rimuovere, ritenendo tale affidamento comunque affievolito dalla mancata consegna dei lavori.
Viene anche valorizzata l’esigenza di evitare il consolidamento della precedente situazione e, anche volendo valutare l’elemento temporale (pur essendo questo richiamato dal solo art. 21-nonies della legge n. 241/90), il tempo trascorso (circa dieci mesi per l’atto della giunta; poco di più per l’atto del responsabile dell’area tecnica) non è tale da precludere l’esercizio del potere di revoca.
Deve, quindi, ritenersi che l’atto di autotutela sia stato legittimamente adottato dal Comune sulla base di una adeguata motivazione.
l’atto di autotutela è stato legittimamente adottato dal Comune sulla base di una adeguata motivazione.
La confermata legittimità del provvedimento di autotutela fa venire meno il presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale
Va precisato che anche in caso di revoca legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo) commesse dall’amministrazione, ma non riscontrate né dedotte nel caso di specie, in cui alcun addebito può essere mosso all’amministrazione sotto il profilo della correttezza della condotta._Ciò comporta che l’amministrazione è tenuta a corrispondere il solo indennizzo (sempre se il privato abbia subito un pregiudizio), e non l’integrale risarcimento del danno.
Il Tar ha quantificato l’indennizzo, computando il rimborso della somma di € 1.137,00 per diritti di segreteria versata in data 12 febbraio 2007 e di quella pari ad € 19.992,00 per l’acquisto di n. 170 loculi (bollettino di c.c.p. e fatture in atti).
Tale statuizione non è stata contestata dal Comune, mentre l’appellante ha lamentato il mancato riconoscimento delle spese di cauzione definitiva, di quelle generali e dei costi di noleggio del mezzo e di mano d’opera per le operazioni di carico dei 170 loculi.
L’assenza di idonei elementi probatori, rilevata dal Tar, permane anche in sede di appello, non essendo sufficiente una mera attestazione proveniente dalla stessa impresa appellante e priva di riscontri.
5. E’ infondata anche la censura con cui è stata contestata la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, in quanto, anche prescindendo dai limiti entro cui detto profilo può essere esaminato in appello, va rilevato che la reciproca soccombenza (dell’impresa rispetto all’azione di annullamento e di risarcimento e del comune con riguardo alla questione dell’indennizzo) ha giustificato la compensazione.
6. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.
§§§§§§§§§§§§§
LA REVOCA LEGITTIMA COMPORTA IL RICONOSCIMENTO DELL’INDENNIZZO ( E NON DEL RISARCIMENTO) PER DANNO EMERGENTE, ADEGUATAMENTE PROVATO
la confermata legittimità del provvedimento di autotutela fa venire meno il presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale.
Ciò comporta che l’amministrazione è tenuta a corrispondere il solo indennizzo ex art. 21-quinquies L. n.241/1990 , e non l’integrale risarcimento del danno.
L’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di in provvedimento va circoscritto al “danno emergente”
Va osservato in via preliminare che non pregiudica il diritto dell’impresa a conseguire il risarcimento del danno la clausola dell’avviso in cui si stabilisce che “la presentazione della proposta, peraltro, non vincola in alcun modo l’Amministrazione, nemmeno sotto il profilo della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.; essa quindi resterà libera di decidere di realizzare l’opera in maniera diversa, senza cioè ricorrere al project financing, di non riconoscere il pubblico interesse nei confronti di tutte le proposte pervenute, di non dar corso alla successiva fase di aggiudicazione della concessione, ovvero di non realizzare l’opera, e ciò senza che i privati promotori possano nulla pretendere a qualsiasi titolo o ragione nei confronti di questo Comune”. Detta clausola, come precisato dal TAR, deve considerarsi nulla ai sensi dell’art. 1355 c.c. (condizione meramente potestativa) poiché subordina qualsiasi responsabilità dell’Amministrazione alla mera volontà dell’amministrazione medesima (Cfr. la decisione di questa Sezione 7 settembre 2009 n. 5245; Cass. S.U 16 ottobre 2007 n. 8951).
Come è noto, fino ad epoca recente l’orientamento prevalente era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti intervenisse la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo vantaggioso per il privato (V. la decisione di questo Consiglio, sez. VI, 6 giugno 1969, n. 266) o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in casi particolari (V. Cass. S. U. 2 aprile 1959, n. 672).
Attualmente la materia è regolata dall’articolo 21 quinquies legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 14 legge 11 febbraio 2005, n.15, ed integrato dal comma 1bis introdotto dall’art. 13 D. L. 31 gennaio 2007, n. 7, (convertito dalla legge 2 aprile 2007, n.40) , sulla cui base il presupposto dell’attribuzione dell’indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca (c.d. responsabilità della P.A. per atti legittimi), come nella fattispecie in esame, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente un problema di risarcimento del danno (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1667; sez. VI, 8 settembre 2009, n.5266).
Inoltre, non venendo in rilievo nel menzionato art. 21-quinquies un risarcimento del danno per responsabilità contrattuale, precontrattuale o extracontrattuale, ove la colpa del danneggiante è comunque essenziale salvo un diverso regime probatorio in relazione a ciascun tipo di responsabilità civile (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5124; Sez. VI, 21 maggio 2009, n.3144; Cass. Sez. Lav. , 14 aprile 2008, n. 9817), non occorre neppure accertare la presenza di colpa nell’apparato amministrativo (Cfr. la decisione della Sezione 10 febbraio 2010 n. 671) , contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante.
4.7.4.L’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di in provvedimento va circoscritto al “danno emergente”, come espressamente stabilito nel comma 1 bis dell’art. 21-quinquies L. n.241/1990, ma nel danno emergente debbono essere indubbiamente incluse le spese di partecipazione alla procedura per lesione della pretesa a non essere coinvolto in trattative inutili (V. le decisioni di questo Consiglio, sez. IV, 4 ottobre 2007, n.5179; Sez. VI 21 maggio 2009, n.3144).
Dette spese, che sono state indicate nel ricorso originario in euro 215.000,00, per essere rimborsabili debbono essere adeguatamente documentate, essere necessarie in relazione alla specifica procedura e rispettose dei correnti prezzi di mercato.
Sulle singole spese rimborsabili, che sono debiti di valore, spettano altresì la rivalutazione monetaria compete la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, dalla data di effettuazione della spesa fino alla data di deposito della presente decisione; sulla somma così rivalutata si computeranno gli interessi legali calcolati dalla data di deposito della presente decisione fino all’effettivo soddisfo (Cfr. Cons. Stato,Sez, VI, 21 maggio 2009, n. 3144).
47.5.La somma dovuta a titolo di indennizzo, secondo i criteri sopra indicati, dovrà essere liquidata ai sensi dell’ 35 comma 2, d. leg.vo. 31 marzo 1998 n. 80, sostituito dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione o notificazione, ove anteriore della presente decisione.
5.Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto nei limiti indicati, con riforma parziale della sentenza del TAR.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio possono essere compensate in relazione alla complessità della vicenda .
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