Nota a sentenza in merito alle facoltà di riparto interno dei lavori nelle Associazioni di imprese orizzontali, anche alla luce del nuovo Regolamento di attuazione della Legge Merloni ter.

Redazione 27/08/00
 

di Vittorio Miniero – vminiero@hotmail.com

Consiglio di Stato, V sezione, sentenza n.1805, 4 novembre 1999 – Pres.Serio, Estr.Pinto – Provincia di Roma c. Soc. R., E., C, ed altri- (Annulla TAR Lazio , II sezione, 22/5/1990 n.1112)

In materia di contratti d’appalto di opere pubbliche, per Associazioni di imprese orizzontale si intende quella in cui ciascuna delle imprese riunite è responsabile nei confronti dell’Amministrazione dell’esecuzione dell’intera opera e la distribuzione del lavoro per ciascuna impresa non rileva all’esterno, mentre per associazione verticale si intende quella in cui un’impresa che sia capace per l’intera categoria prevalente, ha bisogno di associarsi ad altra impresa che abbia la capacità di realizzare la categoria delle opere scorporabili.

Nell’ipotesi di appalti di opere pubbliche che preveda, oltre ai lavori della categoria prevalente anche opere scorporabili dell’opera, è consentita la partecipazione di associazioni temporanee sia in via orizzontale sia in linea verticale.

La massima permette di trarre spunto per definire una fattispecie, in precedenza non del tutto pacifica e tuttavia molto rilevante, per la gestione dell’appalto pubblico affidato ad Associazioni temporanee di imprese.

In via preliminare il Consiglio di Stato si sofferma nel definire la differenza tra ATI orizzontale e verticale, l’una basata sulla ripartizione quantitativa dell’opera e l’altra sulla ripartizione qualitativa.

Nell’Associazione orizzontale ciascuna impresa ha una responsabilità solidale verso l’Amministrazione. In quella verticale invece le imprese mandanti hanno la responsabilità delle sole opere scorporate, salva la responsabilità della capogruppo per l’intera opera.

Al contrario delle Ati verticali, ove la ripartizione delle opere è già delineata per natura, in quelle orizzontali le modalità di ripartizione interna sono state fonte di controversie sia dottrinarie che giurisprudenziali.

Con la sentenza citata il massimo organo giurisdizionale amministrativo, senza lasciare alcun margine di dubbio, afferma (relativamente alle sole Ati orizzontali) che “la distribuzione del lavoro per ciascuna impresa non rileva all’esterno”.

Tale precisazione, in linea generale, non pone alcun problema interpretativo. Ben più complesso appare invece definire fino a che punto la distribuzione interna non rilevi per l’Amministrazione.

Una recente posizione dottrinaria[1] afferma in proposito:

“Soddisfatte le condizioni minime poste dal citato articolo, la ripartizione interna dei lavori tra le imprese riunite può avvenire con sostanziale libertà non incidendo su di essa la concreta iscrizione posseduta dalle diverse imprese. Ben potrà, pertanto, l’impresa in possesso dell’iscrizione inferiore eseguire la maggior parte dei lavori (anche al di là evidentemente del dettato articolo 5 della legge 57/1962 richiamato nel quesito).

Tale libertà nella suddivisione del lavoro, non può spingersi fino ad escludere dalla partecipazione un’impresa o fino a ridurne la partecipazione a una presenza pressoché simbolica (si incorrerebbe, nel caso di specie, nell’ipotesi citata anche dal lettore di negozio giuridico posto in frode alla legge).

La mancata partecipazione all’esecuzione di una o più imprese riunite ovvero la partecipazione meramente simbolica di una di esse determina, infatti, difetto funzionale sia della causa del mandato che dell’appalto”.

Ritengo questo spunto molto interessante, pur condividendone solo la prima parte.

E’ affermata innanzi tutto l’assoluta irrilevanza, ai fini della Pubblica Amministrazione, della ripartizione interna del lavoro.

La normativa non richiede una necessaria proporzione tra i requisiti di qualificazione e i limiti di esecuzione delle opere da parte delle singole imprese facenti parte dell’Ati.

Le imprese riunite in associazione orizzontale, qualificatesi (ai fini della partecipazione alla gara) per la categoria prevalente, potranno eseguire una quota di appalto ben maggiore rispetto alla quota di qualificazione che sarebbe stata loro concessa con i soli requisiti finanziari, tecnico organizzativi posseduti dall’impresa singola.

L’amministrazione, una volta ottenuta la garanzia delle responsabilità solidali da parte dell’Ati orizzontale, ha pertanto tutto l’interesse a consentire la libertà interna di suddivisione del lavoro, evitando di porre limiti di esecuzione alle imprese.

L’identificazione dei requisiti delle imprese per la qualificazione alla partecipazione alla gara ha ratio e disciplina ben differenti dalla identificazione dei requisiti per la fase di realizzazione dei lavori.

La differenza tra queste due fattispecie d’altra parte è stata confermata anche dal D.P.R. 34/2000 che “istituzionalizza” l’esistenza delle due fattispecie: da una parte la qualificazione delle imprese ai fini dell’aggiudicazione della gara e dall’altra la qualificazione delle imprese ai fini dell’esecuzione dell’opera.

Il legislatore ha infatti disposto che l’aggiudicatario, in possesso della qualificazione per la sola categoria prevalente, non può eseguire direttamente le restanti opere cosiddette a “qualificazione obbligatoria”[2].

Il secondo approfondimento non appare invece condivisibile.

L’autore sostiene che la libertà nella suddivisione del lavoro non possa sospingersi fino ad “escludere un’impresa o fino a ridurne la partecipazione a una presenza pressoché simbolica”, perché in tal caso si incorrerebbe nel difetto funzionale della causa del contratto di mandato e di appalto.

Al contrario ritengo sia opportuno e legittimo non porre limiti alla flessibilità imprenditoriale.

L’amministrazione richiede per la partecipazione alla gara determinati requisiti minimi finanziari, tecnici e organizzativi, che devono essere posseduti dall’impresa singola o dalla somma dei requisiti delle imprese riunite.

Una volta qualificate le imprese, nell’eventualità di un’aggiudicazione ad un Ati orizzontale, l’Amministrazione richiede a questa un mandato collettivo speciale al fine di garantirsi la responsabilità solidale nei suoi confronti da parte di tutte le imprese riunite.

Viene così sostanzialmente garantita la buona esecuzione dell’opera con il “patrimonio” (non solo economico, ma anche tecnico ed organizzativo) di tutte le imprese riunite.

La causa del contratto di mandato si rileva pertanto proprio in questa garanzia di responsabilità solidale delle imprese verso l’Amministrazione.

Il riparto interno dell’esecuzione dell’opera rimane un fattore completamente esterno.

Ed infatti, come si è in precedenza affermato, non esistono limiti di necessaria proporzione tra i requisiti di qualificazione di un’impresa e le “parti” di opera che essa può direttamente eseguire.

Ugualmente non condivisibile a mio parere è che, il riparto dell’opera da parte dell’Ati, possa causare un difetto funzionale di causa al contratto di appalto, il quale ha una propria causa economico-sociale nell’esecuzione di una determinata opera e per il quale i limiti di modificabilità soggettiva sono espressamente determinati dalla legge.

Di questo avviso appare peraltro essere anche il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia che, con sentenza n.618 del 13/10/1998[3], ha affermato che “nessuna disposizione di legge vieta la riunione di imprese per quote di lavori quantitativamente limitati, né dallo spirito della normativa in tema di associazioni tra imprese può desumersi alcun limite alla libertà di organizzazione lato sensu imprenditoriale; pertanto non è nullo il negozio giuridico con il quale tre imprese decidano di associarsi temporaneamente, creando un organismo di tipo orizzontale, nel quale una delle tre detenga la quota societaria in ragione del 98% del totale.”

Ritengo pertanto che una volta che imprese riunite possiedano requisiti finanziari, tecnici ed organizzativi sufficienti per partecipare alla gara d’appalto ben legittimamente potranno poi dividersi le quote di esecuzione in forza del proprio principio di libertà imprenditoriale.

In materia è intervenuto di recente anche il legislatore con una nuova prescrizione che non pare però sovvertire quanto fino ad ora affermato.

L’art. 93 del Regolamento di attuazione della Legge Merloni ter, D.P.R. 554/99, richiede che le imprese riunite in associazione temporanea debbano eseguire i lavori nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento.

Ciò comporterà inevitabilmente che le Amministrazioni dovranno in qualche modo ottenere, prima dell’inizio dei lavori, indicazioni dalle imprese circa l’effettivo riparto dell’opera.

Non è indicato però come tale dichiarazione debba avvenire, né tantomeno se , in corso d’opera, possa essere modificata.

Nel silenzio legislativo pertanto ritengo debba prevalere la salvaguardia del principio di flessibilità imprenditoriale, quale caratteristica essenziale per imprese riunite.

Pertanto opportunamente l’Amministrazione potrà utilizzare forme semplificate per la richiesta della dichiarazione attraverso la quale l’Ati esplicita le quote di partecipazione delle imprese e la contestuale ripartizione interna dell’opera.

Durante la realizzazione dei lavori, nell’eventualità di fattori che alterino le originarie decisioni gestionali delle imprese, la P.A. potrà consentire la modificazione della dichiarazione incidendo sia sulla quota di partecipazione di ogni impresa al raggruppamento sia sulla quota parte di opera spettante ad ognuna di esse.

Quest’impostazione appare la più vantaggiosa per l’amministrazione. Infatti l’associazione orizzontale di imprese, nel corso dell’esecuzione dell’opera, rimarrebbe libera di determinare quale delle imprese debba, di volta in volta eseguire i lavori, con l’unico limite di dover anticipatamente comunicare all’Amministrazione le eventuali modifiche alle originarie pattuizioni interne.

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[1] Il parere è tratto dalla rivista Edilizia e Territorio n.19 del Maggio 2000, pag.18 e 19. L’autore firmatosi (g.c.) coglie l’occasione di intervenire in proposito rispondendo ad un quesito posto alla rivista nella sezione “et risponde / qualificazione”

[2] In quest’occasione è possibile solo accennare alla parziale divergenza tra il citato D.P.R. e il Regolamento di attuazione della Merloni ter D.P.R. 554/99. Infatti mentre il primo prevedeva un numero ben maggiore di categorie a qualificazione obbligatoria , il secondo ha sostanzialmente ridotto tale ambito alle sole categorie espressamente citate dall’art.72 commi 2 e 4.

[3] Nella rivista Consiglio di Stato, parte I, pag. 1668 ss, Novembre 1998

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