Nota a Sentenza n. 13468 del 3 giugno 2010: società in accomandita semplice – soci accomandanti – prestazione di garanzie e prelievo dalle casse sociali – assunzione della responsabilità illimitata – esclusione

Il 9 marzo 1998 il tribunale di Verona dichiarò il fallimento di … quale socia accomandante della fallita s.a.s. …, di cui il marito … era socio accomandatario, nel presupposto che, in violazione dell’art. 2320 c.c., la signora si fosse ingerita nell’amministrazione della società, cui aveva sistematicamente prestato garanzie a sostegno finanziario, anche con la sua impresa individuale, effettuando peraltro indebiti prelievi di denaro dalle casse sociali tramite un fondo prelevamento soci.

L’opposizione al fallimento proposta da …, anche in contraddittorio con la creditrice … s.p.a., fu respinta in primo grado, ma fu accolta dalla Corte d’Appello di Venezia con la sentenza ora impugnata per cassazione, che ne revocò il fallimento.

Ritennero i giudici d’appello:

  1. i fatti posti a fondamento della sentenza di fallimento erano certamente indicativi di una affectio societatis, peraltro non controversa, ma non valevano a giustificare la dichiarazione di decadenza di … dal beneficio della limitazione della responsabilità propria del socio accomandante, perché non erano manifestazione di un’attività di gestione degli affari sociali;

  2. era palesemente inammissibile la pretesa del curatore di valutare gli stessi fatti come indicativi di una società irregolare tra … e il marito …o di ribadire comunque il fallimento di … quale imprenditrice individuale, perché l’art. 15 legge fall., nel testo risultante dalla sentenza costituzionale n 141 del 1970, preclude la possibilità di dichiarare il fallimento per presupposti diversi da quelli contestati preventivamente al debitore.

Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la creditrice … s.p.a., con due motivi d’impugnazione, illustrati anche da memoria, e il fallimento di …, con due motivi d’impugnazione.

Resiste con controricorso …, che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato.

Non hanno spiegato difese invece gli altri creditori intimati.

 

Motivi della decisione

1. I ricorsi proposti avverso la stessa sentenza vanno riuniti; ma esigono una trattazione separata i motivi che li sostengono.

2. Con il primo motivo del suo ricorso la … s.p.a. deduce violazione dell’art. 18 legge fall.

Sostiene che, avendo promosso il fallimento della … s.a.s. e non quello di …, richiesto dal curatore. L’opposizione proposta da … le fu notificata erroneamente, peraltro per ordine del giudice istruttore. Eccepisce perciò il proprio difetto di legittimazione passiva ne giudizio.

Con il secondo motivo la … s.p.a. deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. ed errata applicazione dell’art. 92 c.p.c.

Sostiene che, dopo il suo interevento nel giudizio di opposizione promosso da …, l’opponente non formulò conclusioni nei suoi confronti, neppure ai fini delle spese processuali.

Sicché era illegittima la sua condanna alle spese del giudizio.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “i creditori istanti per il fallimento di società di persone o imprenditore individuale, assumono la posizione di litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, cui sia stato esteso il fallimento della società di persone o il fallimento del socio, ritenuto inizialmente un imprenditore individuale” (Cass., sez. I, 20 maggio 2005, n. 10693, m. 582126, Cass., sez I, 10 luglio 2001, n. 9359, m. 548060).

D’altro canto, come risulta dallo stesso ricorso, la … s.p.a., intervenuta in giudizio per ordine del giudice, concluse per il rigetto della opposizione proposta da … e per la condanna dell’opponente a rimborsarle le spese.

Non rileva pertanto che … non formulò conclusioni specifiche contro la … s.p.a., ma rileva che la società creditrice chiese il rigetto dell’opposizione. E la soccombenza della … s.p.a. rispetto a questa sua richiesta ne giustifica la condanna alle spese.

3.1- Con il primo motivo del suo ricorso il fallimento … deduce violazione degli artt. 147 legge fall. e 2320 c.c.

Sostiene che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso la rilevanza delle sistematiche prestazioni di garanzia da parte di … quali manifestazioni della sua ingerenza nella gestione della società garantita. E aggiunge che anche i prelievi delle casse sociali operati dalla … dovessero essere considerati come atti di disposizione del patrimonio sociale.

Il motivo infondato.

Non v’è dubbio, infatti, che “l’esistenza del rapporto sociale, anche al fine della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile a norma dell’art. 147 della legge fall., può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquando essi – ancorché riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società – siano, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali” (Cass., sez I, 16 marzo 2007, n. 6299, m. 597150).

Tuttavia, come hanno ben evidenziato i giudici d’appello, non è qui in discussione la qualità di socia di …, è in discussione il suo presunto ruolo di amministrazione e gestione della società. E secondo la giurisprudenza di questa corte, la stessa “situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice – la quale è caratterizzata dall’esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomandanti, ai sensi dell’art. 2312 c.c.) – non è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario, a tal fine,accertare di volta in volta, la posizione in concreto assunta da detto socio, il quale, di conseguenza, assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione (intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull’amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi) o di trattare o concludere affari in nome della società” (Cass., sez. I, 25 luglio 1996, n. 6725, m. 498754).

È indiscusso in realtà che, “per aversi ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione della società in accomandita semplice, – vietata dall’art. 2320 c.c. – non è sufficiente il compimento, da parte dell’accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l’accomandante svolga una attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare dell’impresa” (Cass., sez. I, 14 gennaio 1987, n. 172, m. 449940, Cass., sez. III 28 luglio 1986, n. 4824, m. 447529, Cass., sez. I 15 dicembre 1982, n. 6906, m. 424557, Cass., sez. I 26 giugno 1979, n. 3563, m. 399978). E mentre la prestazione di garanzia attiene evidentemente al momento esecutivo delle obbligazioni, il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali del socio, quand’anche indebito o addirittura illecito, non costituisce certamente un atto di gestione della società.

3.2- Con il secondo motivo del suo ricorso il fallimento … deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., ed eccepisce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla richiesta della curatela di ribadire il fallimento di … quale socia irregolare del marito … o come imprenditrice individuale.

Il motivo è manifestamente infondato.

Infatti i giudici d’appello non hanno omesso di pronunciarsi sulle richieste subordinate del curatore, ma le hanno dichiarate inammissibili.

E questa decisione è del tutto corretta, perché, come ben rilevato dalla corte d’appello, è indiscusso nella giurisprudenza di questa corte che, quando la dichiarazione di fallimento abbia avuto come presupposto la qualità di socio di una determinata società di persone, “viola il principio del rispetto del contraddittorio, stabilito nell’art. 15 legge fall., la sentenza emessa all’esito del giudizio di opposizione con la quale venga riconosciuta al fallito la qualità di imprenditore individuale” (Cass., sez. I, 30 agosto 1995, n. 9156, m. 493804).

Il ricorrente invoca in senso contrario il principio inquisitorio, cui era all’epoca ispirato anche in appello il procedimento fallimentare, e rileva di avere formulato già nel primo grado del giudizio di opposizione le sue richieste subordinate, riproposte poi nel giudizio d’appello.

Sennonché non rileva qui quanto il curatore abbia dedotto nel giudizio di opposizione, in primo o in secondo grado. Rileva invece su quali presupposti del fallimento sia stata chiamata a difendersi … nella fase prefallimentare; e su quali presupposti sia stata poi dichiarata fallita.

E secondo i giudici del merito, non contestati sul punto, “nel caso di specie il contraddittorio risulta instaurato esclusivamente sul presupposto specifico dell’esistenza delle condizioni di cui all’art. 2320 c.c., per la decadenza dell’odierna appellante de beneficio della limitazione della responsabilità e della conseguente estensibilità, alla stessa, del fallimento della società ai sensi dell’art. 147 legge fall., ma non anche su quelle, evidentemente affatto diverse, della coesistenza di un’autonoma società irregolare ovvero della ricorrenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per la dichiarazione del fallimento della … come imprenditore individuale”.

4. La decisione di rigetto di entrambi i ricorsi proposti dalla … s.p.a. e dal fallimento risulta assorbente rispetto al ricorso incidentale condizionato proposto da …

A norma dell’art. 97 c.p.c., delle spese rispondono solidalmente le parti soccombenti. (omissis)

 

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La sentenza in commento, in ossequio al precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità, esclude la configurabilità della figura di socio accomandatario occulto di società in accomandita semplice, nel caso in cui la condotta dell’accomandante non sia riconducibile al divieto d’immistione gestoria di cui all’art. 2320 del codice civile.

È risaputo che la società in accomandita semplice sia caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci ossia quella dei soci accomandatari, illimitatamente responsabili, ai quali spetta la funzione di gestione degli affari sociali, e quella dei soci accomandanti, i quali sono responsabili nei limiti della quota conferita, e hanno meri poteri di controlloi ed il solo diritto di percepire gli utili spettanti in base al bilancio regolarmente approvato.

L’art. 2320 c.c. stabilisce che l’attività di governance della società debba essere una prerogativa dei soli soci accomandatari e sanziona con l’assunzione dell’illimitata responsabilità, anche per le obbligazioni sociali pregresse, i soci accomandanti ingerenti.

Tale divieto generalmente si fa risalire all’esigenza della società a che sia amministrata da soci la cui oculatezza gestoria derivi dalla illimitata responsabilità, e che non sia snaturata ed alterata la sua struttura sociale. È corretto, inoltre, ritenere che così sia tutelato da un lato l’interesse della classe creditoria alla tutela del loro affidamento sulla responsabilità personale di chi agisce, e dall’altro quello degli stessi accomandatari ad estromettere dalla gestione quei soci che, non essendo esposti ad alcun rischio, non offrono garanzie di una gestione responsabileii.

La dottrina, per quanto concerne l’individuazione degli atti che configurano la condotta illecita, ritiene debba necessariamente privilegiarsi una lettura restrittiva della norma, che vieti i soli atti di amministrazione, siano essi atti di gestione interna o esternaiii.

Secondo il dettato normativo, infatti, gli atti che gli accomandanti possono compiere senza impingere nel divieto di immistione sono variiv. Sono ammessi pareri ed autorizzazioni, atti di ispezione e di sorveglianzav.

La giurisprudenza ha più volte stabilito che l’accomandante possa svolgere in favore della società la propria opera, purché questa abbia natura meramente esecutiva (Cass. 14.01.1987 n. 172, Cass. 27.04.1994 n. 4019)vi.

Va attribuita sicuramente tale natura anche ad altre tipologie di atti come la prestazione di garanzia a favore della società, che attiene evidentemente al momento esecutivo delle obbligazioni.

Tale interpretazione è decisiva per la soluzione del caso di specie in quanto il socio accomandante non compie alcun atto di amministrazione ma si limita a finanziare la società con versamenti di denaro a fondo perduto. La Suprema Corte evidenzia, dunque, che l’unico rischio che possa correre l’accomandante nel compimento di tale negozio sia di tipo finanziario, e non nell’assunzione della responsabilità illimitata.

Pari considerazione può essere fatta in relazione al prelievo di fondi dalle casse sociali che, sebbene non possa essere considerato, integrando un illecito, una condotta esecutiva del contratto sociale, in ogni caso non può essere ritenuto un atto gestorio.

Appurato che non vi sono gli estremi per dichiarare l’ingerenza dell’accomandante ex art. 2320 c.c., la Suprema Corte a questo punto affronta il problema se si possa applicare alla fattispecie in esame la disciplina giurisprudenziale sul socio occulto.

È corretto affermare che il sistematico finanziamento di un imprenditore individuale o di una società, anche attraverso il rilascio di fideiussioni, debba essere ritenuto indice probatorio della presenza di un socio occultovii.

In verità, il sistematico finanziamento, come la partecipazione a trattative con i fornitori o il compimento di atti di gestione sono sintomatici dell’affectio societatis, che nel caso di specie non è in discussione essendo il soggetto in questione già socio della società, sebbene con responsabilità limitata.

La fattispecie di socio occulto, accomandante o accomandatario, di società in accomandita semplice è configurabile nel caso in cui un terzo estraneo alla società adotti la condotta di cui sopra.

Problematico poi sarà individuare se il socio occulto debba essere ritenuto un accomandatario o un accomandante a seconda che la sua condotta sia ascrivibile ad attività gestoria o noviii.

 

In conclusione, la fattispecie di socio occulto accomandatario di società in accomandita semplice si può verificare nel solo caso in cui un soggetto terzo alla società tenga una condotta che possa apparire estrinsecazione dell’affectio societatis e che contestualmente integri l’esercizio di facoltà gestorie.

Nel caso di specie non si è presenza di un socio occulto in quanto il soggetto è legato da un vincolo sociale palese e al socio non può essere imputata la responsabilità illimitata dato che ha agito nei limiti di cui all’art. 2320 c.c. In conseguenza l’accomandante non è assoggettabile alla procedura fallimentare connessa al fallimento della società in accomandita.

 

Bibliografia

N. Abriani – *****************, ******************* Commentato delle ******à, sub art. 2320 c.c., Torino, 2010.

****************, *******************, ******* delle ******à, 6° ed., Torino, 2006, Vol. II.

******* – ************, *********** breve al codice civile, sub art. 2320 c.c., Padova, 1999.

********, ************à, in Commentario del Codice civile a cura di *********** e *********, vol. 24°, Bologna e Roma, 1981.

F. Galgano, Le società in generale. Le società di persone, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da **** e ********, ******, Milano, 1982.

i Si discute se all’accomandante vada riconosciuto il diritto di approvare il bilancio quale atto di controllo. Trib. Parma, 22.05.1972, Riv. *********. 1973, II, p. 168; ***********, ******* delle società, p. 161; contra F. Galgano, Le società in genere. Le società di persone, in Trattato di diritto civile e commerciale, p. 482.

ii F. Galgano, Le società in generale. Le società di persone, p. 386, rileva che la ratio di tale divieto sia la tutela di un interesse composito che può essere definito pubblico cioè proprio dell’intera collettività.

iii La distinzione tra atti di gestione interna ed esterna è rilevante in quanto per questi ultimi il divieto di immistione è meno rigido dato che non è assoluto in quanto il legislatore prevede espressamente delle deroghe quale l’ipotesi di procura speciale idonea alla conclusione di uno specifico affare. ****************, *******************, ******* delle ******à, II, p.140.

iv Naturalmente non costituisce violazione del divieto d’immistione la nomina e la revoca degli amministratori asi sensi dell’art. 2319 c.c.

v É conveniente distinguere tra pareri ed autorizzazioni obbligatori che devono essere richiesti in forza di una espressa clausola dell’atto costitutivo, e facoltativi, che si ritiene siano sempre ammessi, in particolare se non sono vincolanti.

vi N. Abriani – *****************, ******************* Commentato delle ******à, p. 2320.

vii****************o, *******************, ******* delle ******à, II, p.65.

viii In passato la Cassazione ha ritenuto che che il socio occulto si presumesse accomandatario fino a prova contraria da parte sua (Cass. 18.05.1958); oggi si ritiene invece necessario l’accertamento in concreto della sua posizione nella società (Cass. 19.01.1991 n. 508).

 

Dott. *****************

Genchi Gioacchino

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