La pronuncia annotata, sentenza n. 171/2007 (
[1]) della Corte Costituzionale, costituisce un decisivo passo in avanti nella circoscrizione dei contenuti dei parametri di necessità ed urgenza i quali costituiscono la
condicio sine qua non un Decreto-Legge non può venire legittimamente adottato dal Governo.
Il fatto che ha investito la Consulta del problema, proviene da un’ordinanza di rimessione (ord. 6 aprile 2005) della Corte di Cassazione, prima sezione civile, in riferimento all’art. 77, 2° comma, Cost. ed avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell’art. 7, 1° comma, lettera
a) del Decreto-Legge 29 marzo 2004 n. 80 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dalla l. ordinaria dello Stato 28 maggio 2004 n. 140. La disposizione normativa censurata nell’ordinanza del giudice
a quo, apportava modifiche all’art. 58, 1° comma, lett.
b) (rubricato “
Cause ostative alla candidatura”) e all’art. 59, 6° comma (
[2]) (rubricato “
Sospensione e decadenza di diritto”), entrambi del D. Lgs. n. 267/2000, il Testo Unico in materia di enti locali. In particolare, il Decreto escludeva che il peculato d’uso (
ex art. 314, 2° comma, c.p.) costituisse causa di incandidabilità alla carica di sindaco e, poi, alla decadenza dalla stessa. La Suprema Magistratura Ordinaria, già in precedenza, con ord. 17 aprile 2004, aveva portato innanzi alla Corte Costituzionale la stessa
quaestio per insussistenza del requisito “
del caso straordinario di necessità ed urgenza” con la conseguenza che, intervenendo nel frattempo la legge di conversione n. 140/2004, erano state inserite modifiche al testo del Decreto-Legge, in particolare la soppressione della riforma dell’art. 59, 6° comma, del D.Lgs. n. 267/2000. Secondo la prospettiva della Cassazione, rilevando come il vizio già denunciato si fosse trasferito sulla legge di conversione, essa ha doverosamente ritenuto opportuno risollevare la questione di legittimità, soprattutto per la circostanza che la disposizione censurata “
è stata inserita in un decreto che ha ad oggetto materia diversa e, in particolare, aspetti della disciplina di finanza locale e che la valutazione sulla necessità ed urgenza di provvedere nel preambolo del decreto si riferisce a tale disciplina e non anche al comma ed all’alinea dell’art. 7 impugnato” (
[3]).
La Corte Costituzionale, nel pervenire all’accoglimento della richiesta del remittente e nel dichiararne la incostituzionalità, ribadisce la sua giurisprudenza (
[4]), rilevando, conformemente alla nota pronuncia n. 29/1995 (
[5], come la “mancanza evidente” e “l’erronea valutazione” dei presupposti giustificativi del Decreto-Legge, comportino inevitabilmente una declaratoria di illegittimità e come il difetto dei suddetti requisiti, una volta intervenuta la legge di conversione, si traduca in un vizio in procedendo della medesima. Tuttavia, questo non impedisce alla Corte di precisare, in modo chiaro, i confini della necessità e dell’urgenza, indicando nella loro elasticità ([6]) ossia nella capacità ed idoneità di adattabilità alla circostanza fattiva del momento, una delle loro peculiari caratteristiche intrinseche. Il che sta ad indicare, nella prospettiva della Corte, non il riferimento a situazioni future ma, viceversa, la loro stretta rispondenza alla realtà normativa-fattuale presente (
[7]), come, del resto, si può indirettamente dedurre dalla natura immediatamente applicativa che devono possedere le disposizioni del Decrteto-Legge, prevista dall’art. 15, 3° comma, della l. ordinaria dello Stato 23 agosto 1988 n. 400; anzi, proprio il carattere elastico dei requisiti per l’adozione governativa di un D.L. consente di includere e disciplinare, sostiene la Corte, “
una pluralità di situazioni” per le quali “
non sono configurabili rigidi parametri valevoli in ogni ipotesi” (
[8]).)
Ma al fine di scongiurare una trasformazione della dimensione elastica dei presupposti di urgenza e necessità in un contenitore illimitato di cui il Governo certamente si servirebbe per incrementare la sua attività di produzione normativa, il giudice delle leggi si premura, nella parte conclusiva della sentenza, di definire, per via negativa, che cosa non rientra nel concetto di elasticità, evitando una sua pericolosa e non improbabile dilatazione. Infatti, ogni tentativo di razionalizzazione di una disciplina legislativa (
[9]) non può mai porsi a fondamento per l’utilizzazione dell’istituto del Decreto-Legge dal momento che la sua assunzione a caratteri di necessità ed urgenza, diviene un’enunciazione apodittica cioè considerata vera in sé senza alcun collegamento fattuale. Il che si porrebbe, ancora una volta, in aperto contrasto con la natura del D.L. quale atto funzionale, in presenza dei requisiti di cui all’art. 77, 2° comma, Cost., alla situazione attuale del momento, contravvenendo, così, alla dimensione autoapplicativa che la legge n. 400/1988 richiede per le sue norme. La Corte, vuole, dunque, impedire che la pur necessaria opera di razionalizzazione del dettato legislativo, in quanto valutazione politico-normativa, perda la sua natura di opzione legislativa ordinaria, come tale rientrante nel carattere libero della attività del Parlamento, impedendone, in tal modo, una sua attrazione nella sfera del potere Esecutivo.
Daniele Trabucco-Dottorando di Ricerca in Diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Ferrara – E-mail: daniele.trabucco@alice.it
(2 giugno 2007)
([2]) Per il testo degli artt. citati e per un loro commento, si rimanda a E. GARRONI, Artt. 58-59 del D.Lgs. n. 267/2000, in M. Bertolissi (a cura di) L’ordinamento degli enti locali. Commento al Testo Unico sull’ordinamento delle autonomie locali del 2000 alla luce delle modifiche costituzionali del 2001, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 307-314.
([3]) Cfr., il punto 1 del cons. in dir.
([4]) Per una sintesi dell’evoluzione giurisprudenziale in tema di decretazione legislativa d’urgenza, si rimanda a S. VENEZIANO, La decretazione d’urgenza nella prospettiva della Corte Costituzionale, in N. Lupo (a cura di) Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, pp. 409-421.
([5]) In Giur. Cost., Giuffrè, n. 1/1995.
([6]) Vedi punto 4 del cons. in dir.
([7]) Cfr., M. P. GORLERO, Le fonti del diritto. Lezioni, Padova, Cedam, 1995, p. 59
([8]) Cfr., punto 4 del cons. in dir.
([9]) L’esigenza razionalizzatrice nasceva dal fatto che il Tribunale ordinario di Messina non aveva ritenuto, con sentenza 21 luglio 2003, nonostante la proposizione di azioni popolari per ottenere la declaratoria di decadenza, che le norme di cui agli artt. 58, 59, 68 e 70 del D. Lgs. n. 267/2000 consentissero di affermare la condanna definitiva per il delitto di peculato d’uso con irrevocabilità acquisita dopo la nomina a sindaco della città di Messina del soggetto che, con sentenza 5 giugno 2003, aveva visto respinto il ricorso, per il delitto de quo, dalla Corte di Cassazione con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Ma la decisione del giudice di primo grado, era stata riformata dalla Corte d’Appello di Messina la quale, di converso, aveva dichiarato, nella sentenza 3 dicembre 2003, la decadenza dalla carica di sindaco. Avverso detta pronuncia, era stato successivamente proposto ricorso in Cassazione ma, prima dell’udienza di discussione, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 30 marzo 2004, era stato pubblicato il d.l. n. 80/2004 che escludeva la condanna per il peculato d’uso quale causa di incandidabilità e decadenza.
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