Note a prima lettura delle disposizioni in materia di giustizia civile contenute nei decreti adottati per contrastare l’emergenza Covid-19

Redazione 10/04/20

di Prof. avv. Francesca Ferrari Avv. Adriano Sponzilli [*]

Sommario

I. Premessa

II. La sospensione e le sue eccezioni

III. I provvedimenti cautelari e la sospensione

IV. Le misure rimesse ai capi degli uffici giudiziari

V. Conclusioni

I. Premessa

La ricca produzione normativa d’urgenza nata dall’esigenza di contrastare l’epidemia da COVID-19 ha inciso pesantemente anche sullo svolgimento dell’attività giudiziaria civile (e non solo).

Come di certo ben noto a chi legge, l’intero Paese si trova in stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili[1] ed è stata assunta una serie di provvedimenti normativi che hanno imposto penetranti misure di contenimento che incidono in modo pesantissimo sia sulle libertà individuali, sia sullo svolgimento di tutte le attività economiche[2].

Una simile situazione non poteva non comportare l’adozione di provvedimenti urgenti che sospendessero e ridefinissero anche l’attività giurisdizionale, in modo da rendere compatibile l’amministrazione della giustizia con la situazione di assoluta emergenza in essere e con le pesanti limitazioni di circolazione e di esercizio delle proprie normali attività che tutti gli operatori del sistema giustizia subiscono. Difatti, il legislatore è dapprima intervenuto con il decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11, recante «Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria».

Questo primo provvedimento già prevedeva (all’art. 1, comma 1) un periodo “cuscinetto”, da lunedì 9 marzo a domenica 22 marzo 2020, e stabiliva che, fatte salve alcune eccezioni, tutte le udienze civili e penali che avrebbero dovuto celebrarsi nel periodo citato dovevano essere rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020. Il comma 2 dello stesso art. 1 prevedeva altresì, che nello stesso periodo di tempo, «sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1»[3].

A distanza di pochi giorni dal provvedimento in questione veniva adottato il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», che ha di fatto riscritto le previsioni del precedente decreto, correggendole, sostituendole ed abrogandole. Gli articoli 83, 84 e 85 di questo secondo provvedimento, in particolare, sostituiscono (abrogandoli) gli articoli 1, 2, 3 e 4 del decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11, con disposizioni che modificano, estendono e per taluni aspetti chiariscono quanto era stato previsto con il provvedimento di pochi giorni prima.

Da ultimo, il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 ha previsto una proroga dei termini precedentemente indicati dal decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, lasciando però inalterate le restanti disposizioni.

Con il presente contributo si intende procedere ad un breve riepilogo delle disposizioni in tema di giustizia civile contenute nel decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 e quindi, in particolare, nel suo articolo 83 (tenendo conto delle proroghe da ultimo introdotte) e offrire alcuni spunti di riflessione di prima lettura.

[*] Queste brevi p>

[1] Con delibera del Consiglio dei Ministro adottata in data 31 gennaio 2020 (pubblicata in G.U. n. 26 del 1° febbraio 2020) «ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, comma 1, lettera c), e dell’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, è dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili» (art. 1, comma 1 della delibera).

[2] Le misure di contenimento hanno trovano la loro disciplina, a livello di fonti di rango primario, prima nel decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» (pubblicato in G.U. n. 45 del 23 febbraio 2020), poi convertito in legge con modifiche con la Legge 5 marzo 2020, n. 13 (pubblicata in G.U. n. 61 del 9 marzo 2020) e poi successivamente con il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19» (pubblicato in G.U. n. 79 del 25 marzo 2020), attualmente in corso di conversione, con il quale si è previsto che per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, possano essere adottate una serie di misure di contenimento, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o in caso specifici con altre provvedimenti di rango regolamentare (decreti ministeriali o ordinanze ministeriali). Le possibili misure di contenimento tipizzate dall’ultimo decreto legge (articolate in 29 tipologie differenti) sono di raggio ampissimo e comportano limitazioni e sospensioni di gran parte delle libertà e dei diritti fondamentali.

[3] Per un commento alle disposizioni ora abrogate del decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11, si veda G. Scarselli, Interpretazione e commento del decreto legge 8 marzo 2020 n. 11 di differimento delle udienze e sospensione dei termini processuali civili per contrastare l’emergenza da COVID 19, in Judicium.

II. La sospensione e le sue eccezioni

Il decreto-legge ripartisce cronologicamente gli interventi, suddividendo la fase di emergenza in due distinti segmenti temporali:

(i) un periodo “cuscinetto” dal 9 marzo all’11 maggio 2020, per il quale è previsto il differimento generalizzato delle udienze a data successiva e la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili, per quanto qui ci interessa, fatte salve una serie di eccezioni che si esamineranno infra;

(ii) un successivo periodo dal 12 maggio al 30 giugno 2020,caratterizzato da unagestione dell’emergenza delegata ai singoli uffici giudiziari, ai cui capi è rimesso di adottare misure organizzative volte a consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie e ad evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone.

Per il periodo cuscinettodal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020, il decreto-legge prevede – come già si è detto – il rinvio d’ufficio delle udienze[4] e la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto[5] di tutti i procedimenti civili pendenti[6] correggendo dunque l’impropria formulazione dell’art. 1, comma 2 del precedente decreto-legge, che riferiva la sospensione solo alle cause per le quali avrebbe dovuto esserci udienza nel periodo cuscinetto.

La sospensione dei termini dal 9 marzo all’11 maggio 2020 opera, dunque, in modo analogo a quanto avviene per la sospensione feriale disciplinata dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742; il suo effetto è quello di comportare un congelamento della decorrenza dei termini per tutto il periodo di durata della sospensione; nel calcolo dei termini non si computeranno i giorni compresi fra le due date sopra richiamate, escludendo dal calcolo sia il giorno iniziale sia quello finale e quindi riprendendo il conteggio dal primo giorno successivo alla sospensione (ossia, in sostanza, dal 12 maggio 2020)[7]; trattasi quindi di una sospensione per una durata di 64 giorni.

Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 introduce anche un meccanismo finalizzato ad evitare problemi interpretativi nell’applicazione della sospensione ai cosiddetti termini processuali “a ritroso” e stabilisce che, qualora il termine da calcolare a ritroso cada nel periodo di sospensione, l’udienza o l’attività da cui decorre il termine è automaticamente differita; in tal modo la decorrenza del termine avviene integralmente al di fuori del periodo di sospensione.

La disciplina in esame non contiene alcuna indicazione rispetto all’ipotesi, per la verità residuale, di eventuali termini che siano fissati dal giudice ad una specifica data (tipico esempio è quello del termine per il deposito di una memoria difensiva nell’ambito dei procedimenti cautelari, che viene abitualmente fissato dal giudice in una data di poco antecedente quella dell’udienza). Non si può dubitare che operi la sospensione anche rispetto a questi termini, tuttavia, dovrà il giudice, provvedendo al rinvio dell’udienza, posticipare anche la scadenza del termine.

Nonostante le evidenti analogie applicative fra la ordinaria sospensione feriale dei termini di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e la sospensione prevista dal decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11, l’ambito applicativo differisce in modo evidentissimo, così come differisce la ratio alla base dei due istituti. La prima nasce dalla necessità d’assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati ed è anche correlata ad una piena esplicazione del diritto di azione e di difesa[8], la seconda dalla necessità di contemperare i diritti di rango costituzionale di azione e di difesa e l’amministrazione della giustizia con la disciplina delle misure volte a contenere e contrastare i rischi sanitari legati alla emergenza epidemiologica e segue la logica dell’isolamento sociale, minimizzando quanto più possibile la necessità di accesso alle sedi fisiche degli uffici giudiziari.

Certamente entrambe le sospensioni riguardano i termini processuali dei procedimenti civili, mentre in linea di principio non incidono sui termini di natura non processuale, ma proprio alla luce della diversa ratio, il legislatore con il provvedimento più recente ha individuato un numero di eccezioni alla regola generale della sospensione significativamente più limitato rispetto a quello della sospensione feriale[9]. Il proposito è chiaramente quello di ridurre l’attività giurisdizionale al minimo costituzionalmente lecito e dunque le ipotesi per le quali non opera la sospensione sono solo le seguenti:

(i) cause di competenza del Tribunale per i minorenni relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio;

(ii) cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità[10];

(iii) procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona;

(iv) procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di tutela, di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione nei soli casi in cui viene dedotta una motivata situazione di indifferibilità incompatibile anche con l’adozione di provvedimenti provvisori e sempre che l’esame diretto della persona del beneficiario, dell’interdicendo e dell’inabilitando non risulti incompatibile con le sue condizioni di età e salute;

(v) i procedimenti relativi agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale di cui all’articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; (vi) procedimenti per richieste di interruzione della gravidanza di cui all’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194;

(vii) procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari;

(viii) procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di Paesi terzi e dell’Unione Europea;

(ix) procedimenti per la sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata di cui agli articoli 283, 351 e 373 c.p.c.

Vi è poi una sorta di norma di chiusura in forza della quale non soggetti alla sospensione quei procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti; in questi casi la dichiarazione di urgenza è fatta con decreto non impugnabile dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso oppure, per le cause già iniziate, dal giudice istruttore o dal presidente del collegio.

L’esame delle eccezioni sopra enumerate ha determinato tra gli operatori numerosi quesiti di natura interpretativa.

[4] L’articolo 83, comma 1 dispone che «Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020» (il termine del 15 aprile 2020 è stato prorogato all’11 maggio 2020 dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23).

[5] L’articolo 83, comma 2 dispone che «Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto. Si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all’articolo 17-bis, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546» (il termine del 15 aprile 2020 è stato prorogato all’11 maggio 2020 dal decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23).

[6] La formulazione scelta dall’attuale articolo 83, comma 2, che richiama tutti i «procedimenti civili e penali», sostituisce e corregge quella che era stata adottata dall’articolo 1 del precedente decreto-legge n. 11 del 2020, che si riferiva invece ai «procedimenti indicati al comma 1». In questo modo si vuole chiarire ed estendere la previsione originaria. La relazione al decreto legge evidenzia che la nuova formulazione «da un lato, infatti, rende evidente l’amplissima portata che la sospensione ivi prevista deve avere (da riferirsi a tutti i procedimenti civili e penali e non certo ai soli procedimenti in cui sia stato disposto un rinvio di udienza); dall’altro lato, considerata la straordinaria emergenza che l’aggravamento della situazione epidemica in atto sta producendo anche sulla funzionalità degli uffici, dilata la sospensione oltre i confini della ‘pendenza’ del procedimento. Si è dovuto constatare, infatti, in relazione alla previsione originaria di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, il fiorire di dubbi interpretativi e prassi applicative sostanzialmente elusive del contenuto della previsione o comunque non adeguatamente sensibili rispetto all’evidente dato teleologico della norma, costituito dalla duplice esigenza di sospendere tutte le attività processuali allo scopo di ridurre al minimo quelle forme di contatto personale che favoriscono il propagarsi dell’epidemia, da un lato, e di neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali disposto al comma 1 avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti per effetto del potenziale decorso dei termini processuali, dall’altro. Con riguardo al riferimento alla ‘pendenza’ dei giudizi – che aveva indotto in alcuni il dubbio circa, ad esempio, l’estensione della sospensione al termine per la proposizione dell’impugnazione delle sentenze – si è ritenuto di riformulare la previsione, sì da eliminare ogni motivo di dubbio e, al contempo, estendere gli effetti della sospensione anche gli atti introduttivi del giudizio, ove per il loro compimento sia previsto un termine. Pertanto, il terzo periodo del comma 2 chiarisce – rispetto alla originaria formulazione dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 11 del 2020 – che, ferme le eccezioni previste, la sospensione dei termini, investendo qualsiasi atto del procedimento (e non meramente del processo), si estende anche ai termini stabiliti […], per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e del procedimento esecutivo, per le impugnazioni e, in genere, riguarda tutti i termini procedurali (quindi anche dei procedimenti esecutivi e concorsuali)».

[7] La questione del computo del termine nel corso della sospensione feriale è stata oggetto di un contrasto giurisprudenziale, poi risolto dalle Sezioni Unite nel 1983, quando fu chiarito che «il termine processuale che ha inizio durante la sospensione feriale, si computa dal giorno immediatamente successivo allo spirare del termine di sospensione (e cioè dal 16 settembre e non dal 17 settembre)” (cfr. Cass. civ., SS. UU., 14 luglio 1983 n. 4814). Il principio è stato poi successivamente ribadito sempre dalle Sezioni Unite, che hanno riaffermato che “il termine per la proposizione dell’impugnazione […] si computa, in considerazione della sospensione dei termini processuali prevista dall’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, senza tener conto dei giorni compresi tra il 1° agosto ed il 15 settembre dell’anno della pubblicazione della sentenza impugnata, a meno che la data di deposito non cada durante lo stesso periodo feriale, nel qual caso, in base al principio secondo cui dies a quo non computatur in termine, esso decorre dal 16 settembre» (cfr. Cass. civ. SS.UU., 5 ottobre 2009, n. 21197). In senso conforme si vedano anche ex multis Cass. civ., 14 novembre 2012, n. 19874; Cass. civ., 29 marzo 2007, n. 7757.

[8] Come è stato sottolineato dalla Corte Costituzionale che «l’istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale nasce dalla necessità d’assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati e procuratori legali. Tale scopo va, tuttavia, perseguito senza ledere interessi ‘preminenti’, nei limiti, cioè, della gerarchia dei beni e valori giuridicamente tutelati; per queste ragioni, come ha sottolineato la sentenza di questa Corte n. 130 del 1974, il legislatore del 1969, come già quello del 1965, non potendo sacrificare allo scopo dell’istituto in discussione ‘le situazioni che avrebbero più gravemente inciso nella sfera dei termini di diritto sostanziale, ha circoscritto l’istituto ai soli termini processuali’, oltre a prevedere le ‘eccezioni’ di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 742 del 1969. L’esigenza di non perseguire ‘in modo totalitario e incondizionato’ lo scopo di concedere agli avvocati e procuratori legali (ed anche alle parti) il necessario riposo feriale ha condotto il legislatore alla ‘limitazione’ qui in discussione e, cioè, alla previsione della sospensione dei soli termini processuali. La categoria ‘termini processuali’ è servita, pertanto, al legislatore per non arrecare pregiudizi, ingiustificati ed ‘ulteriori’, rispetto a quelli ‘indispensabili’ per il raggiungimento del necessario ‘riposo feriale’. Va a questo punto sottolineato che la situazione di chi deve ricorrere in periodo feriale ad un legale perché rediga un atto processuale (in senso stretto) non è diversa da quella di chi deve necessariamente (per non far scadere il termine di cui agli artt. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) ricorrere ad un legale per predisporre l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, che è certamente un atto processuale. E, d’altra parte, poiché l’istituto della sospensione dei termini nel periodo feriale è anche correlato al potenziamento del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) …» (Corte Cost., 13 luglio 1987, n. 255).

[9] L’articolo 3 della Legge 7 ottobre 1969, n. 742 prevede che la sospensione feriale non si applichi, in materia civile alle cause ed ai procedimenti indicati nell’articolo 92 dell’ordinamento giudiziario, ossia «le cause civili relative ad alimenti, alla materia corporativa, ai procedimenti cautelari, ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di sfratto e di opposizione all’esecuzione, nonché quelle relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti, ed in genere quelle rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti», nonché alle controversie in materia di lavoro (previste dall’art. 429 c.p.c.) e in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie (previste dall’art. 459 c.p.c.).

[10] Nella relazione illustrativa al decreto-legge viene precisato che con la definizione di «alimenti o ad obbligazioni alimentari» si è voluto fare riferimento alla nozione di cui all’articolo 1 del Regolamento (CE) n. 4/2009.

III. I provvedimenti cautelari e la sospensione

La prima e più evidente questione attiene ai procedimenti cautelari: la sospensione della celebrazione delle udienze e del decorso dei termini processuali coinvolge, a differenza di quanto non avvenga nell’ambito della sospensione feriale, anche la tutela cautelare, con la sola eccezione dei procedimenti aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma – come già si è detto – è consentito al giudice, con una valutazione caso per caso, di non sospendere i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti.

Il criterio del grave pregiudizio che presiede a questa valutazione del giudice si presenta di non facile applicazione ed infatti tutte le istanze cautelari, per loro natura, devono fondarsi sul periculum in mora e dunque sul requisito dell’urgenza del provvedere che, pur configurandosi in modo diverso nell’ambito delle diverse cautele, è imprescindibile.

Si viene a creare, così, una situazione nel quale la norma del decreto-legge richiede al giudice di scegliere quali cautelari debbano essere trattati e quali no, operando una distinzione fra quelli che, pur rivestendo natura di urgenza, possono tollerare una sospensione della trattazione e quelli che invece sono connotati da una “speciale” urgenza. Il criterio legislativo che dovrebbe essere alla base di questa valutazione di specialità riposa dunque su una distinzione fra il “semplice” pregiudizio imminente e irreparabile (proprio di tutti i procedimenti cautelari) ed il grave pregiudizio di cui parla la clausola finale in esame, ma così facendo il legislatore sembra avere dimenticato che nella sistematica del codice di procedura civile le nozioni di grave pregiudizio, di pregiudizio imminente e irreparabile e di pregiudizio sono tutte considerate espressioni del requisito del periculum in mora, che viene identificato in modo unitario. Peraltro la formula identificata dal legislatore si rivela di particolarmente complicata applicazione nel caso dei provvedimenti d’urgenza exart. 700 c.p.c. Ed infatti rispetto ai provvedimenti d’urgenza la norma identifica il periculum in mora come minaccia di un «pregiudizio imminente e irreparabile»; in una certa misura si dovrebbe dunque concludere che – rispetto ai provvedimenti d’urgenza – non operi affatto la sospensione. Si tratta chiaramente di un’interpretazione inaccettabile anche alla luce del fatto che il provvedimento exart. 700 c.p.c. negli anni ha certamente ampliato il proprio ambito applicativo.

La clausola di chiusura finisce con l’attribuire al giudice una piena discrezionalità circa la scelta dei procedimenti da trattare e di quelli da sospendere, senza identificare alcun criterio guida.

Questa formulazione piuttosto infelice della disposizione nasce peraltro dal fatto che il legislatore emergenziale, nel formulare la lista di eccezioni alla sospensione che potremmo definire “epidemiologica”, ha ripreso la formulazione dell’articolo 92 dell’ordinamento giudiziario in tema di sospensione feriale, anche in questa norma, infatti, si prevede che la sospensione non operi nelle cause in genere «rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti».

Tuttavia l’art. 92 succitato nel suo contesto originario si inserisce in un sistema nel quale i procedimenti cautelari sono già di per sé tutti esentati dalla sospensione feriale e quindi ha la funzione di selezionare le cause di merito la cui trattazione abbia carattere di urgenza e, dunque, non pone le difficoltà applicative di cui sopra.

Sempre in tema di procedimenti cautelari egualmente problematica è l’eccezione che esenta dalla sospensione quelli aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona. Come noto, il catalogo dei diritti della personalità è per sua natura in continua evoluzione storica in conseguenza dell’ampliarsi della sfera della dignità meritevole di protezione e questi diritti costituiscono una categoria aperta, dato che l’evoluzione dei costumi sociali porta al continuo accrescimento dei valori della persona con il conseguente moltiplicarsi degli interessi individuali attinenti alla sfera della personalità. L’individuazione dei procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona risulta quindi certamente difficoltosa[11].

Ove si volesse utilizzare a tal fine la Carta di Nizza[12] e il rinvio operato dalla stessa alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) certamente dovrebbe salutarsi con favore la possibilità di ottenere tutela urgente, nonostante la pandemia in corso, rispetto al diritto alla vita, all’integrità della persona, alla protezione della salute, ma altrettanta condivisione non si può manifestare rispetto ad altri diritti identificati dalla CEDU come fondamentali quali il diritto alla riservatezza, all’ ambiente e financo di proprietà.

Appare poi lecito domandarsi se l’eccezione in parola valga a ricomprendere fra i procedimenti non sospesi anche i procedimenti in materia di lavoro, o perlomeno quelli nei quali sia domandata la tutela reintegratoria, alla luce della giurisprudenza costituzionale che qualifica il diritto al lavoro come fondamentale diritto di libertà della persona umana[13]. Il dubbio è particolarmente pregnante per quanto riguarda il cosiddetto “rito Fornero” procedimento previsto dall’art. 1, commi 47 della Legge 28 giugno 2012, n. 92), che, perlomeno nella fase sommaria, risponde all’esigenza di garantire una tutela di urgenza al diritto al lavoro[14].

Per l’amministrazione dei procedimenti non sospesi, viene previsto (all’art. 83, comma 5) che possano essere adottati, anche nel periodo dal 9 marzo all’11 maggio, gli stessi provvedimenti la cui adozione è prevista in via generalizzata per il successivo periodo dal 12 maggio al 30 giugno 2020.

Il decreto-legge prevede anche che, sempre nel periodo dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020, siano sospesi i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione (ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) e nei procedimenti di negoziazione assistita (ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162), nonché in tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, quando questi procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscano condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Per concludere sul punto, appare opportuno porre in evidenza che le disposizioni sulla sospensione dei termini non hanno certamente come effetto quello di proibire il compimento di singole attività al soggetto del processo che ritenga opportuno farlo e sia in condizioni operative di farlo. Questa libertà di determinazione in capo agli operatori del diritto non si ritiene possa incidere sulla libertà degli addetti agli uffici giudiziari di operare da remoto posto che nel processo civile è ormai ben noto che il deposito degli atti endoprocessuali deve avvenire con modalità telematiche (previsione ora provvisoriamente estesa anche agli atti introduttivi, come si vedrà infra); in questa ottica, appaiono dunque decisamente criticabili i provvedimenti di singoli uffici giudiziari che introducono veri e propri divieti al deposito di atti, andando ben oltre le previsioni del decreto-legge[15].

[11] È noto il fatto che l’applicazione della previsione dell’art. 76, comma 4 del Testo Unico Spese di Giustizia, che prevede un criterio agevolato di determinazione del reddito ai fini dell’accesso al patrocinio a spese dello Stato “quando sono oggetto della causa diritti della personalità“, ha generato nel tempo significativi dubbi interpretativi.

[12] Il testo della Carta è quello solennemente proclamato a Nizza il 7 dicembre 2000 e riproclamato il 12 dicembre 2007, in vista della firma del Trattato di Lisbona, a Strasburgo dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione (GUUE 14 dicembre 2007, n. C 303). In virtù̀ dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, del Trattato sull’Unione europea, la Carta proclamata nel 2007 ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati (v. anche GUUE del 30 marzo 2010, n. C 83/403).

[13] La consulta affermò che il diritto al lavoro costituisce un fondamentale diritto di libertà della persona umana fin dalla sentenza Corte Cost. 9 giugno 1965, n. 45, principio più volte riaffermato, da ultimo con la sentenza Corte Cost. 8 novembre 2018, n. 194.

[14] Si veda sul punto F.M. Giorgi, Emergenza covid-19 e prime osservazioni in ordine agli effetti sulle controversie di lavoro, in giustiziacivile.com, n. 3/2020, in cui si osserva, con riferimento al “rito Fornero” che «sorprende che questo procedimento non sia stato inserito ex professo tra le eccezioni all’obbligo, nel primo periodo, ed alla facoltà, nel secondo periodo, di differimento delle udienze. Si consideri, infatti, che trattasi di un procedimento per sua natura finalizzato esattamente alla tutela, nel senso sopra riguardato, del diritto al lavoro».

[15] Si consideri, a titolo di esempio, l’ordinanza del Tribunale di Busto Arsizio del 22 marzo 2020, con la quale «si fa espresso divieto a partire da lunedì 23 marzo e fino al 15 aprile 2020 … di effettuare qualsiasi deposito di atto ed eccezione di quelli riguardanti i procedimenti non sospesi».

IV. Le misure rimesse ai capi degli uffici giudiziari

Per il successivo periodo compreso tra il 12 maggio e il 30 giugno 2020, il decreto-legge prevede che sia rimessa ai capi dei singoli uffici giudiziari l’adozione di provvedimenti idonei a contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 ed evitar assembramenti all’interno degli uffici giudiziari ed i contatti ravvicinati tra persone, enumerando un serie di possibili provvedimenti che potranno essere assunti da ciascun ufficio, serie che ricalca quella dei. Peraltro, come già detto, si prevede che i medesimi provvedimenti potranno essere assunti anche per il precedente periodo dal 9 marzo all’11 maggio 2020 in relazione ai procedimenti non sospesi.

L’adozione di questi provvedimenti richiede una procedura articolata: devono essere sentiti l’autorità sanitaria regionale (per il tramite del Presidente della Giunta Regionale) ed il Consiglio dell’ordine degli avvocati e devono essere assunti d’intesa con il Presidente della Corte d’appello e il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello dei rispettivi distretti; possano essere assunti d’intesa con le Regioni, con il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e con il Ministero della giustizia.

Anche il novero delle misure che possono essere adottate dai capi degli uffici giudiziari è vasto e comprende:

(i) la limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari, garantendo comunque l’accesso alle persone che debbono svolgervi attività urgenti;

(ii) la limitazione dell’orario di apertura al pubblico degli uffici, anche in deroga agli orari d’ufficio previsti dall’ordinamento di cancelleria (all’art. 162 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196) o anche la totale chiusura al pubblico degli uffici che non erogano servizi urgenti;

(iii) la regolamentazione dell’accesso ai servizi, previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando che la convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi, nonché l’adozione di ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento;

(iv) l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze;

(v) la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti[16];

(vi) la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali (fatte salve le medesime eccezioni già precedentemente richiamate);

(vii) lo svolgimento delle udienze che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di p>

Anche questo elenco determina non poche perplessità.

In via generale non pare condivisibile la scelta di rimettere ai singoli uffici giudiziari l’adozione di provvedimenti che possono incidere in modo così pesante sul diritto di difesa in giudizio e che possono condurre potenzialmente all’adozione di discipline disomogenee nei vari uffici giudiziari, suscettibile di dar luogo ad una babele di riti differenti[17].

Al riguardo, appare estremamente significativo il fatto che, nel prevedere la possibile adozione di questi provvedimenti da parte dei singoli uffici giudiziari, il legislatore abbia reputato necessario introdurre una disposizione (all’art. 83, comma 8 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18) ai sensi della quale è previsto che per il periodo di efficacia di eventuali provvedimenti che dovessero precludere la presentazione della domanda giudiziale resti sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza per i diritti che possono essere esercitati solo mediante presentazione della domanda giudiziale (mentre qualora l’interruzione della prescrizione o della decadenza possa avvenire in via stragiudiziale la sospensione non opera). Non si comprende, però, quali sarebbero le prescrizioni e decadenze che questa norma vuole evitare, posto che in linea di principio nessuno dei provvedimenti enumerati dalla norma dovrebbe portare ad una preclusione della presentazione di domande giudiziali (trattandosi di misure che hanno ad oggetto la gestione di procedimenti pendenti rispetto ai quali si immagina, al massimo, un differimento delle udienze)[18].

La lista delle misure che possono essere adottate dai capi degli uffici giudiziari ha come denominatore comune la volontà del legislatore di ridurre, quanto più possibile, le occasioni di accesso alle sedi degli uffici giudiziari: in ragione di ciò è contemplata la possibilità di sostituire le udienze tradizionali con le udienze mediante collegamenti da remoto (cosiddetta udienza in videoconferenza) o lo scambio e il deposito in telematico di p>udienza cartolare).

L’ipotesi della videoconferenza può rappresentare un accettabile compromesso fra diritto di difesa ed esigenze di tutela della salute pubblica tuttavia il decreto-legge si limita a prevedere tale possibilità senza dettare alcuna disciplina di dettaglio (fatta salva la previsione che rimette al Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia l’adozione di un provvedimento che individui quali siano i collegamenti da remoto utilizzabili)[19]. L’esigenza di prevedere una regolamentazione dello svolgimento delle udienze mediante collegamenti da remoto è evidentemente molto avvertita ed infatti il Consiglio Superiore della Magistratura ha prontamente adottato delle linee guida, con le quali invita i singoli uffici giudiziari a promuovere la stipula di protocolli con i Consigli dell’ordine degli avvocati locali, al fine di individuare modalità condivise di partecipazione da remoto di tutti i soggetti del processo[20].

Quanto alla cd. udienza cartolare, la stessa, da un lato, pone definitivamente nel nulla l’oralità, peraltro già allo stato ridotta a mito più che a realtà del processo civile; dall’altro lato si teme che possa aggravare ulteriormente la situazione, in termini di carico di lavoro, degli uffici giudiziari e ciò anche alla luce della “ben nota” capacità di sintesi degli avvocati.

Coerentemente con la volontà di ridurre al minimo gli accessi presso gli uffici giudiziari, un’ultima disposizione del decreto-legge prevede che, fino al 30 giugno 2020, siano depositati esclusivamente in modalità telematica tutti gli atti (art. 83, comma 11); viene dunque eliminata temporaneamente la possibilità di effettuare il deposito in forma cartacea degli atti introduttivi.

[16] Per le udienze da remoto la norma prevede che prima dell’udienza il giudice faccia comunicare ai procuratori delle parti giorno, ora e modalità di collegamento e che all’udienza dia atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Viene rimesso al Direzione per i sistemi informativi del ministero della Giustizia di individuare e regolati gli strumenti di collegamento da remoto utilizzabili ed in data 10 marzo 2020 (ancora nella vigenza del precedente decreto-legge) questi ha emanato un provvedimento con cui ha stabilito che «le udienze civili possono svolgersi mediante collegamenti da remoto organizzati dal giudice utilizzando i seguenti programmi attualmente adisposizione dell’Amministrazione e di cui alle Ministero della Giustizia: Skype for Business; Teams. I collegamenti effettuati con i due programmi su dispositivi dell’ufficio o personali utilizzano infrastrutture di quest’amministrazione o aree di data center riservate in via esclusiva al Ministero della Giustizia».

[17] Si veda, al riguardo, A. Stilo, Art. 83 d.l. n. 18 del 17 marzo 2020: criticità nella gestione delle udienze civili nella c.d. fase 2, in www.unicost.eu, 2020.

[18] A tale riguardo si vedano anche le condivisibili osservazioni svolte da A. Panzarola – M. Farina, L’emergenza coronavirus ed il processo civile. osservazioni a prima lettura, in giustiziacivile.com, n. 3/2020, che affermano: «complessa è, peraltro, la determinazione dei diritti (sostanziali) cui la norma si riferisce, i quali, stando al dettato normativo, sono esercitabili ‘esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti’ assunti dal capo dell’ufficio. L’avverbio utilizzato (‘esclusivamente’) lascia arguire che deve trattarsi di diritti relativamente ai quali gli effetti interruttivo della prescrizione e impeditivo della decadenza possono essere associati soltanto alla domanda giudiziale, essendo allo scopo irrilevanti eventuali atti stragiudiziali. Gli esempi in cui ciò si verifica non mancano nel nostro ordinamento, anche in tema di prescrizione (artt. 1495 co. 3, 1442, 1449 c.c.). Si pensi poi ai casi non infrequenti nei quali l’effetto di impedimento della decadenza sostanziale, non potendo essere prodotto da un atto stragiudiziale (viceversa sufficiente in altre fattispecie), presupponga una domanda giudiziale».

[19] Il provvedimento del Direttore Generale S.I.A. pubblicato in data 10 marzo 2020 sul Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia prevede, all’art. 2 che «le udienze civili possono svolgersi mediante collegamenti da remoto organizzati dal giudice utilizzando i seguenti programmi attualmente a disposizione dell’Amministrazione e di cui alle p>

[20] Consiglio Superiore della Magistratura, Pratica num. 186/VV/2020 – Linee guida agli Uffici Giudiziari in ordine all’emergenza COVID 19 integralmente sostitutive delle precedenti assunte, adottate nella seduta del 26 marzo 2020.

V. Conclusioni

Nel tentativo di addivenire a qualche considerazione di sintesi si ritiene importante ricordare come le misure di cui abbiamo dato atto in merito alla giustizia civile si inseriscano in un contesto sociale nell’ambito del quale una molteplicità di diritti e libertà individuali sono stati temporaneamente aboliti o quantomeno fortemente limitati e ciò in favore della necessità di tutelare il diritto alla salute. Precisato che la stessa Costituzione attribuisce al diritto alla salute una tutela rafforzata e che in ogni caso la dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio scorso già consentiva all’esecutivo di dettare norme non solo idonee a disciplinare la giustizia civile, ma anche a vincolare le libertà individuali, ciò che stupisce l’operatore del diritto è lo stato di impasse dal quale sembra originare la decretazione d’urgenza che, più che individuare regole di condotta, pone tematiche ermeneutiche non irrilevanti. Queste tematiche possono essere interessanti per il processualcivilista, ma in una situazione quale quella attuale sarebbe stato auspicabile avere qualche maggior certezza e si ritiene sommessamente che, a tal fine, sarebbe stato sufficiente un rinvio alla disciplina della sospensione feriale dei termini processuali, con qualche adeguamento dettato dalla necessità dalla quale la stessa esigenza di provvedere nasce. Certamente opportuno è invece l’esponenziale utilizzo potenziale non solo del deposito telematico, ma anche di quelle nuove tecnologie che consentono di eliminare virtualmente distanze p>

Ciò che si auspica ora è che la situazione di emergenza venga meno il più presto possibile consentendo così non solo il ripristino delle libertà individuali, ma anche il ritorno al giusto processo civile, cercando di fare tesoro di quanto si è appreso durante questo periodo e tentando anche in questo settore di realizzare il ben noto motto ex male bonum.

Redazione

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