A sua volta, l’art. 1, lett. f), del DPR n. 68 del 2005, definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come «un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati».
Il Cad
La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 -, poi, definisce «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico» come «il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico», mentre la lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 -, nel definire il «duplicato informatico» parla di «documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario».
Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”), come è avvenuto pacificamente in vari casi, dove il concessionario della riscossione ha provveduto ad inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici -, realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta (in tal senso, ultimamente, ordinanza n. 30948 della Corte di Cassazione – Quinta Sezione Civile -, depositata in cancelleria il 27 novembre 2019).
La notifica via Pec
Va esclusa, allora, la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico.
Inoltre, nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, sia poi sottoscritta con firma digitale.
Può soggiungersi, per completezza, che ai sensi dell’art. 22, comma 3, del CAD – come modificato dall’art. 66, comma 1, del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217 – «Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta».
Infine, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna in via telematica dell’atto ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. S.U. 28/09/2018, n. 23620; Cass. S.U. 18/04/2016, n. 7665).
E proprio con riferimento alla notifica di una cartella di pagamento, si è chiarito che la natura sostanziale e non processuale dell’atto non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché il rinvio operato dall’art. 26, comma 5, del d.p.r. n. 602 del 1973, all’art. 60 del d.p.r. n. 600 del 1973, il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c. (Cass. 05/03/2019, n. 6417).
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