Normativa di attuazione e modalità operative.
Il D.M. 26.04.2012 individua le regole operative per l’invio telematico delle comunicazioni delle Commissioni tributarie, limitatamente alle Commissioni tributarie provinciali e regionali site in Umbria e in Friuli Venezia Giulia.
Con i successivi D.M. 26.06.2012, 2.10.2012 e 29.11.2012, predette regole sono state estese alle segreterie delle restanti Commissioni tributarie d’Italia.
Modalità operative
La comunicazione elettronica avviene all’indirizzo PEC dichiarato dalla parte nel ricorso o nel primo atto difensivo.
L’indirizzo PEC dei professionisti deve corrispondere a quello comunicato ai propri ordini o collegi.
Nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, il ricorrente può indicare l’indirizzo di posta al quale vuole ricevere le comunicazioni.
In caso di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, ovvero nel caso di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante il deposito in segreteria della Commissione tributaria (art. 16 bis, commi 1 e 2 del Dlgs n. 546/1992), così come per le ipotesi di malfunzionamento della casella imputabili al destinatario (es: nel caso di casella satura, casella disabilitata per omesso pagamento ecc.).
Se, invece, a causa di un virus, o per altra ragione, la e-mail viene rispedita al mittente, la comunicazione verrà eseguita mediante le forme ordinarie (artt. 16 e 17 del Dlgs n. 546/92).
Ove l’indirizzo della casella pec risulti errato, le segreterie possono utilizzare gli elenchi di cui agli artt. 6, 7 e 8 del D.L. n.185/2008.
Dall’altra parte, se il difensore indicasse un indirizzo PEC diverso da quello comunicato dall’ordine, egli non potrebbe sollevare alcuna eccezione relativa alla mancata conoscenza dell’atto.
Variazione dell’indirizzo PEC
La variazione dell’indirizzo PEC ha efficacia dal decimo giorno successivo a quello in cui è notificata all’ufficio della segreteria del giudice tributario (art. 6 del D.M. n. 26.4.2012).
E’consentito, alla parte, comunicare alla segreteria la variazione d’indirizzo PEC, indicando i ricorsi interessati da tale variazione con i rispettivi numeri di registro generale.
Perfezionamento della comunicazione
La comunicazione per via telematica si intende perfezionata quando viene generata, da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario, la ricevuta di avvenuta consegna e produce gli effetti di cui agli artt. 45 e 48 del C.A.D. (art. 7, comma 1 del D.M. n. 26.4.2012).
Per il destinatario, la comunicazione ha rilievo nel momento in cui il documento informatico è reso disponibile nella casella di posta elettronica certificata da parte del suo gestore.
Omessa indicazione nel ricorso della casella PEC
L’introduzione dello strumento telematico per le comunicazioni comporta la necessità, prevista normativamente, come anzidetto, da parte del difensore d’indicare nell’atto introduttivo del giudizio la casella di posta elettronica certificata del difensore e delle parti; precisamente, tale indirizzo va indicato nel ricorso introduttivo o nel primo atto utile.
Qualora il difensore subentri successivamente nel processo, l’indirizzo PEC potrà essere indicato in ogni atto processuale successivo, compresa l’istanza di discussione in pubblica udienza.
L’omessa indicazione dell’indirizzo pec del difensore comporta la maggiorazione del contributo unificato della metà (art. 13, comma 3-bis del D.L. n. 98/2011).
Ebbene, è opportuno non sottovalutare tale dimenticanza, poiché l’ammontare del contributo unificato può arrivare, talvolta, sino a 1.500,00 euro per grado di giudizio e, pertanto, tale omissione avrebbe un costo non “irrilevante”.
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E’ valida la notifica via PEC quando raggiunge lo scopo
(Cass.ord. n.30372/2017; Cass.ord.n.15984/2017)
Principio di diritto (Cass. ordinanza n. 30372/2017; CTR Milano, n. 5082/2017)
Quasi nello stesso periodo temporale si sono pronunciate la CTR di Milano, con sentenza n. 5082/2017, e la giurisprudenza di legittimità con ordinanza n. 30372/2017, le quali hanno ammesso la validità della notifica del ricorso effettuata all’avvocato di controparte a mezzo PEC, pur in assenza di vigenza della modalità telematica nel rito di riferimento, basandosi, in via primaria, sul principio che se un atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato non ne può essere sancita la nullità.
Caso
Il contribuente solleva dinanzi alla CTR Lombardia l’eccezione di nullità da parte del contribuente della notifica inviata al proprio avvocato via PEC dall’AdE in una data (20 gennaio 2017) alla quale il Processo Tributario Telematico non era stato ancora attivato nella Regione Lombardia (l’attivazione è datata 15 aprile 2017).
La Commissione ha affermato, da un lato, che essendo il difensore un avvocato e, pertanto, obbligato a dotarsi di un indirizzo di posta certificata, la notifica non poteva considerarsi inesistente; dall’altra parte, essendosi costituita in giudizio la parte resistente, trovava applicazione il principio generale enunciato dall’art. 156 c.p.c. e dalla Suprema Corte (Cass. Civ. n. 7665/2016), secondo cui la nullità di un atto non può essere pronunciata se questo ha in concreto raggiunto il suo scopo.
La motivazione della sentenza
La Suprema Corte, con ordinanza n. 30372/2017, si è pronunciata sull’eccezione di nullità sollevata dal difensore del contribuente della notifica via PEC ricevuta nel 2016 da parte dell’Agenzia delle Entrate del controricorso in Cassazione, fondata sulla non ritualità della stessa con il mezzo telematico alla data della sua effettuazione.
Con predetta ordinanza il Supremo Consesso ha respinto la pretesa, fondandosi su due suoi precedenti giurisprudenziali (Cass. Civ., n. 20307/2016 e Cass. Civ., n. 15984/2017), secondo la quale tale tipo di notificazione è consentita sia dalla normativa secondaria e dai relativi provvedimenti attuativi, sia dando applicazione al principio di diritto secondo il quale “L’irritualità della notificazione di un atto (nella specie, controricorso in cassazione) a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale”.
Tanto la giurisprudenza di merito quanto quella di legittimità hanno, quindi, precisato che, pur rilevando la specialità del rito tributario e delle norme per esso fissate in merito alla applicabilità dell’utilizzo delle modalità telematiche, quando la notifica ha raggiunto lo scopo di mettere il destinatario nella possibilità concreta di piena conoscenza dell’atto trasmesso e, conseguentemente, di difendersi con pienezza presentando le proprie controdeduzioni, deve trovare applicazione il generale principio di diritto sancito dall’art. 156 c.p.c.; non a caso, in ambedue le sentenze commentate si fa esplicito rinvio al precedente in tal senso contenuto nella sentenza Cass. Civ., n. 7665/2016 in tema di vizi di notifica a mezzo PEC.
Osservazioni
Va operata una distinzione tra le due decisioni: la CTR ha ritenuto che nel rito tributario la notifica del ricorso in esame con posta certificata effettuata prima della entrata in vigore del PTT potesse essere ammessa anche perché avvenuta dopo l’emanazione del D.M. 4 agosto 2015 delle regole tecnico-operative del medesimo e il documento informatico notificato rispettava le regole di formazione stabilite dal richiamato decreto; la Corte di Cassazione, dall’altra parte, ha precisato che l’eccezione di nullità sollevata dalla parte afferiva la normativa riguardante le notifiche telematiche nel processo tributario speciale, che non risulta applicabile al processo avanti la Suprema Corte se non in via “integrativa”, non sussistendo un rito di legittimità “differenziato” per le liti tributarie (in tal senso Cass. Civ., SS.UU., n. 8053/2014 e Cass. Civ., n. 14916/2016).
Riguardo entrambe le sentenze va precisato che ambedue si limitano a dare validità alla notifica dell’atto tributario, ma non contraddicono altre sentenze, applicative del Regolamento D.M. 23 dicembre 2013, n. 163, nelle quali viene stabilito che il processo tributario possa instaurarsi con le modalità telematiche solo per i ricorsi notificati dopo la data di entrata in vigore del PTT stabilita con gli specifici D.M., primo dei quali il richiamato D.M. 4 agosto 2015; rimane, inoltre, da considerare il principio applicato nell’ordinanza in commento confrontato con quello di Cass. Civ., n. 19741/2016, che stabiliva l’inesistenza di una notifica di atto processuale effettuata a mezzo PEC in assenza di vigenza del PTT.
Principio di diritto (Cass. Civ., sez.VI, Ordinanza 27 giugno 2017, n. 15984)
In maniera analoga si è pronunciata la Suprema Corte, ritenendo valida la notifica pec dell’atto processuale allegato in formato”doc” e non “pdf”.
Infatti, secondo una recente sentenza della Cassazione la notifica è ugualmente valida in quanto la stessa ha raggiunto il proprio scopo giungendo al destinatario.
In particolare, la Corte sottolinea che l’irritualità della notifica di un atto (nella specie un controricorso in cassazione) a mezzo PEC, non ne comporta la nullità se la consegna telematica con estensione “.doc”, anziché in formato “.pdf”, ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto (Cass.S.U, n. 7665 del 18/04/2016;vedi anche Cass.SU, n. 11383 del 31/05/2016), “…essendosi tale “scopo” senz’altro raggiunto nel caso di specie, posto che la resistente controricorrente si e’ ampiamente difesa con il controricorso” In buona sostanza, la notifica dell’atto in formato .doc è valida.
Precisamente, nel caso di specie, l’atto processuale, notificato con Posta Elettronica Certificata, avente come file un’estensione .doc – ossia il documento originale redatto con il programma Office Word, prima della conversione in formato pdf – ha raggiunto lo scopo di mettere a conoscenza la controparte del relativo contenuto quando la controparte si costituisce. La costituzione in giudizio dimostra, appunto, che il file – sebbene in formato .doc – è stato “aperto” e , pertanto, non vi è stata alcuna lesione del diritto di difesa.
La notifica via PEC non può essere effettuata se il processo telematico non è stato attivato
Cass.n.18321/ 2017)
Principio di diritto
Le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata, nel contenzioso fiscale, sono consentite solo laddove è operativa la disciplina del “processo tributario telematico”.
Il Supremo Consesso ha precisato che, in mancanza di predetto presupposto, la notifica elettronica non è conforme ad alcun modello legale e deve ritenersi giuridicamente inesistente e, come tale, non suscettibile di sanatoria.
Caso
L’8 gennaio 2013 un contribuente proponeva ricorso a mezzo PEC contro un avviso di accertamento per tributi vari, relativo al 2007.
La Commissione tributaria provinciale dichiarava inammissibile il ricorso, con sentenza confermata dal Collegio tributario regionale della Campania.
La CTR ribadiva la pronuncia del giudice di prime cure osservando, in particolare, che l’utilizzo della PEC, per la notifica dell’originaria impugnazione, effettuata dal procuratore della parte privata ai sensi della legge 53/1994, non era all’epoca consentita e, realizzando una tipologia procedimentale difforme dal modello legale, doveva considerarsi giuridicamente inesistente.
L’interessato ricorreva in sede di legittimità, censurando la pronuncia della CTR per avere ritenuto
inutilizzabile per la notifica del ricorso introduttivo lo strumento telematico, modalità che, secondo il contribuente, doveva invece ritenersi equiparata alla notificazione eseguita a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’articolo 16 del Dlgs n. 546/1992; inoltre, affermava l’erroneità della declaratoria d’inesistenza poiché, al più, il giudice avrebbe dovuto dichiarare la nullità della notifica, sanabile attraverso la rinnovazione o per raggiungimento dello scopo.
L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
La motivazione della sentenza
La Corte ha respinto il ricorso con la sentenza n. 18321del 25 luglio 2017, la cui motivazione si basa sul principio di diritto espresso dalla stessa con ordinanza n. 17941/2016 ove, con riferimento alla fattispecie di notifica di una sentenza tributaria a mezzo PEC, risalente al dicembre 2014, il Supremo Consesso aveva concluso che, nel contenzioso fiscale, la notifica digitale effettuata dal difensore del contribuente all’amministrazione finanziaria “è inesistente e insuscettibile di sanatoria, per cui non è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, atteso che, ai sensi dell’art. 16 bis, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992[…] le notifiche tramite PEC degli atti del processo tributario sono previste in via sperimentale solo a decorrere dal 1° dicembre 2015 ed esclusivamente dinanzi alle Commissioni tributarie della Toscana e dell’Umbria …”.
Nella pronuncia in esame, la Suprema Corte sottolinea che la modalità di notificazione telematica, prevista dalla legge 53/1994 soltanto per gli “atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”, all’epoca dei fatti di cui è causa, non poteva ritenersi ammessa in materia tributaria perché non espressamente disciplinata da specifiche disposizioni, dovendo invece considerarsi vigente ratione temporis l’originaria previsione dell’articolo 16 del DPR 68/2005, per la quale “le disposizioni di cui al presente regolamento non si applicano all’uso degli strumenti informatici o telematici nel processo tributano”.
Ciò posto, ne consegue che nella fattispecie non può neppure affermarsi l’equivalenza della trasmissione del documento informatico per via telematica alla notificazione per mezzo della posta, che è stabilita dall’articolo 48, comma 2, Dlgs n. 82/2005 (Cad, Codice dell’Amministrazione Digitale) soltanto “salvo che la legge disponga altrimenti”.
La norma di riferimento, chiariscono i giudici di legittimità, è l’articolo 16-bis del Dlgs n. 546/1992 – come introdotto dall’articolo 9, comma 1, lettera h), Dlgs 156/2015 – che, al comma 3, prevede che “le notificazioni tra le parti e i depositi presso la competente Commissione tributaria possono avvenire in via telematica secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163 e dei relativi decreti di attuazione”.
Nello specifico, l’articolo 3, comma 3, del D.M n. 163/2013, ha demandato a successivi decreti ministeriali l’individuazione delle regole tecnico operative volte alla disciplina dell’uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario (regole poi introdotte con il D.M 4 agosto 2015).
In conclusione, precisa la Suprema Corte, le notifiche a mezzo PEC nel processo tributario “sono
consentite solo laddove è operativa la disciplina del c.d. processo tributario telematico” perché,
in mancanza, la notificazione elettronica non è conforme ad alcun modello legale “e pertanto
deve ritenersi giuridicamente inesistente, in quanto tale non sanabile”.
Osservazioni
Nell’ambito del processo di digitalizzazione della giustizia, a partire dal 1° dicembre 2015, è stata avviata, dapprima presso le Commissioni Tributarie della Toscana e dell’Umbria e poi, progressivamente, su tutto il territorio nazionale, la fase di sperimentazione del Processo tributario telematico (Ptt).
Dal 15 luglio 2017, con l’estensione delle procedure informatiche del contenzioso alle Commissioni tributarie presenti nelle regioni Marche e Valle d’Aosta e nelle province autonome di Trento e Bolzano, il Ptt è attivo in tutto il Paese.
In diverse occasioni, la Cassazione ha chiarito che la notificazione della sentenza tributaria eseguita via PEC è idonea a determinare la decorrenza del termine breve per l’eventuale successiva impugnazione soltanto nelle realtà territoriali in cui è attivo, ancorché in via soltanto sperimentale, il Ptt; ciò, in quanto “le notifiche a mezzo posta elettronica certificata nel processo tributario sono consentite laddove è operativa la disciplina del c.d. processo tributario telematico” (Cassazione, 17941/2016 e 4066/2017).
Di conseguenza, laddove il contenzioso on line non fosse ancora stato attivato, l’eventuale notificazione via PEC della sentenza non sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all’articolo 38, comma 2, del Dlgs 546/1992, e non sarebbe pertanto idonea a comportare la decorrenza del termine breve d’impugnazione.
L’ordinanza esaminata, in coerenza con la regola già codificata nelle due pronunce sopra richiamate, estende dunque il medesimo principio anche all’ipotesi di notificazione del ricorso introduttivo del giudizio.
In definitiva, per il passato, lo scrutinio di validità delle notificazioni di atti del processo tributario eseguite a mezzo PEC dovrà necessariamente tener conto degli enunciati principi interpretativi che, confermati più volte dalla Corte, sembrano assumere i connotati di giurisprudenza consolidata.
La notifica via PEC è valida anche se la relata è priva di firma digitale
(Cass. ord. n. 3805/2018)
Principio di diritto
La Suprema Corte, con l’ordinanza n.3805/2018, ha affermato, in tema di notificazione del ricorso per Cassazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), che la carenza di sottoscrizione digitale del ricorso e la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato notificante non sono causa d’inesistenza dell’atto. In tal modo si è espressa la Corte di Cassazione in merito all’eccezione di inammissibilità del ricorso per Cassazione proposta dal controricorrente per carenza della prescritta sottoscrizione digitale del ricorso e della relata di notifica. A sostegno della propria tesi, la giurisprudenza di legittimità ha richiamato il principio delle SS.UU. (sentenza n. 7665/2016), sancito in via generale dall’articolo 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
Caso
A seguito di ricorso per Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, notificato tramite PEC ai sensi della L. 53/94, nel costituirsi in giudizio il controricorrente chiede, preliminarmente, che la Suprema Corte accolga l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in quanto il citato atto e la relata di notifica sarebbero carenti della prescritta sottoscrizione digitale.
La motivazione della sentenza
Il Supremo Consesso, prima di pronunciarsi sulla predetta eccezione d’inammissibilità, ha effettuato una dettagliata ricostruzione della normativa applicabile alle notifiche degli avvocati tramite PEC; il collegio, a tal proposito, ha affermato che “in particolare la L. n. 53 del 1994, nel disciplinare le modalità di notifica tramite PEC, rimanda all’art. 19 bis cit. (Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati – art. 18 del regolamento), emanate in attuazione del codice dell’amministrazione digitale, che al comma 1, e al comma 2, prevede solo che l’atto sia in formato PDF; ciò anche nell’ipotesi di notifica tramite PEC da eseguirsi in un procedimento dinanzi alla Corte di cassazione.”
Precisamente, la L. n. 53/94 non prevede solo che l’atto (oggetto della notifica) sia in formato PDF in quanto, così come si evince dall’art. 3 bis comma 1 della citata norma, la notifica con modalità telematica deve eseguirsi “nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.”; da ciò si evince che, quanto alle notifiche da effettuarsi in procedimenti dinanzi il Tribunale o la Corte d’Appello, il notificante non possa non osservare anche quanto previsto dalle regole e specifiche tecniche del PCT (DM 44/11 e specifiche 16 aprile 2014, da ultimo modificate il 7 gennaio 2016) e,quindi, debba attenersi a quanto disposto sia dall’art. 19 bis comma 1 sia dall’articolo 12 lettera d) il quale prevede che l’atto debba essere sottoscritto con firma digitale (CAdES o PAdES), così come disposto dal successivo comma 2.
Invece, nei casi in cui l’atto da notificarsi sia relativo ad un procedimento del Giudice di Pace o della Corte di Cassazione (posto che, ad oggi, dinanzi a tali Uffici non è stato attivato il processo telematico) sarebbe applicabile l’art. 19 bis comma 2 ,il quale consente, nei casi in cui l’atto non debba essere depositato in cancelleria telematicamente, che quest’ultimo possa essere allegato alla PEC anche sotto forma di copia informatica, anche per immagine, in formato PDF; in predette ipotesi, pertanto,l’atto del processo verrebbe stampato, sottoscritto nella modalità tradizionale, scansionato e allegato alla PEC, senza sottoscrizione digitale ma con attestazione di conformità nella relata di notifica (anch’essa da allegare alla PEC) effettuata ai sensi del combinato disposto dell’art. 3 bis L. 53/94 e art. 16 undecies comma 3 DL 179/12.
La giurisprudenza di legittimità, dopo aver chiarito la normativa di riferimento per il caso de quo, ha affrontato la questione relativa all’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sottolineando con fermezza che il ricorrente ha dato la prova della notifica tramite PEC del ricorso per cassazione, depositando “… l’attestazione di conformità – del ricorso, delle relazioni di notifica e di tutta la documentazione – all’originale informatico dell’atto, sottoscritto con firma digitale e notificato come allegato ai messaggi di posta elettronica certificata, ai sensi della L. n. 53 del 1994, artt. 6 e 9, e del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23.”. Questo significa che, come previsto dall’art. 9 comma 1 bis della L. 53/94, il ricorrente ha depositato la stampa della ricevuta di accettazione, della ricevuta di consegna, di tutti gli allegati attestando, infine, ai sensi dell’art. 23 comma 2 CAD, la conformità delle copie analogiche agli originali (duplicati) informatici da cui sono tratte.
Il Supremo Consesso continua mettendo in evidenza che “non è quindi esatto quanto afferma il controricorrente, sia con riferimento alla mancanza della firma digitale nel ricorso notificato via PEC, data la presenza di attestato di conformità all’originale informatico, sia circa la successiva modificabilità del documento sottoscritto con firma digitale PAdES (PDF Advanced Electronic Signatures), poichè questa può essere verificata aprendo il file con l’idoneo programma (Acrobat Reader) opportunamente impostato, che non consente di inficiare la validità del documento firmato originariamente.”.
Con riferimento alla seconda doglianza del ricorrente relativa alla mancata sottoscrizione digitale della relata di notifica, la Corte richiamata la precedente pronuncia n.6518/2017 affermando che, “in tema di notificazione del ricorso per cassazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), la mancanza, nella relata, della firma digitale dell’avvocato notificante non è causa d’inesistenza dell’atto, potendo la stessa essere riscontrata attraverso altri elementi di individuazione dell’esecutore della notifica, come la riconducibilità della persona del difensore menzionato nella relata alla persona munita di procura speciale per la proposizione del ricorso, essendosi comunque raggiunti la conoscenza dell’atto e, dunque, lo scopo legale della notifica”.
In conclusione, per i motivi innanzi esposti, la Corte di Cassazione ha rigettato l’eccezione preliminare volta a far dichiarare inammissibile il ricorso.
Il Collegio, da ultimo, chiosa richiamando quanto deciso a Sezioni Unite con la sentenza n. 7665 del 18 aprile 2016, la quale ha stabilito che anche alle notifiche PEC deve applicarsi il principio disposto dall’art. 156 c.p.c., secondo il quale la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato “… statuendo altresì, riguardo alla modalità con la quale l’eccezione di nullità viene sollevata, l’inammissibilità dell’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte”.
Rimessa alla Consulta la questione di legittimità costituzionale relativa alla notifica via PEC dopo le 21 (Corte d’Appello Milano, ordinanza del 16 ottobre 2017).
Questione di legittimità
La Corte d’Appello di Milano, con l’ordinanza del 16 ottobre 2017, ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 24 e 11 Cost., della norma secondo la quale «la disposizione dell’art. 147 c.p.c. si applichi anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.
Caso di specie e motivi della rimessione
Con ordinanza del 16 ottobre 2017 la Corte di Appello di Milano ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. n. 179/2012, conv. in L. n. 221/2012, nella parte in cui prevede che “la disposizione dell’art. 147 c.p.c. si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.
Secondo i giudici milanesi tale norma, introdotta dall’art. 45 bis della L. 114/2014, contrasta:
– con l’art. 3 cost. trattando in modo eguale situazioni differenti: il legislatore, infatti, ha equiparato il domicilio fisico al domicilio digitale, trattandoli, quindi, con la medesima disciplina, pur non essendo situazioni analoghe. Infatti, secondo la Corte, differenti sono le esigenze di tutela del domicilio sottese alla notifica tradizionale rispetto alla notifica a mezzo PEC;
– con gli artt. 24 e 111 cost., violando il diritto del notificante di difendersi sfruttando per intero il limite giornaliero che gli viene riconosciuto dalla legge.
Una soluzione prospettata dalla Corte, al fine di procedere con un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 16-septies, in combinato disposto con l’art. 147 c.p.c. e con il principio di scissione degli effetti della notifica, potrebbe essere quella di prevedere che il termine per la notifica sia valido per il notificante fino a mezzanotte, ma decorra per il notificato solo dalle ore 7 del giorno successivo, in modo da tutelare il diritto di difesa della parte e contestualmente tutelare l’interesse alla vita privata di colui che deve ricevere la notifica.
Ciò posto, trattandosi di una questione che di fatto comporterebbe un’abrogazione della norma in esame, la Corte si rimette alle valutazioni della Corte Costituzionale.
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