I soggetti esclusi da questa normativa sono espressamente individuati dal legislatore nell’art.12 del codice della crisi e dell’insolvenza. Tra questi soggetti ricordiamo le società quotate, le banche, le assicurazioni.
La solvibilità e la continuità aziendale saranno garantite attraverso flussi di cassa prospettici sufficienti per far fronte, con regolarità, alle obbligazioni pianificate.
L’imprenditore sia individuale che collettivo, ai sensi dell’art. 2086 c,c, “ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuita’ aziendale….”.
Gli amministratori a loro volta «….rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio sociale” (art. 2476 c.c.).
Infine, gli organi di controllo e di revisione “ …ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa e’ adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale e’ il prevedibile andamento della gestione, nonche’ di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi”.
La crisi d’impresa
Il legislatore all’art. 2 del D.lgs. n.14/2019 definisce la crisi di impresa come “Lo stato di difficolta’ economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Sempre all’art. 2 del codice della crisi e dell’insolvenza il legislatore definisce lo stato di insolvenza come “Lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non e’ piu’ in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
L’organo gestorio e gli organi di controllo devono accertare, attraverso degli appositi indici, l’eventuale stato di crisi. Ai sensi dell’art. 13 del codice della crisi e dell’insolvenza “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attivita’ imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attivita’, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilita’ dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuita’ aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione e’ inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilita’ degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa e’ in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresi’ indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”.
Il CNDCEC, ai sensi dell’art. 13, è stato delegato dal legislatore di individuare questi indici entro i 18 mesi successivi dalla data di pubblicazione del D.lgs. n.14/2019 in Gazzetta Ufficiale avvenuta in data 14.02.2019. Il CNDCEC andrà ad elaborare questi indici tenendo in considerazione la migliore prassi nazionale ed internazionale.
Il Consiglio Nazionale ha quindi istituito, tramite la propria area di delega, un gruppo di lavoro che in data 20 ottobre 2019 ha prodotto un documento che riporta il set di indicatori che l’imprenditore e gli organi sociali dovranno tenere a mente al fine di monitorare l’andamento aziendale ed individuare l’esistenza di fondati indizi di crisi. Quest’ultimi, a loro volta, come da espressa previsione dell’art. 2 lett. a), attengono alla manifestazione dell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, indizi dai quali scaturiscono gli obblighi segnaletici di cui all’art. 14.
L’impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati dal CNDCEC ne specifica le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio indicando, nella medesima nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. Un professionista indipendente attesta l’adeguatezza di tali indici in rapporto alla specificita’ dell’impresa. L’attestazione e’ allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituisce parte integrante.
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Gli indici
La necessità, quindi, da parte degli organi sociali di monitorare nel tempo e comunque almeno trimestralmente (art.24), attraverso degli indici di bilancio, l’andamento patrimoniale, reddituale e finanziario della società potrebbe aprire le porte alla nascita di una nuova figura professionale che attesti l’esistenza dell’equilibrio economico-finanziario. Questi indici, poi, saranno verbalizzati dagli organi sociali divenendo parte integrante di una ordinata contabilità.
L’organo amministrativo e l’organo di controllo o di revisione dovranno, sempre con cadenza trimestrale e al fine di espletare i doveri della propria funzione, verificare e verbalizzare, oltre a quanto detto sopra, lo scostamento tra l’andamento economico e finanziario preventivato con quello a consuntivo e monitorare, conseguentemente, l’esistenza di fattori capaci anche potenzialmente di compromettere le aspettative reddituali e monetarie portate a budget.
A tal fine, risulterà di grande utilità monitorare, tra gli altri indicatori: (i) l’andamento delle vendite; (ii) l’andamento del mercato di riferimento sia a livello locale, nazionale ed internazionale; (iii) l’andamento della concorrenza; (iv) l’andamento dei livelli occupazionali e della rotazione di figure apicali; (v) l’introduzione e/o modifiche della normativa di settore; (vi) le innovazioni tecnologiche; (vii) la sicurezza dei luoghi di lavoro; (viii) i contenziosi in essere; (ix) la Centrale Rischi di Banca d’Italia; (x) SIC (Sistemi di Informazione Creditizia – gestiti da privati come ad esempio Cerved Group).
Costituiscono strumenti di allerta sia l’obbligo di segnalazione che quello di organizzazione. L’obbligo di organizzazione è posto a carico dell’imprenditore (art.2086 c.c.) mentre quello di segnalazione è posto a carico dell’organo di controllo/revisione (art.14) che in testa ai cosiddetti soggetti qualificati quali: l’Agenzia delle Entrate, l’Agente di Riscossione e l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (art.15).
L’obbligo di segnalazione, quindi, può essere interno o esterno.
L’obbligo di segnalazione interna ha un ruolo ben diverso da quello esterno. Infatti, mentre il primo ha la funzione di stimolare e responsabilizzare l’organo gestorio di monitorare proattivamente l’andamento patrimoniale, reddituale e finanziario del business al fine di salvaguardare la solvibilità e la continuità aziendale nel breve e nel medio e lungo termine.
L’obbligo di segnalazione esterna ha più la funzione di denunciare l’esistenza di una situazione di insolvenza individuata dal superamento di certi livelli di indebitamento quantitativo e qualitativo (art.15) al fine di portare il soggetto ad adottare, senza indugio, e per il tramite dell’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa), la soluzione migliore tra quelle messe a disposizione del legislatore: “Quando il collegio rileva l’esistenza della crisi, individua con il debitore le possibili misure per porvi rimedio e fissa il termine entro il quale il debitore deve riferire sulla loro attuazione” (art.18 n.4).
Ai sensi dell’art. 13 gli squilibri di carattere patrimoniale, reddituale e finanziario vengono rilevati attraverso indici capaci di mettere in evidenzia la capacità da parte della società di sostenere l’indebitamento e di preservare la continuità aziendale. A questi fini rappresentano indici significativi: (i) quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento; (ii) l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi; (iii) il ritardo reiterato e significativo nei pagamenti.
Il legislatore parla di oneri dell’indebitamento. Sul piano letterale ci si potrebbe domandare, quindi, se per onere si debba intendere solo gli interessi e le commissioni legate all’indebitamento o viceversa si debba ricomprendere nella parola “onere” anche il rimborso del capitale. Protendiamo, sicuramente, per la posizione che impone in testa all’imprenditore di preoccuparsi di monitorare entrambi gli aspetti. Infatti, l’imprenditore, al fine di dimostrare la sua solvibilità e l’esistenza dei presupposti di continuità aziendale deve verificare l’esistenza di flussi di cassa capienti al fine di fronteggiare sia il rimborso del capitale preso a prestito che il pagamento degli interessi e commissioni collegate allo stesso.
Alla luce del quadro normativo succintamente delineato nelle righe precedenti risulta chiaro come l’analisi finanziaria rivestirà un ruolo decisivo nella fase di implementazione del business, nella fase di svolgimento del business e nella fase di risoluzione dello stato di crisi e di insolvenza.
L’analisi finanziaria diventerà, per le piccole e medie imprese, parte integrante della reportistica societaria e una nuova e obbligatoria competenza da acquisire per l’imprenditore e gli organi sociali.
Per prevenire ed attuare senza indugio le misure più idonee per la risoluzione dello stato di crisi e della successiva eventuale insolvenza, l’imprenditore dovrà dotarsi di una organizzazione (organo di amministrazione e consulenti contabili e legali) capace di tenere una contabilità ordinata e aggiornata e di produrre una reportistica societaria pronta a consegnare informazioni qualitative e quantitative al fine di adempiere ai nuovi obblighi imposti dal legislatore del codice della crisi e dell’insolvenza. L’organizzazione, quindi, dovrà utilizzare strumenti e indicatori quali: (i) il rendiconto finanziario; (ii) la posizione finanziaria netta; (iii) il budget e in particolar modo quello di tesoreria; (iv) il business plan; (v) gli indici di bilancio elaborati dalla miglior dottrina aziendalista e finanziaria. Questi indici/indicatori e strumenti permetteranno di: (i) avere un idea anticipata del prossimo futuro (almeno 6 mesi); (ii) rilevare le variazioni tra quanto preventivato e il consuntivo; (iii) porre rimedio alle cause dello scostamento.
L’accertamento dei livelli di solvibilità e dell’esistenza dei presupposti di continuità aziendale presuppongono di calcolare oggi i flussi di cassa del prossimo futuro al fine di accertare l’esistenza del necessario equilibrio economico finanziario per adempiere con regolarità alle obbligazioni pianificate. Il legislatore parla di un equilibro economico e finanziario. I due aspetti sono inseparabili. L’equilibro finanziario presuppone quello economico e quello economico non esisterebbe senza quello finanziario. Quando questi due aspetti ovvero quello economico e finanziario si allontanano e il divario non si riassorbe la situazione potrebbe sfociare in un bilancio con poste di bilancio annacquate e conseguentemente lesive del legittimo affidamento dei terzi.
L’imprenditore, ai sensi dell’art. 2423bis n.1 c.c., deve muoversi con prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale e questa potrà essere salvaguardata solo sul presupposto dell’esistenza di un “equilibrio economico di qualità”. Ovvero, di un equilibrio economico che si trasformerà, entro un tempo ritenuto economicamente ragionevole, in un relativo flusso di cassa.
Infatti, se il reddito sarà determinato in ossequio alla clausola generale di redazione del bilancio (art. 2423 comma 2) e quindi secondo i principi di redazione e i criteri di valutazione dettati dal legislatore civilistico questo non potrà che trasformarsi anche in un flusso di cassa.
In altre parole, la continuità aziendale richiede l’esistenza di un equilibrio economico di qualità che necessariamente si manifesterà in un corrispondente flusso di cassa. L’equilibrio finanziario, a sua volta, non deve essere confuso con la solvibilità soprattutto se intesa di breve termine. Un imprenditore, quindi, potrebbe essere solvibile ma non in equilibrio finanziario. Potrebbe, in altre parole, riuscire a fronteggiare il suo indebitamento di breve, magari, disinvestendo parte delle attività patrimoniali o ricorrendo ad apporti di capitale di rischio ma questo non coinciderà con l’esistenza di un equilibrio finanziario a valere nel tempo che presuppone solo l’esistenza di un equilibrio economico anch’esso a valere nel tempo, che si realizza quando il valore della produzione supera il costo della stessa.
Il legislatore parla di flussi di cassa prospettici senza specificare se trattasi di quelli operativi o di flussi di cassa in generale che comprendono anche gli apporti di capitale di credito e di rischio o le liquidità derivanti da disinvestimenti in immobilizzazioni e da attività finanziarie non immobilizzate. E’ pacifico che la continuità aziendale non possa essere sostenuta nel medio e lungo periodo dai soli apporti di capitale di rischio e di credito e da operazioni di disinvestimento.
Ai sensi dell’art. 2247 del codice civile l’imprenditore svolge un attività economica sul presupposto di ottenere e dividersi gli utili. Questo presuppone che i capitali investiti sia di rischio che di credito producano un utilità maggiore del costo sostenuto per reperirli. Tale utilità non può che derivare da una redditività positiva della gestione caratteristica.
In conclusione, se è vero che le obbligazioni pianificate possono essere fronteggiate con qualunque tipologia di risorsa economica e finanziaria a disposizione dell’imprenditore è anche pur vero che la continuità aziendale potrà essere sostenuta nel medio e lungo termine solo con i flussi di cassa operativi/reddituali derivanti dalla gestione caratteristica del business.
Coerentemente a quanto appena affermato il legislatore definisce la “crisi” come “lo stato di difficolta’ economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (art.2).
Nell’art. 13, invece, troviamo che la solvibilità e la continuità aziendale devono essere salvaguardate anche attraverso un equilibrio di natura patrimoniale: “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi”.
Qualcuno, quindi, potrebbe cadere nell’erroneo pensiero che il legislatore nel definire il concetto di crisi (art.2) si sia dimenticato del termine patrimoniale. Invece, il legislatore, ha fatto il seguente ragionamento.
La solvibilità e la continuità aziendale a 12 mesi devono essere sostenute sia con il patrimonio aziendale che con il risultato di periodo mentre la solvibilità e la continuità aziendale nel medio e lungo termine saranno sostenute solo grazie ad un equilibrio economico e finanziario a valere nel tempo.
Infatti, se la società procedesse ad attingere alle proprie risorse derivanti da eventi del passato per fronteggiare le obbligazioni attuali ben presto queste si esaurirebbero portando alla chiusura dell’attività. In altri termini, in una situazione virtuosa le obbligazioni contratte devono essere fronteggiate solo grazie ad un equilibro economico e finanziario che deriva dalla gestione operativa corrente del business.
Questo non significa che non si possa attingere al patrimonio aziendale per far fronte alle obbligazioni contratte ma di certo questo comportamento deve essere supportato dalla ragionevole aspettativa di una redditività operativa futura. Diversamente, l’imprenditore si muoverebbe su un piano di anti economicità peraltro non scusabile se reiterata e quindi perseguibile anche in sede civile e penale.
In conclusione, per il legislatore l’imprenditore deve pagare i propri debiti con tutte le risorse a sua disposizione e nel contempo gli ricorda che si trova in uno stato di crisi se non esiste un equilibrio economico finanziario derivante dall’area caratteristica del business. Non per altro, il legislatore all’art. 2 quando definisce il concetto di crisi, parla di flussi di cassa prospettici i quali nulla hanno a che vedere con il patrimonio aziendale.
In grande sintesi e riepilogando, il monitoraggio dell’esistenza dell’equilibrio economico-finanziario richiamato dal legislatore, nell’art.2 del codice, passa dalla predisposizione di un budget di tesoreria al fine di verificare il livello di solvibilità dei prossimi 6 mesi e dall’esistenza di un Ebit positivo normalizzato (Adjusted) per la verifica dei presupposti di continuità aziendale dei prossimi 12 mesi.
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