Svolgimento della vicenda processuale
Con atto notificato in data 13 febbraio 2009, la signora M.D.A.E. intima alla M. S.r.l. lo sfratto per morosità in relazione a due immobili concessi in locazione ad uso commerciale con contratto sottoscritto in data 20 ottobre 2008 e registrato in data 4 novembre 2008. L’attrice lamentava il mancato pagamento del canone pari a Euro 5.500 risultante da un atto integrativo del contratto di locazione registrato in data 22 gennaio 2009, avendo ricevuto dal conduttore la minor somma di Euro 1200. Il contratto di locazione prevedeva un accordo integrativo in cui sarebbero stati indicati come dovuti due diversi canoni maggiorati rispetto a quello di Euro 1200. Il primo, pari a Euro 5500, avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso in cui una o entrambe le parti avessero proceduto alla registrazione dell’atto integrativo (adempimento assolto in data 22 gennaio 2009). Il secondo, di Euro 3500, sarebbe stato corrisposto dal conduttore in caso di omessa registrazione del medesimo accordo. Dal momento che l’accordo integrativo, contenente il maggior canone di Euro 5500, era stato registrato, la signora M.D.A.E. chiedeva alla società la differenza tra l’importo versato, pari a Euro 1200, e quello effettivamente dovuto, pari a Euro 5500.
In primo grado il Tribunale di Catanzaro dichiarava illegittimo l’accordo integrativo nella parte in cui prevedeva un aumento automatico del canone, maggiorato fino a Euro 5500, fissando, quindi, l’importo mensile dovuto a Euro 1200.
In secondo grado la Corte d’Appello di Catanzaro riqualificava la clausola contrattuale contenente il maggior canone mensile, non in termini di aumento automatico del canone, ma quale determinazione reale ed effettiva del canone di locazione e condannava, quindi, la società al pagamento delle differenze dovute tra il canone corrisposto e quello dovuto, pari a Euro 5500. Dopo aver escluso l´applicazione dell´art. 13 comma 1 della L. 431/1998 alla fattispecie in esame, dal momento che il giudizio non verteva su un contratto di locazione ad uso abitativo, la Corte osservava che i due patti contenenti i diversi canoni non avrebbero potuto considerarsi che come un unico atto.
La M. S.r.l. proponeva ricorso per Cassazione. Per quel che qui interessa, la società deduceva la nullità delle pattuizioni di cui all’accordo integrativo alla luce dei principi di diritto affermati dalla sentenza n. 18213 del 17 settembre 2015 Cass. SS.UU. (riguardante fattispecie analoga, seppur relativa ad una locazione ad uso abitativo). In quella sede, infatti, era stata sancita la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, al di là e a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all’atto.
La contro ricorrente, oltre ad evidenziare la correttezza dell’interpretazione operata dalla Corte d’Appello in relazione all’accordo integrativo, sottolineava come la L. n. 311 del 2004, art. 1 comma 346 permetta il ravvedimento dei contraenti che non abbiano registrato il contratto tempestivamente. Si sarebbe dovuta ammettere, quindi, la registrazione tardiva del contratto di locazione e tale sanatoria avrebbe dovuto avere efficacia ex tunc. Inoltre, sarebbe apparso errato il riferimento alle Sezioni Unite della Corte in tema di locazione abitativa. In quest’ultimo caso, infatti, la nullità del maggior canone non previsto dalle parti al momento della conclusione del contratto è sanzionato con la nullità ai sensi dell’art. 13 L. n. 431 del 1998; norma, quest’ultima, riferibile solamente alle fattispecie di locazione ad uso abitativo e non applicabile al caso in esame.
Con ordinanza n. 16604 del 5 agosto 2016, sono stati trasmessi gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite. La questione posta all’attenzione della Corte consiste nel verificare se, nei contratti di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, nell’ipotesi di tardiva registrazione anche del contestuale e separato accordo recante l’importo del canone maggiorato rispetto a quello indicato nel primo contratto registrato, sia configurabile un’ipotesi di sanatoria di tale nullità, ovvero se anche per le locazioni ad uso diverso da abitazione debba farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213) con riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo in forza del quale l’esclusione di qualsivoglia efficacia sanante della registrazione tardiva vorrebbe impedire la possibilità per la parte, che in questo modo adduca apertamente la propria qualità di evasore fiscale, di invocare tutela giurisdizionale.
Locazione e obbligo di registrazione: i riferimenti normativi
La Cassazione, con la sentenza in esame, in prima istanza prende in esame il rapporto tra norme tributarie e norme civilistiche domandandosi se si possa considerare invalido il contratto che ponga in essere l’inadempimento di un obbligo tributario.
La Corte, distinguendo i contratti di locazione ad uso abitativo da quelli ad uso commerciale, tratta, in primo luogo, degli effetti del tardivo adempimento dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione, e poi, della tardiva registrazione del solo patto volto a occultare un canone maggiore nei casi in cui il contratto contenente il canone simulato sia stato previamente registrato.
Il quadro normativo di riferimento è talvolta disarmonico.
Viene in rilievo, innanzitutto, il D.P.R. n. 131/1986 (T.U. sull’applicazione dell’imposta di registro), che impone la registrazione dei contratti di locazione immobiliare, scritti e verbali, indipendentemente dall’ammontare del canone. Ai sensi dell’art. 17 del medesimo D.P.R. la registrazione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla data dell’atto o dalla sua esecuzione in caso di contratto verbale. È ammessa, altresì, ai sensi dell’art. 76, comma 5 la possibilità di registrazione tardiva anche in caso di decadenza dell’azione di riscossione.
Quanto alle imposte sui redditi, con specifico riferimento ai contratti di locazione immobiliare, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-ter stabilisce che in caso di omessa registrazione del contratto di locazione d’immobili, si presume l’esistenza del rapporto di locazione anche per i quattro periodi d’imposta antecedenti quello nel corso del quale è accertato il rapporto stesso.
L’art. 10, comma 4 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede che le violazioni di disposizione di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto, esplicitando, così, il principio di non interferenza tra regole di diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica. Coerentemente, anche l´art. 10-bis del d.lgs. n. 128 del 5 agosto 2015 stabilisce la mera inopponibilità all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, a realizzare essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Dall’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 si desume il principio dell’autonomia dell’interpretazione fiscale del contratto rispetto alla sua interpretazione civilistica.
Si comprende, dunque, come sembrerebbe vigente nel nostro ordinamento il principio di non interferenza tra norma civilistica e norma tributaria: un inadempimento di un obbligo tributario non sarebbe, quindi, in grado di incidere sulla validità o meno del rapporto giuridico.
In questo contesto, caratterizzato dall’assenza di disposizioni che sanciscono la nullità del rapporto giuridico elusivo di una norma tributaria si è posta, tuttavia, la questione se fosse configurabile una nullità virtuale del contratto di locazione per frode alla legge o per violazione di una norma imperativa, in caso di violazione di un obbligo tributario. La risposta della giurisprudenza maggioritaria è stata di negare valenza imperativa alla norma tributaria e riaffermare il principio di non interferenza tra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti. (tra le altre, Cass. Sez. 5, n. 11351 del 3 settembre 2001, n. 12128 del 28 settembre 2001, n. 5582 del 18 aprile 2002).
Tuttavia non sono mancati interventi legislativi che, da un lato, hanno previsto nullità testuali a tutela di obblighi tributati, dall’altro, hanno specificato gli effetti sul piano civilistico della mancata registrazione.
La prima novità è costituita dalla L. 9 dicembre 1998 n. 431, art. 13, comma 1 che, con riferimento ai contratti di locazione destinati ad uso abitativo, dispone la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto di locazione registrato. Il legislatore, a distanza di poco tempo, è nuovamente intervenuto, con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1 comma 6, prevedendo la nullità di tutti i contratti di locazione qualora, ricorrendone i presupposti, non siano registrati.
Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213 e i contratti di locazione a uso abitativo
La Corte costituzionale, stante il sempre più riconosciuto principio di non interferenza tra la norma tributaria e quella civilistica, è stata più volte investita della questione di legittimità costituzionale delle ultime novità normative, volte, infatti, a riconoscere una rilevanza civilistica al difetto di registrazione.
In un primo momento, con riferimento alla riforma del 1998, la Corte (con ord. 242 del 2004) ha giustificato la nullità, prevista in caso di maggiorazione del canone di locazione, in virtù dell’esistenza di un principio di invariabilità soltanto in corso di rapporto del canone originariamente pattuito. In questo modo, quindi, si sarebbe sanzionato con la nullità solamente il patto occulto venuto in essere in corso di rapporto; diversamente, invece, sarebbe previsto in caso di patto occulto contestuale alla stipula del contratto di locazione, al quale, quindi, sarebbe riconosciuta piena validità. Soluzione, questa, che, oltre a sollevare numerosi problemi, elude la questione dei rapporti fra norme fiscali e civilistiche.
Allo stesso modo, la Corte Costituzionale si e più volte espressa con riguardo all´art. 1, comma 346, della L. n. 311 del 2004. In una prima pronuncia (ordinanza n. 420 del 2007) si afferma un importante principio secondo cui l´articolo sopra richiamato non introdurrebbe ostacoli al ricorso alla tutela giurisprudenziale, ma eleverebbe la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determinerebbe la nullità del negozio ai sensi dell´art. 1418 c.c. In altre due occasioni, la stessa Corte (Corte cost. ord. n. 389 del 19 novembre 2008 e n. 110 del 9 aprile 2009) ha rigettato la questione di legittimità non avendo, il remittente, adeguatamente individuato i motivi dell´ipotizzata irragionevolezza intrinseca della norma.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18213 del 2015 hanno modificato radicalmente l´orientamento maggioritario secondo cui la nullità ex art. 13 comma 1 della L. 431/1998 deriverebbe da un presunto e mai dimostrato principio di immodificabilità del canone di locazione abitativa soltanto in corso di rapporto, ed escludendo quindi la stessa sanzione in caso di patto contestuale alla stipula del contratto. In questa occasione, con riferimento ad una locazione ad uso abitativo, viene sancita la “nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, al di là e a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all’atto”.
Il nuovo orientamento giurisprudenziale che sanziona con la nullità ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello previsto dal contratto, a prescindere dal momento in cui tale modifica si realizza, sembrerebbe volto non tanto a evitare una modifica del canone di locazione in corso di rapporto, quanto a scongiurare il rischio del fenomeno simulatorio sia in fase genetica del rapporto che in fase funzionale.
La Corte precisa inoltre che un tale accordo è nullo a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all’atto: in altri termini si esclude l´efficacia sanante di un’eventuale registrazione tardiva. Infatti l´art. 13 della L. 431/1998 sanziona con la nullità non tanto la mancata registrazione dell’atto, quanto la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro. La registrazione tardiva, in quanto vicenda extranegoziale, risulterebbe inidonea a influire sulla validità dell’atto.
In questo modo la Corte chiarisce che la nullità prevista dall’art. 13 L. 431/1998 sanziona unicamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre mantiene valido il contratto registrato e dovuto il canone apparente. In definitiva, quindi, l’atto contenente il maggior canone risulterebbe nullo per contrarietà a norma di legge (art. 13, comma 1, espressamente volto a impedire la sostituzione del canone apparente con quello reale convenuto con il patto occulto). Ma non solo. La Corte, infatti, riconosce nel caso di specie anche un’ipotesi di nullità virtuale: la causa concreta del negozio, infatti, sarebbe illecita, essendo, questa, caratterizzata dalla vietata finalità di elusione fiscale e quindi insuscettibile di sanatoria.
Quindi, con riferimento ai contratti di locazione a uso abitativo si può concludere affermando che, se da un lato, la mancata registrazione dell’intero contratto, contenente il prezzo reale convenuto dalle parti fin dall’origine, comporta la nullità del rapporto ai sensi dell’art. 1 comma 346 della L. 311/2004, dall’altro, così come prevede la normativa tributaria, è possibile una registrazione tardiva (il cosiddetto ravvedimento operoso). Diversamente, invece, accade in caso di mancata registrazione del patto occulto contenente un maggior prezzo del canone previsto dal contratto già registrato. In questa ipotesi, infatti, la nullità della maggiorazione è giustificata, non solo dalla espressa previsione di una nullità testuale disposta ai sensi dell’art. 13 della L. 492/1998, ma anche, così come espresso dalla Corte Cassazione, dalla riconosciuta illiceità della causa concreta dell ´operazione caratterizzata dalla vietata finalità di elusione fiscale. La sostituzione del prezzo stabilito nel contratto registrato con un canone maggiore connota la causa concreta del rapporto giuridico volta ad un chiaro e illecito vantaggio tributario e, quindi, insuscettibile di sanatoria anche con l’adempimento tardivo della registrazione.
Nella motivazione della sentenza del 2015, la Corte, inoltre, richiama l’attenzione sulla possibile introduzione nel nostro ordinamento, in materia di locazioni, del principio di interferenza tra norme tributarie e norme civilistiche. In particolare, prende posizione riguardo alla sanzione di nullità, prevista in caso di omessa registrazione, ai sensi della L. n. 311 del 2004.
E’ convincimento del collegio che la nullità disposta in caso di omessa registrazione sia da intendere in termini di nullità sopravvenuta del contratto di locazione per mancanza di un requisito extraformale di validità.
In questo senso, dunque, si allontana da quelle elaborazioni dottrinali che, interpretando in senso del tutto atecnico il termine scelto dal legislatore, tenderebbero a limitare la portata della invalidità della norma. In questo senso, infatti, nessun dubbio deriverebbe dalla chiara lettera della disposizione normativa, risultando forzata ogni interpretazione che si discosti da essa e che ritenga il riferimento a tale invalidità un errore del legislatore.
In secondo luogo, la Corte ritiene che la norma, disponendo la sanzione in caso di omessa registrazione del contratto di locazione in termini di nullità – sanzione già prevista dalla L. n. 431 del 1998 con riferimento alle locazioni a uso abitativo – ne abbia ampliato l’ambito applicativo anche con riferimento alle locazioni a uso commerciale.
Si richiama, inoltre il dictum della Corte costituzionale del 2007 a mente del quale l’art. 1 comma 346, disponendo la nullità in caso di omessa registrazione dei contratti di locazione, avrebbe elevato la norma tributaria al rango di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.
La Corte di Cassazione sottolinea come il generico richiamo, operato dal giudice delle leggi, all’art. 1418 c.c. senza, quindi, un riferimento preciso ad alcun comma di tale articolo verrebbe in rilievo al fine di considerare la norma tributaria sull’obbligo di registrazione quale norma imperativa; come conseguenza si avrebbe la nullità dei contratti di locazione non registrati a prescindere dalla previsione di una nullità testuale. In questo modo, infatti, la Corte Costituzionale non ha ristretto la portata della norma al solo comma 3, e quindi alla nullità testuale, ma ne ha evidenziato la rilevanza anche ai fini del comma 1, nullità virtuale, elevando così la norma tributaria a norma imperativa.
Contratto di locazione ad uso non abitativo: i problemi interpretativi
Anche con riferimento ai contratti di locazione ad uso non abitativo, la Corte di Cassazione opera una distinzione. Si pone, innanzitutto, la questione della possibile sanatoria a seguito di una registrazione tardiva dell’intero contratto di locazione che contenga l’indicazione del canone reale, come voluto dalle parti fin dall’origine.
La normativa tributaria sembra offrire una risposta affermativa, ammettendo, così come per i contratti di locazione ad uso abitativo, la registrazione tardiva e riconoscendo ad essa una efficacia sanante ex tunc. Può pertanto concludersi che il contratto di locazione ad uso non abitativo contenente ab origine la previsione di un canone realmente convenuto e realmente corrisposto (e quindi in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004 art. 1 comma 346, ma sanabile in caso di sua tardiva registrazione, come consentito dalle norme tributarie. Il contratto non registrato in toto, infatti, è sconosciuto all’Erario dal punto di vista fiscale e nullo dal punto di vista civilistico in virtù di una testuale previsione normativa che sanziona l’invalidità al comportamento illecito consistente nell’inadempimento di un obbligo tributario. Sanata l ´invalidità attraverso una registrazione tardiva, quello che rileva è l´oggettiva tardività dell’assolvimento dell´obbligo tributario; non si tratta, quindi, di un vizio genetico del rapporto, ma dell’inadempimento di un obbligo in relazione al quale puo´ ricavarsi dal sistema la possibilità di un adempimento tardivo.
Diverso è il caso di un accordo simulatorio cui consegua la registrazione tardiva non dell’intero contratto ma del solo patto dissimulato volto ad occultare un canone maggiore.
Con riferimento ai contratti di locazione ad uso commerciale manca, infatti, una norma che, così come l’art. 13 della L. 1998 in materia di contratti di locazione ad uso abitativo, sanzioni con la nullità testuale ogni maggiorazione del canone di locazione. Quindi, sembrerebbe non essere prevista, in relazione alle locazioni non abitative, alcuna nullità dell’accordo di maggiorazione occulto del canone.
Nonostante tale mancanza, è pacifico come un simile accordo riveli una chiara funzione di elusione fiscale e come, quindi, la sua causa concreta, intesa quale sintesi degli interessi che l’accordo è inteso a realizzare, sia a questa volta. La fattispecie della simulazione relativa del canone locatizio risulta, in questo modo, affetta da un vizio genetico attinente alla causa concreta del rapporto volta a eludere la norma tributaria sull’obbligo di registrazione. È l’evoluzione normativa e giurisprudenziale più recente che riconosce, tuttavia, a tale norma tributaria rango di norma imperativa e che, quindi, considera nulle quelle convenzioni negoziali che, oltre a violare in parte l’obbligo di registrazione, siano caratterizzate da una causa illecita per contrarietà a norma imperativa.
Si tratta, quindi, di una nullità virtuale e, quindi, insanabile ex art. 1423 c.c.. La possibilità di considerare il vizio della mancata registrazione un’ipotesi di nullità virtuale si deve al fatto che, così come evidenziato dalla Corte Costituzionale nel 2007, l’art. 1 comma 346 della L. 311/2004 faccia riferimento all’art. 1418 c.c. senza un richiamo specifico al comma 3 (nullità testuale), evidenziandone in questo modo in questo modo la rilevanza anche ai fini del comma 1 (nullità virtuale).
Si comprende dunque che, sia per i contratti di locazione ad uso abitativo che per quelli ad uso commerciale, la nullità in caso di omessa registrazione dell’accordo contenente il maggior canone deriva non dal mancato adempimento tributario (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceità della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare. Non si tratta, quindi, di mero inadempimento successivo alla stipula del rapporto ma di un vizio genetico, attinente alla causa concreta del negozio, e quindi nullo ai sensi dell´art. 1423 c.c.
La soluzione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23601 dispongono la nullità del patto contenente la maggiorazione del canone di locazione sia per violazione parziale dell’obbligo di registrazione, obbligo che dal 2004 ha assunto rango di norma imperativa, sia per illiceità della e causa concreta del negozio, in quanto volta all´elusione fiscale.
Si evidenzia la chiara finalità di elusione fiscale. Le parti, infatti, registrando in un momento successivo il reale ed effettivo canone mensile del contratto di locazione avrebbero ottenuto importanti sgravi fiscali. Il conduttore avrebbe così pagato un canone di gran lunga inferiore e il locatore avrebbe pagato meno tasse. La nullità insanabile disposta in queste ipotesi vuole scongiurare il rischio di una sempre maggior diffusione di dette fattispecie di elusione fiscale.
La Corte, tuttavia, non dispone la nullità dell´intero negozio, ma, così come previsto dall’art. 13 della legge del 1998 in materia di locazione ad uso abitativo, prevede la nullità limitata al solo patto occulto, mantenendo così in vita l´originale contratto di locazione. Si afferma, infatti, che tale nullità vitiatur sed non vitiat; con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.
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