Prima di descrivere il percorso argomentativo seguito dal Giudice nella pronuncia in commento, occorre svolgere una breve disamina della normativa anticoncorrenziale e del rapporto intercorrente con le clausole censurate, inserite metodicamente dalle banche nel modello di fideiussione omnibus proposto alla clientela.
Indice
- Disciplina antitrust e fideiussioni omnibus
- Le Sezioni Unite sulla nullità delle clausole anticoncorrenziali
- Rimedio caducatorio e fideiussioni specifiche recanti le clausole antimonopolistiche.
1. Disciplina antitrust e fideiussioni omnibus
A seguito della redazione, da parte dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), del modello di schema negoziale per il contratto di fideiussione (omnibus), la Banca d’Italia – allora Autorità garante della concorrenza degli istituti di credito – ha avviato un’indagine volta a verificare la compatibilità del suddetto schema con la disciplina antitrust.
Interpellata da Banca d’Italia, l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, ha identificato le clausole n. 2, 6 e 8 dello schema ABI quali restrittive della concorrenza, evidenziando altresì che le condizioni generali di contratto stabilite in tale schema rappresentano l’espressione di deliberazioni di un’associazione di imprese, rientrando in tal senso nell’ambito applicativo ex art. 2, co. 1 della legge n. 287/90, ed incidendo sul comportamento di imprese concorrenti, con il rischio di una significativa restrizione della concorrenza, stante l’elevato numero di banche associate all’ABI.
Viene quindi in rilievo la disciplina normativa nazionale a tutela della concorrenza dettata dalla legge n. 287/1990 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) e la ratio ad essa sottesa, di tutela dell’ordine pubblico economico e del corretto svolgimento delle relazioni economiche poste in essere all’interno del mercato. In specie, vengono salvaguardate le soggettività deboli (consumatore, piccole-medio imprese) che inevitabilmente subiscono l’influsso della parte contraente che nella trattativa è dotata di maggiore forza economica.
Il consumatore o l’impresa, a fronte di una richiesta di finanziamento, si vede costretto a sottoscrivere un contratto “a valle” di fideiussione omnibus, sulla scorta del modello ABI, costituente lo sbocco dell’intesa anticoncorrenziale vietata “a monte”, vedendosi così elidere il proprio diritto di scelta sul tipo di contratto da concludere e sul relativo contenuto.
Difatti, l’art. 2, co. 2, lett. A), della legge antitrust, vieta alle imprese le intese che abbiano per oggetto – o per effetto – di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, elencando una serie di attività esemplificative di tali accordi e sancendone la nullità, al successivo comma 3, quale sanzione nell’ipotesi che vengano realizzate in violazione di tale disposizione.
Nella stessa ottica, l’art. 101 TFUE vieta tutti gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno, prevedendo la nullità quale conseguenza.
Il successivo articolo 102 TFUE stabilisce che: “è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”.
In altri termini, la posizione dominante di un’impresa è vietata se incompatibile con il mercato interno, ovvero quando abbia lo scopo di farne abuso, limitando la concorrenza.
2. Le Sezioni Unite sulla nullità delle clausole anticoncorrenziali
Con la sentenza n. 41994/21, le Sezioni Unite hanno statuito la nullità parziale delle sole clausole n. 2, 6 e 8, contenute nella fideiussione omnibus, conformi allo schema predisposto dall’ABI dell’intesa vietata a monte, per violazione della normativa antitrust, salvo che le parti non provino una diversa volontà, tale per cui non avrebbero concluso il contratto senza di esse.
In specie, le clausole censurate con il provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia, sono:
la clausola di reviviscenza (n.2);
la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. (n.6);
la clausola di sopravvivenza (n.8).
Le clausole n. 2 e 8 prevedono la permanenza dell’obbligazione fideiussoria a fronte delle vicende estintive e delle cause di invalidità che possono riguardare il pagamento del debitore o la stessa obbligazione principale garantita, rispettivamente, impegnano il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento; mentre la n. 6 adduce conseguenze negative in capo al fideiussore anche qualora siano derivanti dal condotta negligente della banca che abbia omesso di agire nel termine di 6 mesi previsto dall’art. 1957 c.c.
La Suprema Corte esamina la tutela riconoscibile, se reale o risarcitoria, al contraente che abbia concluso un contratto di fideiussione a valle con la Banca recante pedissequamente le clausole attuative dell’intesa vietata a monte.
Al fine di risolvere tale contrasto, la Corte analizza i diversi orientamenti, ognuno dei quali propende per soluzioni diverse.
Secondo una prima tesi il rimedio risarcitorio dovrebbe essere l’unico possibile, altri prediligono la nullità totale della fideiussione bancaria omnibus, altri ancora ritengono che sia più idonea la tutela della nullità parziale.
Le Sezioni Unite aderiscono a tale ultimo filone interpretativo, precisando che l’eliminazione delle clausole violative de qua consente di preservare la validità della fideiussione nel resto, anche in virtù del principio di conservazione degli atti negoziali.
Dunque, spetterà alla parte interessata a far valere l’invalidità della fideiussione a dover provare il nesso di interdipendenza tra le clausole affette da nullità ed il resto del contratto.
Tuttavia, tale prova si rivela alquanto ardua, posto che molto spesso il garante ha un interesse economico e diretto al rilascio della garanzia fideiussoria essendo legato al debitore principale.
Allo stesso modo, anche la banca ne favorisce la sussistenza a maggiore tutela del finanziamento concesso e delle obbligazioni da esso derivanti.
Difatti, il contratto fideiussorio “a valle” condivide con l’intesa “a monte” la medesima natura e conseguentemente anche gli effetti derivanti dall’invalidità, individuando nel nesso funzionale tra i due negozi l’espediente per integrare l’illecito anticoncorrenziale vietato dall’ordinamento.
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3. Rimedio caducatorio e fideiussioni specifiche recanti le clausole antimonopolistiche
Il caso sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite riguardava un’ipotesi di fideiussione omnibus, come anche il provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005, mentre la giurisprudenza di merito ha già affrontato casi di fideiussioni specifiche, e cioè si è interrogata circa la possibilità di applicare il rimedio della nullità parziale alle clausole anticoncorrenziali qualora esse siano contenute in una fideiussione specifica (cfr. Tribunale Bologna n. 64 del 13 gennaio 2022).
A questo punto, è utile chiarire che le fideiussioni omnibus e specifiche differiscono per l’ampiezza dei rapporti a cui sono poste come garanzia, ossia per tutte le obbligazioni bancarie -anche future- le prime, per un singolo affare ben precisamente individuato le seconde.
La sentenza n. 486/2022 in commento, emessa dal Tribunale di Forlì, ha ad oggetto proprio una domanda di nullità in relazione ad una fideiussione specifica rilasciata nel 2015, a garanzia di un debito accollato.
Le garanti avevano agito in giudizio al fine di ottenere la nullità totale in quanto la medesima riproduceva le clausole di cui allo schema ABI.
Il Giudice rigetta la domanda e conferma conseguentemente il decreto ingiuntivo emesso sulla scorta della fideiussione specifica e che, quindi, viene ritenuta valida.
Il Tribunale analizza la ratio posta a fondamento della disciplina antitrust, onde comprendere se la riproduzione di tali clausole, seppure in una specie di fideiussione diversa, possa realizzare l’intesa vietata a monte.
Tale applicazione non può essere automatica poiché va considerata l’effettiva differenza tra le due fattispecie in termini concreti: la fideiussione specifica viene prestata per un affare ben individuato, e che, nel caso oggetto di causa, era strumentale a garantire il pagamento del debito sorto sulla scorta di una convenzione di accollo in capo al debitore principale.
In specie, in virtù del predetto contratto il debitore si era assunto le quote di debito originariamente facente capo alle garanti, e con separato accordo, aveva sottoscritto un piano di rientro per il pagamento dell’intero importo del debito accollato, pari ad € 7.175.676,29, mentre a garanzia della somma pari ad € 3.145.700,00 veniva rilasciata la fideiussione specifica de qua.
Nel caso deciso, il fideiussore aveva formulato una domanda di nullità totale.
Ebbene, il Giudice forlivese ricorda come già per le fideiussioni omnibus le Sezioni Unite pongono una prova alquanto onerosa sulla relazione intrinseca tra le clausole anticoncorrenziali ed il residuo contenuto del contratto quali parti integranti del medesimo.
Il Tribunale chiarisce che, seppure si volesse estendere alla fideiussione specifica il rimedio della nullità parziale individuato dalle Sezioni Unite per le sole fideiussioni omnibus stipulate a seguito dell’istruttoria 2003-2005 avviata dalla Banca d’Italia, occorrerebbe una prova maggiormente rigorosa.
In altri termini, l’onere istruttorio dovrebbe compiersi attestando che una serie di istituti bancari abbiano utilizzato il programma anticoncorrenziale vietato a monte perché solo in questo modo può parlarsi di “intesa” ed il contegno della banca risulterebbe connotato da “omogeneità” e “ripetitività”.
In tal senso, si avrebbe la prova dell’effettiva impossibilità per i contraenti di scegliere il tipo di contratto ed il relativo contenuto, delineando una situazione di sottoscrizione del contratto in assenza di qualsiasi tipo di trattative con relativa limitazione del potere decisionale del fideiussore.
Dunque, la sola allegazione dello schema ABI e del provvedimento n. 55/2005 non è sufficiente a provare la persistenza e la continuità dell’intesa anticoncorrenziale nel tempo.
D’altro canto, la fideiussione analizzata dal Tribunale di Forlì era stata concessa nell’anno 2015, e cioè rilasciata molto tempo dopo l’accertamento avviato da Banca d’Italia.
Segnalando proprio tale aspetto, il Tribunale osserva che tale provvedimento assume valore probatorio dell’intesa vietata difficilmente superabile solo per il periodo riferito alle indagini svolte dall’AGCM, mentre tale connotazione sfuma fino a regredire del tutto per le fideiussioni rilasciate nel periodo antecedente o successivo.
Infine, il Tribunale ritiene che il rimedio caducatorio non possa investire la fideiussione specifica, anche nel caso di inserimento all’interno del contratto delle clausole estratte dall’intesa anticoncorrenziale a monte.
Nel caso specifico, poi, era comunque scarso il compendio probatorio fornito a sostegno della domanda di nullità.
All’esito di tale ragionamento la presenza di tali clausole nel contratto di fideiussione, omnibus o specifica, non appare circostanza sufficiente a privarlo interamente della sua efficacia.
Oltretutto, l’estensione e l’applicazione di tale suddetto rimedio, seppure limitatamente alle sole clausole in contrasto con la normativa antitrust, anche alle fideiussioni specifiche piuttosto che solo alle omnibus – si ripete, oggetto sia del provvedimento di Banca d’Italia che della pronuncia delle Sezioni Unite -, risulta un tema in relazione al quale, nella giurisprudenza di merito, si sono delineati orientamenti contrapposti.
Un primo filone giurisprudenziale, al quale aderisce il Tribunale di Forlì, propende per la non applicabilità della nullità parziale alle fideiussioni specifiche (v. Trib. Monza, n. 375 del 18.02.2022; Trib. Bologna, n. 64 del 13.01.2022); al contrario, un differente indirizzo ritiene che la pronuncia di nullità possa travolgere anche le fideiussioni specifiche contenenti le clausole ABI poiché è da tale circostanza che deriva l’invalidità delle stesse prescindendo dalla riconducibilità delle stesse ad una o all’altra categoria negoziale (v. Trib. di Alessandria, ord. 16 marzo 2022).
Ad oggi, quindi, la questione resta aperta e non si esclude che la Suprema Corte torni nuovamente a pronunciarsi sul tema.
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