Il presente contributo, affronta il tema della nullità di protezione al fine di prospettare come possibile la modulazione dell’istituto della nullità in funzione solidaristica per la risoluzione dello specifico caso concreto in coerenza con il fine primario della giustizia contrattuale.
Si consiglia la consultazione del seguente volume, il quale offre, oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, commenti articolo per articolo su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi: Negoziazione assistita, mediazione civile e arbitrato dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. Il regime della nullità
A differenza dell’annullabilità, la nullità è un istituto sconosciuto al diritto romano che nasce solo con la codificazione del diritto e dunque può essere collocata agli inizi del 1800, tanto è vero che con il codice civile napoleonico del 1865, non vi è ancora una definizione precisa e un significato condiviso.
Ad oggi, si ritiene che la nullità sia la forma più grave di invalidità del negozio giuridico, tanto è dimostrato dal suo regime cardine che la differenzia dall’annullabilità: un negozio nullo si considera come mai venuto in essere, nel senso che non produce alcun effetto (quod nullum est nullum producit effectum). Tale è la regola generale ma, come si avrà modo di approfondire, l’evoluzione dei rapporti sociali ha contribuito a generare non pochi temperamenti, giungendo anche ad una sovversione della medesima, basti riflettere alla c.d. nullità di protezione posta a tutela dei soggetti deboli, come la categoria dei consumatori o dei risparmiatori, tanto da parlare delle nullità, tosto che della nullità come istituto unitario.
La nullità è disciplinata dall’art. 1418 c.c. il quale ne delinea le tipologie. Il comma II dell’art. 1418 c.c. disciplina la c.d. nullità strutturale stabilendo che il contratto è da ritenersi nullo in assenza di uno dei requisiti, appunto strutturali, del contratto ex art. 1325 c.c. ( accordo ex art. 1326 c.c.;causa ex art. 1343 c.c.; oggetto ex art. 1345 c.c. e forma quando è richiesta ad substantiam ex artt. 1350 e 1352 c.c.), quando la causa è illecita ex art. 1343 c.c., quando lo sono i motivi se sono comuni ad entrambe le parti ex art. 1345 c.c., o quando l’oggetto del contratto sia privo dei requisiti minimi fissati dalla legge ex art. 1346 (possibile in senso materiale e in senso giuridico; liceità; determinatezza o determinabilità). Il comma III invece disciplina la c.d. nullità testuale in quanto apre a tutti i casi in cui è la legge stessa a definire un’ipotesi specifica di nullità (.. il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge, si pensi alla disciplina sulle condizioni illecite ex art. 1354 I co. o a quelle impossibili nel caso di condizioni sospensive ex co. II. Del medesimo articolo.
Maggiori difficoltà ermeneutiche sono prodotte dal disposto del comma I dell’art. 1418 c.c. che disciplina la c.d. nullità virtuale: Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative salvo che la legge disponga diversamente.In questo caso la legge non individua casi di nullità specifici ma, rimanda all’interprete il compito di individuare tale ipotesi nel caso di violazione di norme imperative. Le difficoltà sono legate proprio alla mancanza di una definizione sull’imperatività di una norma e tale dato deve essere considerato in relazione al principio dell’autonomia negoziale e a ciò che esso sottende: privilegiare la libertà negoziale. Tale assunto non solo si evince dal complesso delle norme che disciplinano il contratto ma, anche dalla stessa norma appena analizzata, in quanto, proprio in ragione della tutela della libertà negoziale, vi sono casi in cui la legge, anche quando si verifichi la violazione di una c.d. norma imperativa deroga al regime della nullità in favore del mantenimento degli interessi predisposti dalle parti. Per chiosare sul punto, in genere si tende a considerare imperativa una norma che tuteli interessi super-individuali e non sempre l’imperatività coincide con il significato di non derogabilità. Infatti, un conto è riflettere sulla possibilità per le parti di derogare ad una disposizione di legge in ragione della prevalenza dell’autonomia negoziale, altro discorso è quando è la stessa legge a stabilire deroghe ad un particolare regime, come si è appena visto con l’analisi del co. I dell’art. 1418 c.c.
Caratteristiche generali della nullità sono la c.d. insanabilità del vizio che inficia il contratto, tanto è vero che a differenza dell’annullabilità, non vi è la previsione della convalida di un negozio nullo. Tale dato si giustifica ragionando sulla ratio sottesa all’istituto che, in quanto posto a tutela di interessi non strettamente individualistici ma generali, non ammette la disponibilità degli effetti così come invece avviene in caso di ipotesi di annullabilità, ove sono le parti a decidere se annullare o meno gli stessi. Per tanto, in caso di contratto nullo ancora non eseguito, la nullità del medesimo impedisce la produzione degli effetti desiderati dalle parti mentre, nel caso di contratto già eseguito in tutto o in parte prima della dichiarazione della nullità dello stesso, considerandosi come mai esistito, si fa applicazione dell’istituto della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., rivolto a ripristinare la situazione ex ante in coerenza con il principio della giustificazione degli spostamenti di ricchezza a cui è servente l’ulteriore istituto dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. Tale è la conseguenza principale della non previsione della convalida in caso di nullità contrattuale ex art. 1423 c.c. a meno che non sia la legge ad ammetterla. Tale ultimo inciso è posto a base del ragionamento di quanti sposano l’idea della possibilità di una sanatoria delle nullità contrattuali ad ampio raggio in ottica della prevalenza dell’autonomia contrattuale. In realtà, come si avrà modo di approfondire, la giurisprudenza è unanime e costante nel negare un simile approdo, mostrando il proprio disfavore per una categorizzazione delle c.d. nullità relative. Infatti, sebbene vi sia una previsione normativa volta a legittimare ipotesi di convalida, quest’ultime costituiscono pur sempre casi eccezionali rispetto alla regola generale e pertanto non estensibili tuout court ad altri casi in assenza di una specifica previsione di legge. A mitigare tale regola, è prevista l’ipotesi della conversione del contratto che, si badi bene, è cosa diversa dalla convalida. Infatti, nel caso della convalida si agisce sul vizio superandolo in ragione della tenuta degli interessi negoziali mentre, nel caso della conversione si agisce sulle parti del contratto che non risultano inficiate dal vizio della nullità. Pertanto, ex art. 1424 cc. qualora, considerato lo scopo perseguito dalle parti, “debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”, quando il contratto privato delle parti inficiate dalla nullità sia comunque espressivo degli interessi delle parti e strutturalmente idoneo a generare effetti propri di un contratto diverso di cui presenta i requisiti di sostanza e di forma, il contatto nullo si converte nel tipo appena considerato. Ulteriore caratteristica, corollario di quanto appena affrontato, è il regime della rilevabilità e della legittimazione alla medesima. Infatti, conseguenza diretta della tutela di interessi generali è che la nullità sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice in ogni momento (imprescrittibilità dell’azione) e la legittimazione a farla valere da chiunque vi abbia interesse, c.d. legittimazione assoluta, a differenza dell’annullabilità che può essere fatta valere solo dalle parti, c.d. legittimazione relativa, a riprova della prevalenza della volontà delle medesime in ragione di uno specifico interesse, l’impossibilità, quindi, che la medesima venga rilevata ex officio dal giudice e il regime della prescrizione quinquennale, in coerenza con la tutela di interessi prevalentemente privatistici.
Tali sono le caratteristiche che contraddistinguono l’istituto della nullità nell’ipotesi generale. Come si è avuto modo di anticipare, però, vi sono diverse deroghe a tale regime, non solo per quanto riguarda le ipotesi espressamente previste dalla legge ma, considerando l’evouzione dogmatica sul punto, anche con riferimento alla possibilità di delineare una morfologia diversa della nullità in senso generale.
Si consiglia la consultazione del seguente volume, il quale offre, oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, commenti articolo per articolo su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi:
Negoziazione assistita, Mediazione civile e Arbitrato dopo la Riforma Cartabia
Il volume esamina le novità introdotte dalla Riforma Cartabia in materia di Negoziazione assistita (D.L. n. 132 del 2014, convertito con Legge n. 162 del 2014), Mediazione civile (D.Lgs. n. 28 del 2010) e Arbitrato (Libro quarto, titolo VIII del Codice di procedura civile).Oltre al raffronto tra il testo previgente e quello novellato, per ogni articolo modificato è riportato un commento su tutte le novità, con spazio dedicato ai relativi riflessi operativi.La Negoziazione assistita ha subìto un restyling estendendone la portata anche alle controversie di lavoro e, in materia di famiglia, alle controversie sullo scioglimento delle unioni civili, sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali, oltre alle vertenze in materia alimentare. Le convenzioni di negoziazione assistita potranno altresì prevedere il ricorso a strumenti di “istruzione stragiudiziale”, quali l’acquisizione di dichiarazioni di terzi e le dichiarazioni confessorie.Per la Mediazione civile e commerciale, le principali aree di intervento hanno riguardato: la nuova disciplina del procedimento, l’estensione delle materie soggette a obbligatorietà, la formazione dei mediatori e la qualità del servizio fornito sia dagli organismi di mediazione che dagli enti formatori.Con riferimento all’Arbitrato si è puntato soprattutto a fornire un quadro unitario della materia (con riordino dell’impianto sistematico delle disposizioni e introduzione nel codice di rito delle norme dedicate all’arbitrato societario), a disciplinare i poteri cautelari del collegio arbitrale e a rafforzare le garanzie di imparzialità degli arbitri, apportando diverse modifiche alle relative disposizioni contenute nel Codice di procedura civile.È previsto un aggiornamento online del volume per i mesi successivi alla pubblicazione.Elisabetta MazzoliAvvocato, mediatore docente abilitato dal Ministero della giustizia per la formazione di mediatori civili e commerciali. Professore a contratto di Diritto della mediazione presso l’UNICUSANO di Roma per gli a.a. dal 2010/2011 al 2022/2023. Componente della Commissione “ADR, Mediazione, Arbitrato” dell’Ordine degli Avvocati di Spoleto.Daniela SavioAvvocato del foro di Padova, mediatrice civile e commerciale, mediatrice familiare e counselor. Formatrice per mediatori civili e commerciali e autrice di numerose pubblicazioni in materia di ADR.Andrea Sirotti GaudenziAvvocato, docente universitario e arbitro internazionale. Docente accreditato dal Ministero della Giustizia con riferimento alla materia della mediazione e responsabile scientifico di vari enti. Direttore di collane e trattati giuridici, è autore di numerosivolumi. Magistrato sportivo, attualmente è presidente della Corte d’appello federale della Federazione Ginnastica d’Italia.
Elisabetta Mazzoli, Daniela Savio, Andrea Sirotti Gaudenzi | Maggioli Editore 2023
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2. Nullità relative
Con riferimento alla possibilità di delineare una categoria ad hoc per le c.d. nullità relative, si può affermare che non si è ancora pervenuti ad un’opinione largamente condivisa. Infatti, in contrapposizione a chi è favorevole in tal senso, sulla scia della disciplina a tutela dei consumatori e dei risparmiatori, vi è una larga parte della giurisprudenza e della dottrina che rifiuta la concettualizzazione stessa del termine, nel senso che non si possa in realtà parlare di nullità come se vi fossero modelli differenti ma, solo della nullità intesa come categoria unitaria e di speciali deroghe in funzione della tutela di particolari categorie di soggetti.
Ad ogni modo, con il termine di nullità relative ci si riferisce ai mutamenti strutturali della nullità così come conosciuta e disciplinata dal codice civile. In particolare, il concetto della relatività si collega alla possibilità che la nullità venga rilevata solo dalla parte a cui la stessa è posta a tutela, tanto da essere assimilata all’annullabilità perchè ne ricalca, almeno sotto tale aspetto, il modello. L’ordinamento cioè, conosce ipotesi di nullità poste a tutela sia dell’interesse generale che categoriale avente il fine primario quello di proteggere una sfera particolare di soggetti distinti dalla generalità dei consociati in ragione di una condizione di inferiorità, dettata dal minore potere contrattuale esercitabile nei confronti della controparte. Esempi diretti di tali tipologie di soggetti sono i consumatori da un lato e i risparmiatori dall’altro. Entrambe le categorie sono considerate meritevoli di una speciale protezione da parte dell’ordinamento giuridico. Infatti, sia con riferimento ai consumatori, che ai risparmiatori, si tratta di categorie sprovviste, dato il ruolo ricoperto, delle capacità tecniche necessarie per poter operare scelte economiche in una posizione di pari equilibrio con la corrispondente controparte (imprenditori/enti creditizi). Per tale ragione, tali tipologie di nullità vengono anche dette nullità di protezione. Non bisogna però considerare che vi è un totale sovvertimento delle regole strutturali della nullità. Infatti, bisogna considerare che la protezione viene garantita non nei confronti del singolo consumatore, almeno in via diretta, ma, nei confronti della categoria dei consumatori, conservando, in tal modo, l’aggancio all’interesse generale, superindividuale. Infatti, sia le norme che disciplinano le clausole vessatorie, che l’abuso di dipendenza economica e le politiche di trasparenza, sono poste a tutela dell’informazione corretta rivolta nei confronti delle categorie c.d. deboli, nel nostro esempio, i consumatori e i risparmiatori.
Tale assunto è confermato dalla possibilità per il giudice di rilevare ex officio la nullità così come affermato dalla Cassazione nel 2014, che sul punto si è pronunciata a Sezioni Unite le quali, hanno sancito il riconoscimento del potere officioso del giudice e allo stesso tempo hanno effettuato una netta distinzione tra la rilevazione e la dichiarazione della nullità. Un conto, infatti, è consentire al giudice di effettuare un controllo che vada a supportare il meccanismo di tutela previsto per tali categorie di soggetti e quindi consentire allo stesso di rilevare la nullità sottoponendola all’attenzione delle parti coinvolte, altra cosa è il potere di dichiarare la nullità e quindi sancirne gli effetti, che in tali casi rimane subordinato alla volontà dei soggetti stesse a cui la tutela si riferisce. Questo doppio binario è servente a realizzare la c.d. giustizia contrattuale, principio chiave su cui si basa la disciplina particolare delle nullità di protezione. Il principio della nullità di protezione in realtà, è espressamente previsto dal codice del consumo (d.lgs 206 del 2005) all’art. 36 intitolato, appunto, nullità di protezione il cui testo afferma: “Le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista;
b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il venditore ha diritto di regresso nei confronti del fornitore per i danni che ha subito in conseguenza della declaratoria di nullità delle clausole dichiarate abusive. È nulla ogni clausola contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di un Paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dal presente titolo, laddove il contratto presenti un collegamento più stretto con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea”. Tale norma, non solo sancisce quanto fino ad ora affermato in merito alla nullità di protezione con particolare riferimento alla struttura e agli effetti prodotti (fine della tutela è il vantaggio del consumatore che ben può essere leso dalla dichiarazione stessa della nullità) ma, ci consente di poter osservare la tipologia casistica in cui tale nullità opera. Infatti, dopo aver rimandato alle c.d. clausole vessatorie, che si considerano nulle facendo salvo il resto del contratto e con possibilità di recupero delle stesse ai sensi degli artt. 33 e 34 del cod. cons. (com’è noto, l’art. 33 cod. cons. contiene un elenco tassativo di clausole che si presumono vessatorie salvo che il professionista convenuto dal consumatore nel giudizio di nullità non provi il contrario o non provi che sono state oggetto di trattativa individuale con il consumatore -art. 34 cod. cons.-; mentre l’ar t. 36 cod. cons. contiene un elenco di clausole che sono vessatorie e dunque nulle tout court, quantunque oggetto di trattativa individuale) operando una selezione di contenuto in ragione della tutela degli interessi dei consumatori, il comma I della disposizione in esame pone specifici casi di nullità, reputati talmente gravi dal legislatore da operare anche in caso di apposita trattativa. In sostanza, mentre le clausole vessatorie fanno riferimento al minor poter di informazione e decisione posseduto dal consumatore nei confronti del soggetto imprenditore (intesi come categoria), i casi disciplinati dal comma II prescindono dal grado di informazione o dal potere contrattuale del consumatore proprio perchè si considerano comunque nulli, anche se sono stati decisi in condizione di equilibrio contrattuale (trattative). In tal caso, quindi, si è solitamente di fronte a situazioni di particolare gravità ma, il disposto del comma seguente, in ragione della funzione svolta da tale tipologia di nullità, la protezione del consumatore, ne subordina l’operatività alla realizzazione del vantaggio del consumatore. Ne discendono la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice e la dichiarazione della nullità subordinata alla volontà del consumatore.
Un discorso analogo può essere svolto con riferimento alla tipologia di nullità prevista dall’art. 23 del Testo Unico Finanziario che sancisce precisi obblighi di forma e di sottoscrizione con riferimento ai contratti relativi alla prestazione dei servizi d’investimento. L’obbligo di forma, che in via generale consiste nella scrittura, è funzionale a garantire la corretta informazione dei risparmiatori\investitori al fine di rendere equilibrati i rapporti tra le parti, dove gli istituti di credito partono da una posizione forte in termini di know how. Sia il divieto di abuso di posizione dominante, che le intese vietate lesive della concorrenza sono funzionali a tale scopo primario.
Con riferimento all’obbligo di forma ex art. 23 T.U.F. e la relativa natura della nullità dei contratti stipulati in violazione del medesimo, si è generato un lungo dibattito sulla possibilità di mitigare gli effetti della stessa e consentire una nullità di tipo selettivo in favore degli interessi dei risparmiatori (nullità di protezione) senza però violare gli interessi dell’altra parte nel rispetto del principio di buona fede e del divieto dell’abuso del diritto. Di recente si è pronunciata sul punto la Corte di Cassazione, con ordinanza del 3 giugno n. 10505 del 2020 la quale, riprendendo il principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 28314/2019, afferma che quando l’ esercizio selettivo della nullità da parte del cliente ovvero di domanda formulata in relazione ad alcuni ordini di investimento determini esclusivamente un sacrificio economico sproporzionato, l’intermediario è titolare di un’eccezione qualificabile come di buona fede idonea a paralizzare gli effetti restitutori conseguenti all’esercizio selettivo dell’azione di nullità da parte del cliente investitore. L’approdo a tale cnclusione di principio prende forma dalla declatoria della nullità parziale dei contratti di fideiussione contenenti clausole corrispondenti a quello di uno schema c.d. ABI. Nel 2005, infatti, la Banca d’Italia, all’epoca in qualità di Autorità Garante della concorrenza tra istituti creditizi, aveva stabilito che alcune clausole di quello schema ABI sulla fideiussione omnibus (artt. 2, 6 e 8), in quanto applicate in modo uniforme alle banche, costituivano un’intesa restrittiva della concorrenza, vietata, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. a), della c.d. l. antitrust. Ne derivò una diatriba dogmatica sulla sorte dei contratti stipulati a valle, seppur diversi, sulla scia delle intese raggiunte a monte in violazione delle clausole sopra richiamate. In particolare, erano tre le soluzioni prospettate: la nullità a cascata dei contratti a valle perchè derivata dalla intese nulle a monte; la nullità parziale delle sole clausole riproduttive delle intese nulle a monte; la sola tutela risarcitoria in favore dei risparmiatori. Come si è avuto modo di vedere, la giurisprudenza ha abbracciato la soluzione intermedia optando per la nullità parziale delle sole clausole riproduttive delle intese vietate e per la relativa possibilità per i risparmiatori di agire per la restituzione di quanto versato in relazione ai soli investimenti infruttuosi derivanti dall’applicazione di quelle clausole, con il limite del divieto dell’abuso del diritto in funzione della tutela del principio, cardine in materia contrattuale, della buona fede.
3. Conclusione: verso la nullità solidaristica?
Il caso ABI appena affrontato ci consente di sviluppare alcune considerazioni in merito all’importanza dei principi costituzionali nello sviluppo delle applicazioni normo-giurisprudenziali. La buona fede quale regola di correttezza espressamente prevista dalle norme che regolano la costituzione e l’esecuzione del contratto costituisce in realtà, prima di tutto, un principio generale che regola i rapporti sociali e con essi anche i rapporti contrattuali. Essa, concreta esplicazione del principio valvola della solidarietà sociale ex artt. 2 e 3 Cost., è norma costituzionale e in quanto tale superiore alla legge. Ne consegue che, in ragione delle deroghe esplicitamente previste dalle disposizioni normative che regolano il contratto e nello specifico dalle norme codicistiche che si occupano di disciplinare la nullità del medesimo, la buona fede si erge a parametro generale di controllo e confronto nelle applicazioni pratiche anche in assenza di una specifica norma di legge sul punto. Il caso ABI ne costituisce un esempio lampante. Infatti, facendo applicazione dell’inciso che apre a deroghe di legge in merito alla possibilità della convalida del contratto, anche in relazione al principio della nullità parziale espressamente prevista dal codice, la Corte di Cassazione non ha fatto altro che interpretare la legge sulla base dei principi constituzionali pertinenti in materia, risolvendo i punti critici in funzione dell’equilibrio contrattuale, nucleo centrale dell’intera disciplina sul contratto. Ne consegue che, in ragione dell’applicazione di un principio costituzionale anche disposizioni normative c.d. inderogabili possano subire delle deroghe al fine di meglio regolare i rapporti concreti. Questo non vuole dire catapultarsi alla cieca nelle soluzioni giurisprudenziali in violazione del principio di legalità che permea l’intero ordinamento giuridico ma, semplicemente consente di abbattere la rigidità normativa ove questa funga da ostacolo alle esigenze di giustizia contrattuale, fine primario dell’intero assetto normativo in materia. Pertanto, in ragione del principio di solidiarietà anche la nullità può essere modulata in base alle esigenze del caso concreto ove la particolarità del rapporto contrattuale posto in essere e/o la condizione delle parti richiedono uno sforzo ulteriore rispetto all’applicazione pedissequa della legge e di quanto stipulato in sede di accordo contrattuale. Non sembra, quindi, azzardo prospettare un’applicazione delle norme sulla nullità in funzione solidaristica, come del resto già avviene in maniera silente.
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