Nullità per carenza di motivazione e infondatezza della violazione contestata

sentenza 26/07/07
SENTENZA CTR Perugia   li, 8 Giugno   2006
                     RGA 55/05 – SEDUTA PUBBLICA
 
IMPOSTA         :       ANNO 1996- ACCERT.  INDUTTIVO PER  LAVORO NERO
 
CONTROVERSIA :      NULLITÀ PER CARENZA DI MOTIVAZIONEE
                                    INFONDATEZZA DELLA VIOLAZIONE CONTESTATA
 
NUM. SENT.1°GR. :          N° 98/3/03   del   20 /11 /03
 
APPELLO    DI        :          AGENZIA DELLE ENTRATE
 
 DITTA                     :         DITTA +++ DI +++ 
 
 
 
 
 
COLLEGIO :    Presidente                     ************* *******
                              Giudice Relatore -Estensore ******************
                              Giudice                            Rag. **************
 
MASSIMAGli avvisi di accertamento cosi come quelli di liquidazione, devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati.
           Se la motivazione fa riferimento a un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato, a pena di nullità ,  all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale " (art.42 del D.P.R. 600/73 co.ma2,3 ,cosi come nell’’art. 6 , comma1 del D.Lgs. n. 32 del 26 gennaio 2001-che modifica l’art. 11, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 504/92, confermato e rafforzato dall.7,co.ma 1 dello Statuto del contribuente Legge 212/2000)”
           Se la motivazione dell’atto impositivo fa riferimento ad un altro atto che viene così richiamato, questo deve essere messo a disposizione del soggetto interessato entro i termini in cui questi può proporre l’impugnazione, non rilevando che l’esibizione avvenga successivamente nel corso del procedimento contenzioso.
 
 
 
 
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
FATTI.
            +++ +++, dipendente della società +++ di +++ S.n.c  inoltrava denuncia alla Direzione Provinciale del Lavoro , per  non aver ricevuto corresponsione negli anni dal 1996 al 1999 di emolumenti in parte "in nero" ed in parte "fuori busta" dalla medesima società .
            Seguiva una  Ispezione presso la ******à di che trattasi da parte dello stesso Ente Previdenziale (INPS) il cui rapporto, veniva portato a  conoscenza della Guardia di Finanza di Perugia.
            La G.d.F. , effettuava una verifica fiscale presso la stessa società per il periodo dal 1.01.1996 al 31.12.1999 ,  redigendo  processo verbale di constatazione n. 169 in data 9.12.2002 , con il quale rilevava ai fini tributari l’infedele dichiarazione del sostituto d’imposta nonché l’omesso versamento delle ritenute d’acconto sugli emolumenti corrisposti al predetto dipendente.
            Sulla scorta di tali risultanze l’Agenzia delle Entrate di Perugia, con avvisi di accertamento, provvedeva ad accertare i maggiori imponibili corrisposti, le ritenute non operate e non versate nonché le conseguenti sanzioni per gli anni 1996, 1997, 1998 e 1999
           Ricorreva il +++  , chiedendo l’annullamento dei suddetti avvisi di accertamento eccependo :
·       la nullità sotto il profilo sia della carenza della motivazione dell’accertamento
·       l’insussistenza delle violazioni contestate.
      Osserva infatti che ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. 600/1973 che l’avviso di accertamento è nullo per essere del tutto mancante la motivazione nell’atto.
            La motivazione può essere legittimamente dedotta per relationemquando si fa riferimento a precedenti atti, già conosciuti dal contribuente e previamente ricevuti dal contribuente;
            Nel caso di specie , il contribuente  reclama il fatto che si è instaurato un procedimento nato da  una "denuncia" del lavoratore anzidetto “ del tutto sconosciuto al contribuente., su cui si basa l’intero accertamento in questione . La mancanza negli atti di accertamento di tale documentazione , vizia in maniera irrimediabile l’atto nel suo complesso poiché priva il contribuente della possibilità di una completa difesa. Inoltre essendo una dichiarazione di parte , non costituisce prova certa con la conseguente inattendibilità di quanto affermato dal +++
            Resiste l’Ufficio, ritenendo senza pregio alcuno ed assolutamente pretestuose le eccezioni mosse dalla parte.
            Afferma che in sede di verifica la G.di F. aveva reso edotto il +++, quale rappresentate legale della società, dei motivi dell’intervento e che controparte fin dall’inizio dell’attività di verifica era a conoscenza dell’esistenza della denuncia del dipendente +++ e ben avrebbe potuto richiederla e visionare copia della predetta denuncia ai sensi della legge n°212/2000                   (statuto dei diritti del contribuente) presso la Direzione Provinciale del Lavoro che tale verifica aveva originato
             I Giudici di primo Grado , respingevano il ricorso, compensandone le spese di giudizio. Osservano che le argomentazione addotte dal contribuente  sono infondate e sulle verbalizzazioni effettuate sia dalla Direzione Provinciale del Lavoro che della G. di F. portate a conoscenza del ricorrente, il contribuente non risulta abbia formulato eccezioni sulle correttezza delle conclusioni cui i verbalizzanti sono pervenuti.
             Si appella la parte ,chiedendo il rigetto del gravame giacché infondato e pretestuosoe la conferma della illegittimità degli atti impositivi per cui è causa.
            Ribadendo sostanzialmente quanto già riferito nel primo grado di giudizio, osserva infatti l’insanabile nullità della motivazione degli avvisi di accertamento,  in quanto sia il verbale di ispezione della Direzione Provinciale del Lavoro (richiamato dalla Guardia di Finanza nel p.v. ) sia il verbale di constatazione della Guardia di Finanza (richiamato dagli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate ) fanno riferimento alla denuncia presentata dal dipendente +++ della quale controparte dichiara di non essere mai venuta a conoscenza e della quale pertanto non ha potuto valutare gli elementi di fatto fondanti.
           Da ciò consegue che la mancanza di motivazione sostanziale dell’atto impugnato rende superflua, per quanto detto in merito alla menomata possibilità di difesa, ogni prova contraria nel merito, al di là della semplice negazione dei fatti surrettiziamente posti a fondamento della pretesa dellUfficio finanziario, come per altro già attuata dalla difesa del ricorrente.
            Insiste anche sul fatto che non  esistono prove che il +++ abbia lavorato in nero per i periodi apoditticamente indicati dall’Ufficio e  quindi la domanda ,dell’Ufficio medesimo, deve essere anche respinta perché non provata.
            L’appellante, con successiva memoria integrativa, sostenendo ancora strenuamente quanto già detto in appello, deposita copia della conciliazione giudiziale della lite, dove si evince  che le parti , +++ e +++ri di +++ , hanno conciliato avanti il Tribunale di Perugia sez. lavoro, con verbale del 10.2.2006, affermando che la stessa conciliazione prova che quanto affermato dal +++ in atto di ricorso è stato del tutto rinunciato e che, quindi, definitivamente provato che il +++ non è mai stato tenuto in nero dalla +++.
            Costituendosi in giudizio , l’Agenzia delle Entrate , osserva che correttamente i primi giudici hanno ritenuto l’eccezione assolutamente pretestuosa in quanto "i motivi dell’imposizione tradotti nell’avviso di accertamento sono la risultanza di verbalizzazioni effettuate sia dalla Direzione Provinciale del Lavoro che dalla Guardia di Finanza portate a conoscenza del ricorrente, il quale non risulta aver formulato eccezioni sulla correttezza delle conclusioni cui i verbalizzanti sono pervenuti", limitandosiil contribuente ad un richiamo esclusivamente riferito a deduzioni per “relationem” degli Uffici interessati. non avendo cura di dare dimostrazione dell’insussistenza dei motivi addotti dall’Ufficio".
 
MOTIVI DELLA DECISIONE – DIRITTO
Il Collegio giudicante , esaminati i documenti agli atti , ascoltato l’Ufficio ed il difensore del contribuente, entrambi presenti all’udienza pubblica, ritiene fondate le eccezioni mosse dal contribuente.
           Si deve subito rilevare che , né la denuncia inviata all’Ispettorato del lavoro dal dipendente della società in questione, né il rapporto dell’Ispettorato sono presenti agli atti del processo, cosi come il fatto che nel p.v.della G.d.F. di cui si è servita l’Agenzia delle Entrate per l’accertamento di che trattasi, viene riportato testualmente : “… con nota pro.nr.7715 la Direzione Prov. Del Lavoro segnalava –vedasi Allegato nr.1- che nel periodo …. la società in verifica ha corrisposto al citato lavoratore emolumenti mensili in nero per L… ecc..”
           Senonchè l’allegato N°1 a cui si fa riferimento nel p.v.della G.di F , è un semplice foglio con sottoscritto – Ispettori e relativa firma – nel quale viene riportato che “….il dipendente +++ dal 2/5/95 al 16/2/97 ha lavorato in nero percependo la retribuzione di L……. ecc….”
     Dagli atti in questione  emerge, che l’accertamento di cui trattasi , prende sostanza unicamente da elementi noti solamente all’Ispettorato del lavoro , dei quali la G.d.F né ha sposata la tesi,senza portare elementi nuovi e aggiunti,cosi come l’Agenzia delle Entrate con accertamento.
           Sta di fatto però, che non si ha conoscenza né del contenuto e circostanze della denuncia effettuata dal dipendente , ne si ha conoscenza se esistono prove di natura testimoniali o  documentali e quanto altro, sulle quali si sono fondati i primi rilievi dell’Ipettorato del Lavoro.
           In questo caso il rinvio per ” relationem” ,  oltre che carente è viziato di nullità  doppiamente, perché lo è , sia nei fatti conoscitivi che si sono passati tra i vari organi verificatori e accertatori che hanno contribuito al processo di creazione dell’accertamento di che trattasi , sia nei confronti del contribuente. 
           E’ giurisprudenza ormai costante che gli avvisi di accertamento, di cui è controversia  , cosi come quelli di liquidazione,  devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati. Se la motivazione fa riferimento a un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale" (art.42 del D.P.R. 600/73 co.ma2,3 ,cosi come nell’’art. 6 , comma1 del D.Lgs. n. 32 del 26 gennaio 2001-che modifica l’art. 11, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 504/92, confermato e rafforzato dall.7,co.ma 1 dello Statuto del contribuente Legge 212/2000)”     Al riguardo, è bene rilevare altresì che nel caso in cui la motivazione dell’atto impositivo faccia riferimento ad un altro atto che viene così richiamato, questo deve essere messo a disposizione del soggetto interessato entro i termini in cui questi può proporre l’impugnazione, non rilevando che l’esibizione avvenga successivamente nel corso del procedimento contenzioso, cosa che non è avvenuta per il caso di cui trattasi.
           Non sembra pertanto che per il caso in questione , il contribuente, sia stato messo in condizione di conoscere tutti gli elementi essenziali della pretesa tributaria, per poter efficacemente esercitare l’inviolabile diritto alla difesa, sancito dal secondo comma dell’art. 24 della Costituzione, in ogni stato e grado del procedimento contenzioso.
           Poca rilevanza assume , cosi come affermato dall’Ufficio che il contribuente abbia avuto sentore e conoscenza della vertenza giudiziale davanti al Giudice del lavoro mossagli dal dipendente, sia perché i due processi giurisdizionali sono autonomi ,sia perché la stessa conciliazione avvenuta , non ci riporta obbiettivamente a cognizioni di causa su eventi certi intervenuti.
             Sul fronte anche del rilievo mosso dal contribuente circa la insussistenza delle violazioni contestate, nasce, come conseguenza di quanto sopra detto,  una possibilità di incertezza e una ipotetica inattendibilità delle medesime violazioni , per mancanza di prove certe documentate e incontrovertibili . Infatti  dal momento che le dichiarazione di un terzo assunte senza il necessario  contraddittorio della parte costituiscono “ prove aliunde” , cioè prove provenienti  da altra fonte e da altra persona  e come tali  non possono costituire da sole  elementi di prova , anche perché sulle stesse non si sono prodotti “ valori aggiunti incontrovertibili né di natura documentale, nè di natura testimoniale  ”sia da parte dell’Ispettorato del Lavoro che della ******* per giustificarne semplicemente “ipso fatto “ la pretesa tributaria.
            Ciò premesso ,
·       considerato che il giudice tributario è tenuto a verificare se gli atti notificati al contribuente contengano tutti gli elementi necessari ad individuare la pretesa tributaria ;            Considerato che ,diversamente , da come asserisce l’Agenzia delle Entrate , l’onere della prova della pretesa impositiva nel caso in questione incombe sull’Amministrazione Finanziaria , aspetto tra l’altro,  rafforzato dall’art.7.- Chiarezza e motivazione degliattidella legge n.212/2000  (statuto dei diritti del contribuente) che impone che “ se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama “;
·       Considerato che non può ritenersi assolto suddetto onere attraverso il mero richiamo ad un atto che non è stato mai allegato in giudizio ne mai acquisito al contraddittorio, con la conseguenza che al giudice tributario, i cui poteri d’iniziativa istruttoria sono, peraltro, circoscritti dall’art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, attualmente limitati dalla recente modifica legislativa con l’abrogazione del comma 3 ,art.7 ( D.L. 203/2005 convertito in L.n°248/2005 ) "nei limiti dei fatti dedotti dalle parti" –non gli è consentito di condividere le conclusioni contenute in un atto mai sottoposto, nelle forme processualmente stabilite, al suo esame (************ n. 2203 /2006 )
·       Considerato che il richiamo agli altri atti e verbali di constatazione in questione riportato nell’atto di accertamento,rivestono carattere essenziale e non semplicemente aggiuntivo ( Vedi Cassaz. Sent.n°12394 del 22/08/2002) ;
Per tutto quanto sopra  , questo Collegio accoglie la richiesta del contribuente e ritiene nullo l’atto di accertamento.
 La natura particolare del contenzioso, giustifica la compensazione delle spese
                                                          P.Q.M.
In riforma della sentenza appellata ,annulla l’ atto di accertamento , spese compensate
 
Perugia li, 8 Giugno 2006
 
Il Presidente                                                     Il Relatore  
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