Abstract
Con la l.103/2017 (cd. Riforma Orlando) il Legislatore ha introdotto nella disciplina di parte generale del Diritto Penale, all’art. 162-ter c.p., una nuova causa di estinzione del reato dichiarata dal giudice “quando l’imputato (abbia) riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e (abbia) eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato […]”. Il presente contributo, tenendo debitamente conto dei principi ed istituti essenziali su cui si fondano il diritto penale e processuale penale minorile e dopo aver effettuato debita ricognizione dell’articolo di nuova introduzione, si interroga sulla possibilità di applicare la nuova causa estintiva del reato in sede di processo celebrato nei confronti di un imputato minorenne, il quale, privo di autonomia patrimoniale, per poter riparare il danno, ovvero presentare offerta reale nei modi stabiliti dal Codice Civile, deve necessariamente far riferimento alla figura di un soggetto terzo quale l’esercente la responsabilità genitoriale.
La Riforma Orlando e le modifiche apportate al Codice Penale
La legge n.103 del 23 giugno 2017, cd. Riforma Orlando, è intervenuta con una serie di modifiche al sistema penale sostanziale, aventi il duplice scopo di perseguire da un lato intenti deflattivi, di alleggerimento del carico penale (si pensi all’introduzione della nuova causa estintiva del reato di cui all’art. 162-ter c.p., tesa “a favorire la rapida fuoriuscita dal circuito penale degli imputati per i reati ritenuti meno gravi, attraverso attività riparatorie”[1], oppure ancora alla delega al Governo per il riordino della procedibilità a querela di taluni illeciti, oggi perseguiti d’ufficio), dall’altro il potenziamento ed evoluzione della disciplina delle misure di sicurezza e dell’ordinamento penitenziario[2].
Analizzando il contenuto dell’articolo unico della Riforma, è possibile sintetizzare di seguito le novità sostanziali introdotte dal Legislatore
I) istituzione di una nuova causa di estinzione del reato mediante l’inserimento dell’art.162-ter c.p. nel Libro I, Titolo IV, Capo I del Codice penale, a cui sono dedicati i commi 1-4 della l.103/2017;
II) modifica delle cornici edittali dei reati di scambio elettorale politico-mafioso ex art. 416-ter c.p., di furto in abitazione e furto con strappo ex art. 624-bis c.p., di furto aggravato ex art. 625 c.p., di rapina ex art. 628 c.p. (sia del delitto base di cui al comma 1 che del delitto aggravato di cui al comma 3) e di estorsione ex art. 629 c.p., a cui sono dedicati i commi 5-9[3],
III) modifica alla disciplina delle cause interruttive e sospensive della prescrizione con intervento sugli artt. 158, 159, 160 e 161 c.p., a cui sono dedicati i commi 10-15,
IV) attribuzione di delega al Governo ad adottare, attraverso i commi 16-20, entro un anno dall’entrata in vigore del testo di legge, misure volte a: -introdurre la procedibilità a querela di parte di taluni reati contro la persona (puniti con sola pena pecuniaria, oppure puniti con pena detentiva non superiore, nel massimo, a 4 anni, a patto che il reato non sia stato commesso in danno di incapace per età o per infermità e non ricorrano circostanza aggravanti speciali, ovvero le circostanze previste dall’art. 339 c.p.) e contro il patrimonio[4], salvo i casi di danno rilevante arrecato alla persona offesa; -rivedere l’attuale sistema delle misure di sicurezza; -rivedere la disciplina del casellario giudiziale ed eliminare la previsione “dell’iscrizione dei provvedimenti applicativi della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, prevedendo che sia il pubblico ministero a verificare, prima che venga emesso il provvedimento, che il fatto addebitato sia occasionale”; -rimodulare i limiti temporali per l’eliminazione di talune iscrizioni delle condanne per fatti di modesta entità[5].
Con riferimento alla modifica della disciplina della prescrizione, oltre alla positiva introduzione di una nuova causa sospensiva del decorso dei termini prescrizionali per i reati di cui all’art. 392 co.1-bis c.p.p. commessi in danno di minorenni, attuativa delle disposizioni della Convenzione di Istanbul del 2014[6], giova evidenziare l’ulteriore intervento effettuato sui tempi massimi necessari a prescrivere per i reati del microsistema repressivo della corruttela, in caso di intervento di cause interruttive ex art. 160 c.p.; in particolare, per i reati di cui agli artt. 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis c.p., il tempo massimo necessario a prescrivere, ora, non potrà superare il termine ordinario, aumentato della metà (mentre antecedentemente alla Riforma Orlando, il tempo massimo a prescrivere non avrebbe potuto superare di un quarto quello ordinariamente previsto).
Tale scelta operativa apparare, tuttavia, criticabile sotto due punti divista: a) per l’omissione dell’inclusione del reato di concussione ex art. 317 c.p. nell’elenco delle fattispecie riportate nel novellato co.2 dell’art. 161 c.p., b) per la dimenticanza del dato pratico fondamentale circa il fenomeno della corruzione, ovvero il lasso di tempo che usualmente intercorre fra la consumazione del reato e la concreta acquisizione della notitia criminis da parte delle autorità. Essendo questa porzione di tempo, antecedente all’avvio delle indagini preliminari, insensibile alle cause interruttive e sospensive della prescrizione del reato, l’allungamento dei tempi massimi di prescrizione avrà, nella pratica, un’utilità assai limitata, poiché l’avvenuta conoscenza della notizia del pactus sceleris, solitamente, richiede molto tempo[7].
Nuova causa estintiva del reato per condotte riparatorie ex art. 162ter c.p
Attraverso una serie di modifiche al Codice Penale, con la novella del 2017, spinto dalle esigenze di alleggerire il carico penale e di favorire la soddisfazione delle pretese risarcitorie della vittima[8], il Legislatore ha introdotto un nuovo istituto di parte generale all’art. 162-ter c.p., finalizzato a valorizzare il cd. pentimento reale quale causa estintiva del reato[9] (ovvero un pentimento che si concretizza nei fatti con una condotta avente funzione antagonista all’offesa cagionata[10]) dell’imputato che, entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, abbia “riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e (abbia) eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato”.
Nel secondo periodo del comma 1, inoltre, si è dato altresì rilievo alla condotta risarcitoria realizzata mediante offerta reale (e successivo deposito) ai sensi degli articoli 1208 e ss. del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, sottoposta la vaglio del giudice il quale ne deve riconoscere la congruità della somma offerta a titolo di riparazione.
La norma in esame, come già anticipato, assume la veste di causa di estinzione del reato di natura soggettiva (valevole, cioè, per il solo imputato che, in caso di concorso, abbia -adempiuto al comportamento richiesto, con la conseguenza della non estensibilità al correo inadempiente[11]), sopravvenendo la stessa in un momento in cui il reato si è già perfezionato ed incidendo sulla punibilità in astratto per effetto del ritorno del reo “nel terreno della legalità”[12], operante per i soli reati procedibili a querela di parte (rimettibile) e configurabile in almeno tre diverse varianti operative:
a) condotta riparatoria ed eliminatoria delle conseguenze dannose del reato entro il termine dell’apertura del dibattimento;
b) condotta riparatoria realizzata mediante presentazione di offerta reale e successivo deposito (artt. 1208 e ss. c.c.) in caso di mancata accettazione da parte della persona offesa e comunque fatto salvo il giudizio di congruità del giudice di merito;
c) condotta riparatoria con concessione del termine (co.2 dell’art. 162-ter c.p.) per l’imputato che dimostri di non aver potuto adempiere a tali condotte, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine dell’apertura del dibattimento. In tal caso, il giudice può fissare un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per permettere all’imputato di provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento[13];
Procedendo secondo un approccio analitico, deve darsi conto delle due condizioni preliminari per l’operatività dell’istituto in oggetto: quella positiva della verificazione di un reato procedibile a querela di parte rimettibile e quella negativa della mancata remissione di querela da parte della persona offesa, in seguito alla riparazione del danno da parte del reo.
Circa la prima condizione preliminare, necessaria è la commissione di un reato procedibile a querela di parte – senza limitazioni relative alla cornice edittale –, purché rimettibile (con la conseguenza pratica che esulano dall’operatività dell’art. 162-ter c.p. i reati di violenza sessuale e atti sessuali con minorenne ex art. 609-bis e 609-quater c.p., nonché il reato di atti persecutori, realizzato secondo le condotte di cui all’art. 612 co.2 c.p.). Sulla portata applicativa della disposizione, si segnala il recentissimo intervento riformatore operato dalla legge n.172 del 4 dicembre 2017 con cui si è provveduto a porre rimedio all’originaria versione della Riforma Orlando che consentiva l’applicazione della presente causa estintiva anche al reato di atti persecutori nella forma base, ovvero commesso in assenza delle modalità previste dall’art. 612 co.2 c.p., essendo il predetto delitto procedibile a querela di parte (e rimettibile)[14]. In particolare, si è provveduto ad aggiungere un quarto comma dell’art.162-ter c.p., il quale prevede che “Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all’articolo 612-bis c.p.” [15].
Sul tema dei reati coinvolti dalla novella in studio, si evidenzia come il testo finale della disposizione in studio, oggi in vigore, diverga dall’iniziale formulazione avanzata nel progetto di riforma promosso dalla Commissione Fiorella per la revisione del sistema penale, istituita il 14 dicembre 2012[16]. Nel progetto iniziale, infatti, al campo d’azione dell’art. 162-ter c.p. era stata riservata una porzione più ampia di reati “riparabili”, poiché si sarebbe potuto applicare anche a taluni illeciti contenuti nel “Titolo XIII – Reati contro il patrimonio”, procedibili d’ufficio (si ricordano: il furto circostanziato ex art. 625 n.2, n.4, n.6 e n.8-bis c.p., l’introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo, nonché l’uccisione o danneggiamento di animali altrui), con espressa eccezione per quegli illeciti consumati mediante violenza personale statuita nell’allora ipotizzato art. 649-bis c.p., unitamente ai reati di riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ex artt. 648-bis e ter c.p[17].
Considerata l’attuale esigua portata applicativa – nonostante il d.lgs. 36/2018 abbia ampliato la sfera d’azione del presente istituto, portando taluni reati sotto il regime di procedibilità a querela[18] – in un futuro si potrà forse ripensare all’ampliamento del raggio d’azione della disposizione, potenzialmente estensibile “a tutti quei reati in cui sia ravvisabile un interesse pubblico al ripristino della situazione che si presenti più forte e pressante di quello della persecuzione penale”[19]. Per altro, in ottemperanza all’adozione dei decreti attuativi della delega contenuta nel comma 16 della l.103/2017 per il riordino della procedibilità a querela dei reati minori, sarà comunque possibile assistere ad una probabile dilatazione dell’operatività dell’art. 162-ter c.p.
Riguardo la seconda condizione operativa di segno negativo, necessaria appare essere la mancata remissione della querela da parte della persona offesa[20], in seguito al contegno riparatorio tenuto dal reo. Ciò, evidentemente a causa della mancata soddisfazione delle pretese avanzate dalla vittima, in disaccordo sull’entità o sulla ragione del risarcimento avvenuto in occasione della commissione del reato[21]. Se vi fosse remissione, infatti, il procedimento penale dovrebbe giungere a naturale estinzione per mancanza di condizione di procedibilità, senza nemmeno passare al vaglio di merito del giudice ed arrestandosi all’accoglimento del G.I.P. della richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari (mentre per l’applicabilità dell’art. 162-ter c.p. è necessario addivenire alla fase processuale del procedimento penale, stante il richiamo letterale della disposizione alla funzione valutativa esclusivamente attribuita al giudice e non al PM[22]).
Entrando nel merito del contegno richiesto al reo, per beneficiare della nuova causa di estinzione del reato, è necessario che l’imputato ponga in essere una condotta riparatoria integrale (e non solamente parziale) e che, congiuntamente, si adoperi, ove possibile, ad eliminare le conseguenze dannose della sua azione (salva la modalità eventualmente alternativa di presentazione di offerta reale ex art. 1208 c.c.). Tale comportamento dovrà necessariamente avvenire “entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, salva la concessione del termine di sei mesi qualora l’imputato provi che, per causa a lui non imputabile, non sia stato in grado di adempiere alle condotte riparatorie entro il termine ordinario richiesto dalla disposizione[23].
In via alternativa, all’imputato è altresì consentito presentare offerta reale rispettando le disposizioni dettate dagli artt. 1208 e ss. c.c.; secondo i requisiti di validità ivi stabiliti: a) il creditore deve essere capace di ricevere, b) l’offerta deve essere formulata dall’imputato che possa validamente adempiere (con tutti i problemi applicativi nei casi in cui l’imputato non sia capace di agire, perché ad esempio, minorenne), c) l’offerta deve comprendere la totalità della somma o delle cose dovute (completezza della riparazione)[24].
In seguito all’offerta, evidentemente non accettata dalla persona offesa, il giudice ne valuterà la congruità e potrà dichiarare in seguito l’estinzione del reato una volta che l’imputato abbia eseguito il deposito nelle forme stabilite dall’art. 1210 c.c.
L’utilizzo della richiesta di avvenuto risarcimento integrale del danno menzionata nel comma primo ha sollevato alcuni dubbi circa i profili di eventuale incostituzionalità della disposizione in esame per contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., essendo formulata secondo una logica discriminatoria su base censitaria: “chi può pagare il congruo risarcimento viene esentato dalla condanna penale, mentre chi non ha capacità economica, dovrà subire il processo e l’eventuale condanna”[25]. In proposito, appare tuttavia opportuno segnalare come già in passato la Corte Costituzionale si sia espressa sulla legittimità degli istituti penali-premiali fondati sulle condotte riparatorie del danno conseguente alla commissione di un reato, quali ad esempio la circostanza attenuante ex art. 62 n.6 c.p., negando che tali previsioni normative, sebbene prima facie censitarie, contrastino sia con il principio di uguaglianza che con il diritto di difesa ex art. 24 Cost., poiché l’ordinamento prevede sì diritti soggettivi ai quali riserva tutela mediante il processo, ma allo stesso tempo non prevede il cd. “diritto all’attenuante” [26], dovendosi configurare come onere[27], e non diritto soggettivo, lo sforzo sostenuto dall’imputato per ottenere un vantaggio processuale (per es. il riconoscimento dell’attenuante, oppure l’estinzione del reato per condotte riparatorie).
L’assenza di qualsiasi specificazione legislativa circa il contenuto concreto delle condotte riparatorie (individuate nelle restituzioni, intese come il ripristino della situazione preesistente alla commissione del reato, o nel risarcimento del danno civile in forma specifica, se oggettivamente possibile, oppure per equivalente) solleva, inoltre, l’interrogativo su quale sia effettivamente il danno ristorabile; quesito, questo, che riceverà risposta solo in sede di applicazione giurisprudenziale. Alcune voci in dottrina[28], attualmente, ritengono di dover dar rilievo al solo risarcimento del danno criminale, non rivestendo autorità di giudicato nel giudizio civile l’eventuale pronuncia del giudice penale circa l’estinzione del reato. La causa di estinzione del reato, per altro, comunemente non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti da illecito[29].
Al fine di vagliare l’integralità della riparazione del danno, oltre che necessaria per espressa previsione di legge (“il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa […]”), utile – ma non vincolante nel contenuto – sarà l’audizione della persona offesa da parte del giudice[30].
Circa l’eventuale adempimento delle condotte riparatorie poste in essere dal terzo, l’attuale formulazione letterale, incentrata sull’attività personale dell’imputato, impedisce l’accoglimento di eventuali contegni posti in essere da soggetti terzi, quanto meno in presenza di reati caratterizzati dall’elemento soggettivo del dolo[31]. In attesa di un futuro sviluppo giurisprudenziale sul tema, al momento potrebbe suggerirsi il richiamo, in via analogica, di quelle valutazioni dottrinali[32], avallate anche dalla Corte Costituzionale[33], formulate in passato sulla rilevanza del risarcimento del danno ad opera del terzo in materia di reati colposi nel settore dell’infortunistica stradale nell’ambito applicativo di figure ritenute “cugine” del 162-ter c.p., quali la disposizione ex art. 62 n.6 c.p. (circostanza attenuante per condotte riparatorie) e la disposizione ex art. 35 del d. lgs. 274/2000 (estinzione del reato per condotte riparatorie nell’ambito del giudizio innanzi al g.d.p.). In particolare, restando ferma la regola generale dell’irrilevanza della condotta riparatoria del terzo, il risarcimento ad opera dell’ente assicuratore, in forza di una polizza r.c. stipulata dall’imputato o da chi agisce in suo nome e per suo conto, deve ritenersi idoneo ad integrare il beneficio premiale, poiché, affermando il contrario, apparirebbe paradossale dover richiedere all’imputato di non avvalersi dell’assicurazione obbligatoria richiesta dalla legge civile, al solo fine di adempiere personalmente alle obbligazioni risarcitorie in modo da ottenere, alternativamente, il riconoscimento della causa estintiva del reato (nel procedimento innanzi al g.d.p.) o dell’attenuante ex art. 62 n.6 c.p.[34].
Sempre in materia di condotte riparatorie del terzo, ed anticipando quindi la trattazione di quello che è il tema centrale affrontato nel presente contributo nei par. 3-5, diverso ragionamento e diverse valutazioni debbono riservarsi alle riparazioni effettuate dall’esercente la responsabilità genitoriale in occasione del processo celebrato verso il minore imputato, atteso che la sua incapacità legale di agire lo renderebbe, almeno astrattamente, impossibilitato ad adempiere autonomamente a quanto richiesto dall’art. 162-ter c.p. e, di conseguenza, lo escluderebbe ex lege dal godere del beneficio istituito dalla Riforma Orlando (con l’ulteriore risultato di rendere incostituzionale la nuova disposizione per contrasto con il principio di uguaglianza fra imputato minorenne e imputato maggiorenne).
L’affinità sostanziale, o più opportunamente la parziale sovrapponibilità applicativa fra le modalità operative della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie e la preesistente circostanza attenuante ex art. 62 n.6 c.p. impone, da ultimo, una breve ricognizione dei rapporti di reciprocità e di esclusione intercorrenti fra le due disposizioni.
Come in precedenza ripetuto più volte, la nuova causa di estinzione, applicandosi ai soli reati puniti a querela rimettibile, richiede l’avvenuta riparazione del danno, e, congiuntamente, la cancellazione delle conseguenze dannose del reato (laddove possibile), mentre la circostanza attenuante per ravvedimento operoso del reo, al fine del suo riconoscimento giudiziale, necessita alternativamente uno dei due contegni di pentimento sopraindicati, potendosi applicare indistintamente a tutte le figure di reato.
Ciò premesso, i futuri rapporti fra l’art. 162-ter c.p. e l’art. 62 n.6 c.p. possono compendiarsi come segue[35]:
a) in caso di reato procedibile a querela rimettibile, accertati i contegni riparatori integrali e di cancellazione delle conseguenze dannose del reato, il giudice dichiarerà la più favorevole estinzione del reato ex art. 162-ter c.p.;
b) in caso di reato procedibile a querela rimettibile, accertata la sola riparazione del danno, oppure la sola cancellazione delle conseguenze dannose del reato, il giudice applicherà la circostanza attenuante ex art. 62 n.6 c.p.;
c) in caso di reato procedibile d’ufficio (o a querela non rimettibile), accertata la condotta riparatoria e la cancellazione delle conseguenze dannose, il giudice applicherà la circostanza attenuante ex art. 62 n.6 c.p. .
Brevi cenni sulle dinamiche processuali e sulla disciplina transitoria
Ultimata l’analisi essenziale degli aspetti sostanziali della disposizione, occorre spendere alcune parole riguardo i raccordi penal-processuali dell’istituto, nonché la disciplina transitoria dettata dai commi 2, 3 e 4 della l.103/2017.
Quanto al funzionamento processuale della nuova disposizione, ribadendo in primis esclusione dell’operatività dell’art. 162-ter c.p. nella fase procedimentale delle indagini preliminari, il giudice dovrà rilevare d’ufficio il positivo compimento dei comportamenti prescritti dall’art. 162-ter c.p. e, dopo aver sentito le parti e la persona offesa, dichiarare la sussistenza della causa estintiva del reato con sentenza di proscioglimento ex art. 531 c.p.p. (come già accade in occasione in applicazione delle altre cause esistenti nel Codice), non dovendosi richiedere alcuna iniziativa di parte dell’imputato, salvo il limitarsi a produrre idonea prova dell’avvenuta riparazione del danno ed eventuale eliminazione delle conseguenze dannose[36].
Nulla dice la disposizione riguardo le sanzioni processuali in caso di mancata audizione della persona offesa, così come nulla viene disposto circa l’onere motivazionale e la forma del provvedimento da adottare in caso di valutazione negativa delle condotte riparatorie.
Altre lacune processuali sono state rilevate in tema di decreto penale di condanna, non essendo stata fatta alcuna menzione dell’eventuale condotta riparatoria compiuta in sede di opposizione, oppure ancora in tema di accesso ai riti premiali, considerata la coincidenza del termine per chiedere, ad esempio, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e il rito abbreviato[37].
Recentemente, la Suprema Corte ha affermato l’applicabilità dell’istituto anche in sede di giudizio di legittimità[38].
In tema di disciplina transitoria, l’art. 162-ter c.p. acquista efficacia retroattiva, essendo “applicabile anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e il giudice dichiara l’estinzione anche quando le condotte riparatorie siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”. A tale proposito, il comma 3 della Riforma Orlando consente all’imputato “nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, di chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato […]. Nella stessa udienza l’imputato, qualora dimostri di non poter adempiere, per fatto a lui non addebitabile, nel termine di sessanta giorni, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi […]. Con l’assegnazione del termine, il giudice contestualmente ordina la sospensione del processo sino alla data della nuova udienza, causando la consequenziale sospensione del decorso del termine prescrizionale.
Diritto penale e processuale minorile, scopi e principi
Al fine di affrontare il tema della rilevanza delle condotte riparatorie poste in essere dal terzo (esercente la responsabilità genitoriale) a beneficio dell’imputato minorenne per l’applicazione dell’art.162-ter c.p., appare fondamentale, preliminarmente, richiamare alla memoria la specificità dello scopo del rito penale minorile e di alcuni dei principi fondamentali che reggono tale processo introdotto nel 1988. Il richiamo alle disposizioni relative al processo minorile oggi vigenti, infatti, consente di anticipare, in prima battuta, che l’attività ed il ruolo processuale esercitati dal responsabile genitoriale non possono essere completamente isolati rispetto alla sfera giuridica del minore sottoposto alla sua responsabilità.
Il cammino della differenziazione tra processo penale a carico di adulti e quello a carico di minori è avvenuto solo in epoca relativamente recente. Per lungo tempo, infatti, la scarsa sensibilità per i diritti dell’individuo ed, in particolare, per le esigenze specifiche dei soggetti di giovane età, ha impedito l’istituzione di un sistema di giustizia penale differenziato[39].
Storicamente, si ricorda che, ancora nel corso del XIX secolo, i minori venivano processati secondo le regole applicate agli adulti e solamente nel 1899 a Chicago venne istituito il primo tribunale specializzato, incaricato di giudicare solo i minorenni, la Juvenile Court.
L’istituzione di questo tribunale diede avvio ad un processo di modifica dell’assetto delle corti penali, giunto, poi, fino in Europa. In Italia il processo minorile fece la sua comparsa nell’ordinamento giuridico nel 1934 con l’introduzione dei tribunali specializzati per i minori, mediante il R.D. n. 1404 del 20 luglio 1934 titolato “Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni”, sostituito successivamente dal D.P.R. n. 448 del 22 settembre 1988, attualmente in vigore, recante “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”[40].
L’attenzione per la specificità dell’attività dell’amministrazione della giustizia verso il soggetto minorenne ha trovato un riconoscimento anche a livello internazionale attraverso fondamentali documenti quali la risoluzione delle Nazioni Unite n. 40/33, approvata dall’Assemblea generale il 29 novembre 1985, concernente le “Regole minime per l’amministrazione della giustizia dei minori”, la Raccomandazione n. 87/20 del Consiglio d’Europa, approvata il 17 settembre 1987, su “Le reazioni sociali alla delinquenza minorile” e la Convenzione di New York del 20 novembre 1989[41], con particolare riferimento all’art. 40[42] che riguarda i diritti del minore accusato o riconosciuto colpevole di un reato.
Lo scopo istituzionale del processo minorile è, come per il rito ordinario, l’accertamento dei fatti e delle responsabilità penali, con l’individuazione dell’autore del reato e l’applicazione di una pena, a prescindere dall’età del reo.
Nel caso in cui, però, la commissione di un reato avvenga ad opera di un minore, pur non rinunciando all’accertamento del fatto, preminente risulta essere la finalità spiccatamente rieducativa della pena comminata. La realizzazione della pretesa punitiva deve essere subordinata all’interesse – dovere dello Stato al “recupero del minorenne”[43].
Tale visione del processo minorile deriva, anche, dalle numerose pronunce della Corte Costituzionale circa le previsioni della previgente normativa, con le quali essa ha dichiarato illegittime disposizioni processual-penalistiche incompatibili con il concetto di rieducazione del minore[44].
In particolare, l’insegnamento desumibile dalle pronunce della Corte Costituzionale muove dal principio costituzionale cardine, legato al minore, ovvero l’art. 31 della nostra Carta fondamentale.
La “protezione della gioventù” che lo Stato si è impegnato a realizzare “favorendo gli istituti necessari allo scopo” di cui all’art. 31 co. 2 Cost. ha offerto, infatti, alla Corte la più appropriata chiave di lettura dei parametri costituzionali di cui deve farsi carico il legislatore nel regolamentare il processo penale a carico di minori, dandone piena attuazione con l’introduzione di disposizioni che rispettino il più ampio scopo di tutela del minorenne e la finalità rieducativa della sanzione, in luogo delle funzioni retributive e preventive della pena[45].
Da tale impostazione deriva la necessità di un trattamento differenziato del minore rispetto all’adulto, criterio per altro rifluito nell’attuale disciplina del processo minorile, al fine, non solo di avere una funzione educativa nella fase esecutiva, ma al tempo stesso di non rendere il processo un’esperienza traumatica che possa portare a un’interruzione del percorso di crescita del minore.
Senza pretese di esaustività, ai fini della presente trattazione rilevano di seguito le differenze principali esistenti tra il processo minorile e quello svolto nei confronti dell’imputato maggiorenne:
La specializzazione del giudice → per la cognizione di qualunque reato commesso da una persona minore degli anni diciotto, si è attribuita competenza ad un giudice specializzato, quale istituto necessario per la protezione della gioventù. In particolare, per ogni sede di Corte d’Appello o sezione distaccata è istituito il Tribunale per i minorenni, quale organo collegiale costituito da due magistrati togati, cioè un magistrato d’Appello, in qualità di presidente, e uno di Tribunale, e da due giudici onorari, un uomo e una donna, scelti tra i cultori della biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia.
Un organo monocratico adempie alle funzioni di giudice per le indagini preliminari, mentre per l’udienza preliminare è competente un collegio composto da un magistrato togato e due laici. Le funzioni di Appello sono attribuite ad una sezione per i minorenni di Corte d’Appello composta da tre magistrati togati e da due esperti (un uomo e una donna).
La difesa → anche il diritto di difesa (diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell’art. 24 c. 2 Cost) assume una connotazione particolare nel processo minorile.
La necessità di assicurare efficienza ed efficacia alla funzione difensiva, in particolar modo a quella di ufficio, è stata ulteriormente rafforzata in tale processo con la previsione che il difensore sia preparato alla materia minorile mediante corsi di formazione, specializzazione ed aggiornamento.
L’art. 11 del D.P.R. 448/88 riserva il patrocinio d’ufficio a “difensori con specifica preparazione nel diritto minorile” ed iscritti ad Albo speciale, predisposto dal Consiglio dell’ordine forense, aggiornato ogni tre mesi, e trasmesso al Tribunale per i Minorenni territoriale.
Il ruolo del genitore e dell’esercente la responsabilità genitoriale → l’art. 12 del D.P.R. assicura al minorenne, in ogni stato e grado del procedimento l’assistenza affettiva e psicologica data dalla presenza dei genitori o di altra persona idonea indicata dal minore e ammessa dall’autorità giudiziaria che procede.Bisogna, però, tenere distinta l’assistenza di cui sopra, dalla assistenza in funzione integrativa della autodifesa del minorenne, riconosciuta in capo all’esercente la responsabilità genitoriale, poiché, pur potendo essere soggetto nel quale convive lo status di genitore, solo ad esso spettano diritti e poteri di valenza processuale[46].
Nello specifico, l’art. 7 dispone che l’informazione di garanzia e il decreto di fissazione dell’udienza siano notificati, a pena di nullità, anche all’esercente la responsabilità genitoriale.
Allo stesso modo, l’art. 34 dispone che l’esercente può proporre impugnazione contro il provvedimento conclusivo del processo penale minorile.
Tali previsioni normative delineano chiaramente un ruolo attivo in capo al genitore/esercente la responsabilità genitoriale dal punto di vista processuale che, pur non essendo “parte” in senso tecnico, assume l’indubbia veste di “soggetto” nel processo penale minorile[47].
La libertà personale → il fine rieducativo e la funzione pedagogica del processo contro i minori rilevano anche nell’adozione di misure precautelari o cautelari.
Partendo dal presupposto che la compressione della libertà personale risulta essere un momento altamente critico già per un adulto, a maggior ragione si deve ritenere che tali misure cautelari e precautelari possano avere un effetto maggiormente traumatico quando applicate nei confronti di un soggetto minorenne.
Per tale ragione, come si evince dal combinato disposto degli artt. 19 e 23 del D.P.R., ad esempio, la custodia cautelare in carcere può essere disposta come extrema ratio solo quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a nove anni.
Il giudice, pertanto, è chiamato ad adottare, nella maggior parte dei casi, misure cautelari meno incisive della libertà personale quali le prescrizioni, la permanenza in casa o il collocamento in comunità, tenendo sempre conto, nel disporle, “dell’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto” (art. 19 D.P.R. 448/88).
La protezione del minore → la tradizionale stigmatizzazione sociale del reo conseguente alla celebrazione del processo penale richiede una tutela rafforzata nell’ambito minorile dovendosi disporre ex lege il divieto di pubblicità (art. 13 D.P.R. 448/88)[48].
Sono vietate, infatti, la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minore sotto processo.
L’inammissibilità dell’azione civile → l’azione civile per il risarcimento del danno patito dalla parte offesa nell’illecito è considerata incompatibile con le finalità ultime del procedimento penale minorile (art. 10 D.P.R. 448/88). Tale negazione, che per altro lascia impregiudicata la possibilità di far valere il diritto al risarcimento in sede civile (senza subire il riconoscimento degli effetti delle statuizioni penali nell’ambito dell’accertamento del reato), è stata giudicata come non contrastante con le disposizioni di cui agli artt. 3 e 24 Cost. anche dal Giudice delle Leggi[49].
I riti alternativi → il processo minorile, oltre alla possibile applicazione di alcuni riti speciali del processo ordinario[50], dispone di riti autonomi congegnati per rispondere alle specifiche esigenze di questo settore della giustizia penale[51].
L’introduzione di sistemi alternativi al classico procedimento non rileva solo ai fini della durata minima del giusto processo e la razionalizzazione delle spese processuali, ma soprattutto per realizzare una maggiore tutela del minore, attuando il principio di minima offensività, evitando di creare conseguenze psicologiche e sociali irrecuperabili e cercando di reinserire e recuperare, il più velocemente possibile, il minore.
I riti alternativi presenti nel D.P.R. 448/88 sono: il perdono giudiziale (ex art. 169 c.p. – causa di estinzione del reato applicata quando la pena detentiva da infliggere è minore dei due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a 1549€, anche se congiunta alla precedente); il proscioglimento anticipato per difetto di imputabilità (ex art. 26 D.P.R. 448/88, quando si accerta che l’imputato è minore degli anni quattordici, e non vi è la possibilità di addivenire ad una pronuncia mitior, ovvero il proscioglimento nel merito, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, essendo persona non imputabile); l’irrilevanza del fatto (ex art. 27 del medesimo D.P.R., se dalle indagini preliminari risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento[52] posto in essere dal minore, il PM può chiedere al giudice la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto; allo stesso modo il giudice può pronunciarsi in tal senso in udienza preliminare, in giudizio immediato o direttissimo, se rileva le medesime condizioni); la sospensione del processo con messa alla prova e la mediazione penale (istituti dei quali si fa rinvio al paragrafo successivo).
Istituti di giustizia riparativa minorile: sospensione del processo con messa alla prova e mediazione penale
Particolare attenzione deve essere dedicata a due dei riti di definizione alternativa del processo penale a carico di minorenni, ovvero la cd. M.A.P. e il procedimento di mediazione penale. Ciò appare giustificato dalla rilevanza assunta da tali istituti al fine di dimostrare, in seconda battuta, la rilevanza processuale delle condotte riparatore poste in essere dall’esercente la responsabilità genitoriale in nome e per conto del minore.
Entrambe la M.A.P. e la mediazione penale, infatti, attualmente consentono al giudice, o alle parti in mediazione mediante accordo, la possibilità di prescrivere in capo all’imputato minorenne (o all’indagato, in caso di mediazione in sede di indagini preliminari) di adempiere alla riparazione delle conseguenze dannose del reato, ovvero di risarcire il danno cagionato, ancorché in forma simbolica, mediante l’intervento in sostegno dei propri genitori (o esercenti la responsabilità genitoriale).
La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato è disciplinata dagli artt. 28 e 29 del D.P.R. 448/88 e dall’art. 27 del d. lgs. n. 272 del 28 luglio 1989, “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R 448/88”, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
Esso offre una modalità di gestione della reazione istituzionale alla commissione di un reato alternativa rispetto a quella tradizionale, fondata sulla sequenza reato – processo – pena, per procedere, già durante il rito, alla risocializzazione del minore, in modo da rinunziare alla pena in caso di esito positivo al termine di un percorso rieducativo[53].
Nello specifico, il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo per un periodo non superiore a tre anni – quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo[54] o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni – negli altri casi per un periodo non superiore a un anno, quando ritiene di dover valutare la personalità del minore all’esito di un periodo di prova[55].
Il minore, pertanto, viene affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi sociali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. In occasione della sospensione, come anticipato precedentemente, il giudice può altresì impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione tra il minore e la persona offesa (ex art. 28 D.P.R. 448/88).
Presupposto logico per la possibilità della messa alla prova è una ammissione implicita di responsabilità da parte del minore, ovvero la comprensione dello sbaglio commesso e la sua disponibilità a svolgere un percorso finalizzato alla sua rieducazione e risocializzazione, nonché a un cambiamento della sua personalità[56]. Infatti, il legislatore, introducendo detto istituto, ha presunto, correttamente, che la personalità del minore – la quale non è ancora definita ma qualcosa che si definisce e stabilizza nel tempo – possa subire un’evoluzione a causa del decorso naturale del tempo e possa essere assecondata da un adeguato programma di sostegno, inserito nel progetto di messa alla prova[57].
I contenuti minimi del progetto sono indicati dall’art. 27 comma 2 del D.to L.vo 272/1989, secondo il quale il programma deve inderogabilmente prevedere:
Le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita.
Le prime vanno riferite ai termini dell’impegno del minore nelle attività previste e nei suoi rapporti con i servizi sociali, mentre le altre al possibile apporto che possono dare i familiari, o altre persone vicine al minore.
Gli impegni specifici che il minorenne assume.
Devono, pertanto, essere specificate nel dettaglio le attività che il minore andrà a svolgere nel periodo di messa alla prova (scuola, lavoro, attività socialmente utili, incontri nei centri Serd in caso di dipendenze da sostanze stupefacenti, etc..).
Le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale.
Le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa.
Tali prescrizioni per la riparazione, come già delineato dall’art. 28 D.P.R, posso essere impartite dallo stesso giudice, ma la norma precisa che, in ogni caso, il modus in cui devono essere eseguite deve essere esplicitato all’interno del progetto.
Il concetto di riparazione deve essere inteso nel senso più ampio del termine, riferendosi a qualsiasi condotta o adempimento che valga a garantire alla vittima una forma di restituzione o soddisfazione per il dolore e le conseguenze patiti a causa del reato, con, allo stesso tempo, una responsabilizzazione del minore.
Si tratta di un richiamo al percorso di mediazione, la quale può trovare ampio spazio anche nel progetto di messa alla prova[58].
Decorso il periodo di prova, se la sospensione ha avuto esito positivo, il giudice dichiara con sentenza di proscioglimento l’estinzione del reato (ex art. 29 D.P.R. 448/88).
Diversa portata applicativa assume invece il procedimento di mediazione penale minorile. Essa, infatti, si incardina nel sistema di restorative justice, proponendosi come modello alternativo alla tradizionale risposta dello Stato alla commissione di un illecito penale.
In particolare, la giustizia riparativa può essere vista come “un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo”[59].
Da tale definizione si possono estrapolare i tre pilastri fondamentali di tale istituto:
- L’attenzione al danno e ai bisogni della vittima;
- L’obbligazione a riparare che nasce da un percorso di auto-responsabilizzazione dell’autore del reato (percorso che non deve essere imposto ma volontario);
- Il coinvolgimento delle parti nella soluzione del conflitto[60].
Tali aspetti essenziali sono stati altresì messi in luce anche dalle Nazioni Unite, le quali nei loro “Basic Principles on the use of restorative justice programmes in criminale matters” adottati nel 2002, hanno elaborato una nozione di giustizia ripartiva che poco si discosta da quella sopra menzionata: “restorative process means any process in which the victim and the offender, and, where appropriate, any other individuals or community members affected by a crime, participate together actively in the resolution of matters arising from the crime, generally with the help of a facilitator. Restorative process may include mediation, conciliation, conferencing and sentencing circles”.
Anche a livello europeo i modelli alternativi alla giustizia penale tradizionale sono considerati di enorme rilievo e, nello specifico, fondamentali come risposte al fenomeno della delinquenza giovanile.
Dalle indicazioni contenute nella Raccomandazione 2003 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adottata il 24 settembre 2003 e concernente “Le nuove modalità di trattamento della delinquenza minorile ed il ruolo della giustizia minorile” si evince, infatti, che tra i principali obiettivi della politica criminale minorile vanno annoverati la prevenzione della delinquenza primaria e della recidiva, il reinserimento sociale dei giovani autori di reato e la soddisfazione dei bisogni e delle aspettative delle persone offese e vengono individuati, proprio i modelli alternativi, come modalità più idonea per la risoluzione delle cause con come imputati i minori.
Allo stesso modo la Raccomandazione del Consiglio d’Europa, approvata il 5 novembre 2008 concernente “Le regole europee per i minorenni autori di reato destinatari di sanzioni o misure” e “le linee guida del Comitato del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa su una giustizia a misura di minore” adottate il 17 novembre 2010, invitano a ricorrere, in tutte le fasi del procedimento che concerne un minore, a percorsi di mediazione o a misure riparative.
La riconciliazione con la vittima con una sua partecipazione diretta al procedimento, la riparazione di ciò che è stato leso, la responsabilizzazione di colui che ha commesso l’illecito, la possibilità di individuare risposte al reato diverse da quelle tradizionali risultano essere, pertanto, finalità particolarmente necessarie in una realtà come quella della devianza minorile, per la quale si cerca una soluzione che riporti alla risocializzazione e alla rieducazione del minore, più che a una sua punizione[61].
La mediazione penale risulta essere una delle manifestazioni più significative della giustizia riparativa, mirando a porre in risalto gli aspetti relazionali e dando alla persona offesa la possibilità di partecipare personalmente, dando voce alle proprie sofferenze e ai propri bisogni.
Nel D.P.R. 448/88 non è presente alcun richiamo che faccia espresso riferimento alla mediazione penale, ma il progressivo utilizzo di tale pratica è stato fatto discendere dall’esegesi dell’art. 9 comma 2 del D.P.R. che, al fine di consentire l’acquisizione di elementi utili circa la personalità del minore, ha attribuito alla pubblica accusa e al giudice la facoltà di sentire il parere di esperti, nonché dal disposto di cui all’art. 28 D.P.R., nella parte in cui, come già esplicato precedentemente, conferisce al giudice il potere di dettare prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione tra le parti[62].
Il percorso di mediazione può essere avviato in qualsiasi fase del procedimento, ma solamente quando vi è da un lato la disponibilità da parte della persona offesa dall’altra uno spirito consapevole e collaborativo da parte del minore che ha commesso il reato (sarebbe inconcepibile un’induzione forzata a partecipare al percorso, in quanto inficerebbe il significato stesso della mediazione).
Tale percorso consiste nell’organizzazione di incontri tra le parti – in presenza di un mediatore, ovvero di una persona terza e neutrale rispetto al caso trattato – nei quali si consente alle stesse di confrontarsi ed esprimere i loro diversi punti di vista, con la possibilità di trovare una soluzione e un accordo riparativo.
Il contenuto dell’accordo non è definibile a priori e può avere il contenuto della natura più varia, dipendendo esso dal caso concreto per il quale si è attivata la mediazione e dal risultato degli incontri tra le parti.
Infatti esso può consistere nelle scuse formali alla vittima; nella riparazione sotto forma di un servizio da svolgere per la comunità o per la persona offesa; nella restituzione di quanto indebitamente sottratto, nell’offerta di un risarcimento per il danno recato (in questo caso con un ruolo attivo dei genitori).
L’esito positivo della mediazione verrà comunicato dal mediatore alla magistratura minorile, requirente o giudicante in base al momento del procedimento in cui si è deciso di instaurare una tale percorso, e inciderà in modo favorevole per l’autore del reato, con la possibilità, ad esempio, di un’archiviazione, nel caso in cui la persona offesa abbia deciso di rimettere querela, mentre in caso di reati procedibili d’ufficio, si concretizzerà nella possibilità di ottenere il riconoscimento di circostanze attenuanti o, in caso di valutazione prognostica positiva sul ritorno del minore nella legalità, la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ex art. 27 D.P.R. 448/88.
Conseguenze del reato commesso dal minore, risarcimento del danno
Un ultimo accenno ai caratteri speciali della disciplina penale e processual-penale minorile deve essere fatto in riferimento al regime di responsabilità in seno al minore per le obbligazioni civili nascenti da illecito penale, escluse quelle nei confronti dello Stato[63].
L’accertamento della responsabilità penale, oltre che all’applicazione della pena, porta con sé l’ulteriore conseguenza, prevista dall’art. 185 c.p., dell’obbligo alle “restituzioni, a norma delle leggi civili, nonché al risarcimento del danno, cui sono tenuti, oltre al colpevole, le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”, in funzione di ristoro del pregiudizio arrecato al danneggiato in occasione della commissione del reato.
Accantonata la possibilità del danneggiato di costituirsi parte civile nel processo penale per ottenere la condanna al risarcimento da parte dell’imputato minorenne per le ragioni esposte precedentemente (par. 3, supra), e stabilito che spetti al giudice civile emettere una sentenza dichiarativa di condanna che obblighi il reo al risarcimento[64], occorre allora verificare su “chi” grava in concreto l’adempimento all’obbligazione civile del risarcimento extracontrattuale ex art. 2043 c.c. per fatto illecito, una volta che il giudice civile abbia emesso sentenza dichiarativa di condanna.
Le disposizioni civili in materia di responsabilità per fatto illecito (artt. 2043 c.c. e ss.) prevedono che “qualunque fatto doloso o colposo , che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” e, in via solidale, i soggetti chiamati a rispondere a titolo di responsabilità speciale[65]. Anche il minore, prima facie, è quindi ordinariamente chiamato a rispondere personalmente del danno “che abbia causato ad altri con una propria azione, che si ponga in rapporto di causa ad effetto del danno verificatosi, e che sia qualificato per la difformità dal comportamento di un uomo medio”[66], salvo l’accertamento della sua capacità di intendere e di volere, poiché in tal caso trovano applicazione le disposizioni previste dall’art. 2047 c.c.[67].
Nell’ambito delle obbligazioni per fatto illecito a cui il minore è chiamato ad adempiere, accertata quindi la sua imputabilità sotto il profilo civile, preminente rilevanza assume altresì il ruolo di obbligato in via solidale[68] del responsabile genitoriale a norma dell’art. 2048 c.c., il quale recita “Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi […]. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.
La ratio di tale responsabilità aggravata scaturisce da due obblighi fondamentali previsti dalla legge civile e gravanti sul responsabile genitoriale in ragione del suo ufficio[69], ovvero l’obbligo educativo previsto dall’art. 147 c.c. (la cui violazione genera la cd. culpa in educando) e l’obbligo di vigilanza in funzione di posizione di garanzia (la cui violazione genera la cd. culpa in vigilando) nei confronti del figlio minorenne.
Al fine di svincolarsi dal regime di solidarietà passiva, i responsabili genitoriali sono ammessi a provare non già “la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto, ma bensì quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguato, il tutto in conformità alle condizioni sociali, famigliari, all’età e al carattere e all’indole del minore”[70].
Così compendiata, la disciplina civilistica del risarcimento del danno per fatto illecito compiuto dal minore capace di intendere e di volere consente di ribadire ulteriormente l’innegabile centralità del ruolo del responsabile genitoriale nelle vicende che legano il minore al processo (sia civile che penale), impedendo la formulazione di un qualsiasi giudizio volto a classificarlo come “terzo” ed in particolare, nel caso di specie, come estraneo al rapporto obbligatorio ex art. 2043 c.c., scaturente dall’art. 185 del Codice penale.
Considerazioni conclusive sull’art. 162-ter c.p. e la centralità del responsabile genitoriale nelle condotte riparatorie
La nuova causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter c.p., costruita sulla falsariga della preesistente disposizione normativa circa le condotte riparatorie poste in essere nell’ambito del giudizio penale innanzi al Giudice di Pace ex art. 35 d.lgs. 274/2000, richiede chiaramente che il comportamento processuale (o procedimentale se posto in essere prima dell’esercizio dell’azione penale da parte del PM) del reo sia frutto di una sua libera iniziativa, quanto meno spontanea e soprattutto personale: “quando l’imputato abbia […]”. Ciò, poiché l’obbiettivo di tale novella è evidentemente la valorizzazione del pentimento reale del reo, escludendo di conseguenza la rilevanza delle condotte del terzo (escluse le ipotesi giurisprudenzialmente ammesse dalla Corte di Legittimità in ambito dell’infortunistica stradale, in cui si è dato rilievo al risarcimento operato dalla compagnia assicurativa dell’imputato).
Tuttavia, circa il requisito della personalità della condotta riparatoria in caso di imputato minorenne, incapace legale e quindi sprovvisto della capacità richiesta “per risarcire e/o restituire” quanto dovuto al danneggiato, l’analisi delle disposizioni peculiari del diritto penale e processual-penale minorile ha dimostrato come il genitore/esercente la responsabilità genitoriale non sia affatto un “terzo” estraneo alla dinamica processuale, bensì un soggetto centrale, titolare del diritto a ricevere le notificazioni di atti procedurali fondamentali e del diritto processuale di impugnare provvedimenti decisori (par. 3, supra ).
Non solo, la disciplina sostanziale del risarcimento del danno in sede civile per le obbligazioni nascenti da reato ex art. 185 c.p., evidenzia come il genitore (o altro soggetto responsabile) sia indispensabile nella fase di adempimento dell’obbligazione, considerata la propria responsabilità passiva in via sussidiaria (con il risultato pratico di essere liticonsorte facoltativo nel processo civile in seguito all’azione del danneggiato, Cass. Civile, sez. III, 28.02.1983, n.1512).
Escludere la rilevanza delle condotte riparatorie del responsabile genitoriale poste in essere in sede processuale per nome e conto del minore, in vista dell’applicazione dell’art. 162-ter c.p., ma allo stesso tempo ammetterla ex lege in sede di adempimento delle obbligazioni civili in virtù dell’art. 2048 c.c., a fortiori apparirebbe manifestamente un non-senso.
L’inserimento della nuova causa estintiva del reato nel Libro I del Codice penale, in assenza di divieto espresso, non potrebbe, inoltre, legittimare alcuna esclusione applicativa nell’ambito dei reati commessi da soggetto infradiciottenne, atteso che tale disposizione non viola alcuno dei principi cardine della disciplina minorile e ne risulta pienamente compatibile.
Negare l’applicazione di tale disposizione in sede minorile, infine, potrebbe condurre ad una valutazione di incostituzionalità dell’art.162-ter c.p., potendo lo stesso apparire in contrasto con l’art.3 Cost. che impone il rispetto del principio di uguaglianza (applicabile anche al pari trattamento dell’imputato maggiorenne e di quelli minorenne), alla luce anche del principio penale del favor rei e della specialità del processo minorile, volto ad una rapida fuoriuscita del minore dal sistema processuale.
In conclusione, si ritiene che, in assenza di divieto di legge espresso, l’art. 162-ter c.p. potrebbe regolarmente operare in seguito alle condotte riparatorie poste in essere dal “terzo”, responsabile genitoriale, sebbene, in concreto, tale istituto avrebbe di fatto scarsa applicabilità nel rito minorile, atteso il preferenziale ricorso agli esistenti strumenti di composizione alternativa del processo, ispirati al concetto di restorative justice. Si pensi agli ulteriori risultati raggiungibili in caso di esito positivo della sospensione con messa alla prova la quale, oltre a produrre il medesimo effetto estintivo dell’art. 162-ter c.p., permette di raggiungere gli obiettivi tipici del processo a carico di minori, fra cui la rieducazione e risocializzazione del reo infradiciottenne, superando il mero pentimento reale ottenuto con la valorizzazione delle condotte riparatorie.
Quanto all’aspetto meramente deflattivo a livello processuale del nuovo istituto, che almeno allo stato degli atti – in attesa dell’approvazione dei decreti legislativi attuativi della delega contenuta nella l. 103/2017 – difficilmente sarà raggiunto, tanto nel processo a carico di adulti, quanto in quello minorile, si evidenzia come l’attuale operatività della nuova causa estintiva del reato per condotte riparatorie coincida, nella pratica, con quello della pronuncia della sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto di cui all’art. 27 del D.P.R. 448/88, sebbene gli effetti giuridici dei due istituti siano sensibilmente differenti. Infatti, mentre l’art. 162-ter c.p. consente la pronuncia di una sentenza di n.d.p. per causa estintiva del reato, l’art. 27 del D.P.R. 448/88 addiviene ad una pronuncia di n.d.p. per irrilevanza del fatto che costituisce una causa personale di esenzione dalla pena (M. BARGIS).
Si faccia un esempio (per altro assai ricorrente nell’ambito della delinquenza minorile, generalmente orientata alla commissione di reati semplici contro il patrimonio): Tizio, minorenne, compie un furto ai danni di Caio, sottraendogli alcuni effetti personali per un valore esiguo, superiore e prossimo a cento euro, senza che siano integrate aggravanti previste dall’art. 625 c.p.; tendenzialmente, fatta salva l’ipotesi di assenza di querela o di successiva remissione della stessa (casi che legittimano la richiesta di archiviazione al G.I.P.), il PM – in questo caso – formulerebbe (allo stato degli strumenti processuali preesistenti) la richiesta di pronuncia di sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto, anche qualora il minore si sia attivato per riparare il danno ed effettuare le restituzioni (atteso che non può chiedere archiviazione per estinzione del reato, essendogli precluso dall’art.162-ter c.p.).
Al giudice in veste di G.I.P. successivamente, in sede di udienza camerale ex art. 27 co.3 del D.P.R. 448/88, spetterebbe il compito di dichiarare sentenza di n.d.p. per irrilevanza o di altra causa di proscioglimento, maggiormente favorevole ex art. 129 c.p.p. (avendo la S.C. ammesso la possibilità di pronunciarsi in tal senso, al di fuori della richiesta del PM, Cass. Penale, Sez. V, 20.12.2010, n.17188. Contra, Cass. Penale, Sez. I, 17.03.2006, n. 11349 poiché il provvedimento così pronunciato sarebbe abnorme). La sovrapponibilità dei tempi processuali richiesti da una sentenza ex art. 27 D.P.R. 448/88, piuttosto che da una pronuncia ex art. 129 c.p.p., azzererebbe, nei fatti, qualsiasi risvolto deflattivo.
Sul punto, peraltro, l’attuale carenza di disciplina processuale del nuovo art. 162-ter c.p. introduce la peculiare questione della possibilità di rilevare la nuova causa estintiva del reato con lo strumento previsto dal predetto art. 129 c.p.p., a cui solo la prassi giurisprudenziale potrà dare risposta. Certo, tuttavia, è che apparirebbe insensato e contrario allo spirito deflattivo della l.103/2017 pretendere che il PM, nei casi in cui potrebbe chiedere al G.I.P. la pronuncia di sentenza ex art. 27 D.P.R. 448/88, eserciti invece l’azione penale con il sol fine di addivenire all’udienza preliminare per far rilevare la causa estintiva del reato con sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 del codice di rito.
Considerando, altresì, l’ipotetico scenario dell’applicazione dell’art.162-ter c.p. nell’udienza preliminare innanzi al G.U.P., va evidenziato come già oggi tale udienza sia già marcatamente contrassegnata da aspetti di deflazione e di accelerazione processuale (si pensi alla consueta richiesta della difesa di concedere il perdono giudiziale ex art.169 c.p., ovvero di disporre la sospensione con messa alla prova e/o, in subordine, l’ammissione alla definizione del processo con rito abbreviato), con la conseguenza che l’alleggerimento del carico giudiziario sarà, ancora una volta, pressoché inesistente.
Volendo pure tralasciare gli aspetti applicativi dell’art.162-ter c.p. nel rito minorile, l’effetto deflattivo nel rito ordinario a carico degli adulti sarà comunque assai limitato. Come evidenziato dal Prof. PADOVANI in sede di audizione in Commissione Giustizi alla Camera il 28.04.2015, seduta n.11, infatti, il Legislatore si è preoccupato di inserire una nuova causa estintiva del reato, non ascrivibile ai rimedi di giustizia riparativa (poiché manca di uno spirito conciliativo fra vittima e reo), in un settore criminale dove già trova larga applicazione l’istituto della remissione di querela (“Io ti do il risarcimento e tu rimetti la querela”), con il risultato di lasciar spazio soltanto a quei soli casi marginali in cui la parte offesa, ancorché risarcita, non voglia rinunciare alla punizione del colpevole. Più opportuno sarebbe stato, invece, individuare specifiche categorie di reati, procedibili d’ufficio, in cui il pentimento reale del reo avrebbe legittimato la dichiarazione di estinzione del reato al pari di quanto già oggi avviene, per esempio, nell’ipotesi dell’oltraggio a pubblico ufficiale (il co.3 dell’art. 341-bis c.p., infatti, recita “Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”).
L’art.162-ter c.p. appare essere, pertanto, una generalizzazione dell’esperienza giuridica maturata con l’applicazione dell’art. 35 d.lgs. 274/2000 nei processi celebrati innanzi al g.d.p., pur avendo il Legislatore puntato sul soddisfacimento solo economico delle pretese del danneggiato, senza porre alcun accento sulla riconciliazione del rapporto fra reo e danneggiato.
Evidente è la mancanza di un qualsiasi riferimento normativo alla necessità di soddisfare, mediante le condotte riparatorie, le ulteriori “esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”, salvaguardate invece dalla disposizione del d.lgs 274/2000. Tale omissione colloca inevitabilmente la nuova causa di estinzione del reato al di fuori delle tecniche di giustizia riparativa, essendosi il Legislatore dimenticato di dare attuazione a quel fine special-preventivo proprio del diritto penale moderno, come richiesto dall’art.27 co.2 Cost.
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* I paragrafi n.1, 2, 2.1 e 4 sono a cura di M. Cotelli; i paragrafi n.3 e 3.1. sono a cura di F. Ziliani. Il paragrafo n.5 è a cura di M. Cotelli e F. Ziliani.
[1] V. SELLAROLI, “La Riforma Orlando: le modifiche al codice penale”, 2017, in Magistraturaindipendente.it – p.1
[2] F. PALAZZO, “La Riforma penale alza il tiro?”, in Riv. Trim. Diritto Penale Contemporaneo n.1/2016 – p.53
[3] Circa il furto in abitazione ed il furto con strappo ex art. 624-bis c.p., si segnala l’introduzione di un 4’ comma che, salvo i casi di concorso con le circostanze previste dagli artt. 98 e 625-bis c.p., impedisce la formulazione del giudizio di equivalenza o prevalenza di eventuali attenuanti in concorso con una o più aggravanti previste dall’art. 625 c.p.; in conseguenza di tale novella, le eventuali riduzioni di pena dovranno operarsi sulla quantità di pena risultante dall’applicazione dell’aumento previsto dall’aggravante.
Sul delitto di rapina, oltre all’innalzamento dei minimi edittali e alla ridefinizione della cornice sanzionatoria per l’ipotesi di cui al comma 3, si riporta l’inserimento di un 4’ comma, il quale prevede un ulteriore inasprimento del trattamento sanzionatorio (reclusione da 6 a 20 anni e multa da 1538 euro a 3098 euro) nel caso in cui “concorrano due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorra con altra fra quelle indicate nell’art. 61 c.p.”.
[4] L’attuazione della delega è avvenuta mediante l’adozione del d.lgs. 36/2018.
[5] Sulle deleghe conferite al Governo: D. PULITANO’, “DDL n.2067: sulle proposte di modifica al codice penale e all’ordinamento penitenziario” in giurisprudenzapenale.it
[6] Per una sintesi sulla Convenzione: A. DI STEFANO, “La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, in penalecontemporaneo.it
[7] FIANDACA-MUSCO, “Legge Orlando (disciplina penale). Il nuovo reato di tortura – Aggiornamento redazionale alla Settima Ed. del Manuale di Diritto Penale”, 2017 – p.6
[8] V. SELLAROLI, op. cit. – p.2
[9] MARINUCCI-DOLCINI, “Manuale di Diritto Penale”, 2017 – p.447
[10] T. PADOVANI, “Audizione presso la II Commissione della Camera dei Deputati, seduta n.11 del 28.04.15 – D.D.L. C.2798”, in www.documenti.camera.it
[11] G. SPANGHER, “Riforma Orlando – Commentario al Codice di Procedura Penale, Leggi Complementari”, 2017 – p.3465
[12] F. MANTOVANI, “Diritto Penale, Parte Generale”, 2015 – p.798
[13] In caso di concessione del termine di cui al comma 2, il giudice “ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni”.
[14] Durante la vigenza del “vecchio” art. 162-ter cp., si segnala Sent. GUP Torino n.1299 del 02.10.2017 con cui si è dichiarata l’estinzione del reato di atti persecutori a seguito di proposizione di offerta reale a titolo di risarcimento per € 1500,00, non accettata dalla parte offesa. Tale pronuncia destò un certo clamore mediatico: http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/10/05/news/stalking_tribunale_torino_risarcimento_estingue_reato_contro_parere_vittima_ferranti_togliere_stalking_da_giustizia_riparati-177418951/
[15] C. PERINI, “Condotte riparatorie ed estinzione del reato ex art 162-ter c.p.: deflazione senza Restorative Justice” in Dir. Penale e Processo, Speciale Riforma Orlando n.10/2017 – p.1276
[16] Il testo della Relazione e Proposta di articolato della Commissione Fiorella sono disponibili sul sito www.giustizia.it
[17] R.G. MARUOTTI, “La nuova causa estintiva del reato per condotte riparatorie di cui all’art.162-ter c.p. tra (presunta) restorative justive ed effettive finalità deflattive: prime riflessioni de iure condito” in Questionegiustizia.it del 20 giugno 2017 – p.4
[18] Nei reati contro la persona si ricordano i delitti di minaccia aggravata (art. 612 co.2 c.p.), violazione di domicilio commesso da p.u. (art. 615 co.2 c.p.), nonché una serie di illeciti circa la falsificazione, alterazione o soppressione di conversazioni telefoniche/telegrafiche, comunicazioni telematiche/informazione o di corrispondenza commessa da commessa da impiegato del servizio postale e l’indebita rivelazione del contenuto di corrispondenza da parte dei medesimi operatori postali, addetti a telegrafi o telefoni. Quanto ai reati contro il patrimonio, la procedibilità a querela è ora prevista per il reato di truffa aggravata (art. 640 co.3 c.p.), frode informatica non aggravata (art. 640-ter c.p.) appropriazione indebita aggravata dall’aver commesso il fatto su cose possedute a titolo di deposito necessario (art. 646 co. 2 c.p.) o con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità (art. 61 n. 11 c.p.).
[19] F. PALAZZO, op. cit. – p.54
[20] FIANDACA-MUSCO, op. cit. – p.10
[21] T. PADOVANI, ivi
[22] Critico sul (mancato) ruolo del PM in relazione all’art. 162-ter c.p.: G. AMATO, “Adesso l’imputato può cancellare la sua condotta illecita”, in Guida al Diritto n.31 – p.98
[23] Come anticipato all’inizio del presente paragrafo, con la concessione del termine, il giudice sospende il processo e fissa nuova udienza allo scadere del termine predetto e comunque non oltre il novantesimo giorno successivo alla scadenza. Appare evidente come il Legislatore abbia voluto prevenire l’utilizzo distorto dell’istituto in parola, sfruttando la sospensione del processo per allungare inutilmente le sorti del processo in caso di fallimento della riparazione.
[24] CONZ-LEVITA, “La riforma della giustizia penale”, 2017 – pp.10-11
[25] G. VAGLI, “Brevi considerazioni sul nuovo articolo 162-ter c.p. (estinzione del reato per condotte riparatorie)” in Giurisprudenzapenale.com – pp.3-4. Il medesimo ragionamento è stato fatto in commento all’art. 35 d.lgs. 274/2000 da G. SPANGHER in “Commentario al Codice di Procedura Penale, Leggi Complementari – d. lgs. 274/2000”, ed. 2017 – p.1489
[26] C. Cost., Sent. n.111/1964
[27] F. MANTOVANI, op. cit. – pp.416-417
[28] In tal senso, FORTI-SEMINARA-ZUCCALA’ in “Commentario Breve al Codice Penale – art.162-ter c.p.”, ed. 2017 – p.678 e G. SPANGHER, op. cit. – p.3466. Gli autori traggono le loro conclusioni richiamando la giurisprudenza formatasi sull’interpretazione del danno risarcibile ex art. 35 d.lgs. 274/2000 (in particolare, Cass., Sez. Un., 31.07.15, n.33864).
[29] F. MANTOVANI, op. cit. – p.800
[30] CONZ-LEVITA, op. cit. – p.9
[31] Contra: V. SELLAROLI, op. cit. – p.4, secondo la quale “potrà essere valutata la fattispecie dell’estinzione del reato per integrale risarcimento del danno anche per fatti dolosi in caso di adempimento operato da un privato e non a fronte di obblighi contrattuali, purché la riparazione sia riferibile all’imputato nel senso che questi ne abbia coscienza e mostri la volontà di dare proprio il risarcimento del danno”.
[32] FORTI-SEMINARA-ZUCCALA’ in “Commentario Breve al Codice Penale – art. 62 n.6 c.p.”, 2017 – pp.311-312 e F. MANTOVANI, op. cit. – p.417 il quale, escludendo la rilevanza delle condotte riparatorie poste in essere dall’estraneo (essendo l’istituto fondato sulla valorizzazione del pentimento del reo), ammette la riparazione del danno ad opera dell’ente assicuratore per ragioni di equità, le quali vengono evidenziate anche dal Giudice delle Leggi nella sentenza n.138/1998 al passo: “[…] l’onere di non avvalersi dell’assicurazione e di provvedere personalmente al ristoro dei danni, finirebbe col negare l’anzidetta funzione dell’assicurazione obbligatoria proprio nei frangenti nei quali se ne rende più manifesta l’essenzialità: danni alle persone e conseguenti obblighi risarcitori eccedenti le normali condizioni patrimoniali dei proprietari di veicoli”.
[33] C. Cost., Sent. n.138/1998
[34] G. SPANGHER in “Commentario al Codice di Procedura Penale, Leggi Complementari – d. lgs. 274/2000”, ed. 2017 – p.1494. Favorevole alla riparazione non personale G. ARIOLLI in “Il processo penale del giudice di pace”, ed. 2009 – pp. 437-438. Conformemente in giurisprudenza: Cass., Sez. IV, 24.09.2008, n.41043 di cui si riporta lo stralcio “[…] che cosa dovrebbe fare il responsabile del sinistro per godere della causa di estinzione? Operare perché la compagnia non provveda al risarcimento e provvedere personalmente ovvero procedere ad un risarcimento personale anche se la compagnia vi ha già provveduto? L ‘assurdità delle conseguenze non sembra meritare ulteriori commenti. Si aggiunga la conseguenza, più generale, che una siffatta interpretazione condurrebbe ad una totale disincentivazione delle cause deflattive che il d. lgs. 274/2000 è diretto ad incrementare”.
[35] A. ROMEO, “L’estinzione del reato per condotte riparatorie. Prime riflessioni (critiche) sulla nuova causa estintiva del reato introdotta dalla cd. Riforma Orlando”, in Magistraturaindipendente.it – p.7
[36] CONZ-LEVITA, op. cit. – p.4
[37] G. SPANGHER, op. cit. – pp. 3467-3468
[38] Cass. Penale, Sez. V, 20.02.18, n.8182
[39] P. TONINI, “Manuale di procedura penale, XVI ed.”, 2015 – p. 870
[40] Integrato dal D.P.R. n. 449/1988, relativo all’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e a quello minorile, nonché dal d. lgs. n. 272/1989 concernente le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p.m.
[41] Ratificata in Italia con la legge n. 176/1991.
[42] Si riporta il testo integrale della disposizione: “1. Gli Stati parti riconoscono a ogni fanciullo sospettato accusato o riconosciuto colpevole di reato penale di diritto a un trattamento tale da favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima.
- A tal fine, e tenendo conto delle disposizioni pertinenti degli strumenti internazionali, gli Stati parti vigilano in particolare:
- a) affinché nessun fanciullo sia sospettato, accusato o riconosciuto colpevole di reato penale a causa di azioni o di omissioni che non erano vietate dalla legislazione nazionale o internazionale nel momento in cui furono commesse;
- b) affinché ogni fanciullo sospettato o accusato di reato penale abbia almeno diritto alle seguenti garanzie:
- I) di essere ritenuto innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente stabilita;
- II) di essere informato il prima possibile e direttamente, oppure, se del caso, tramite i suoi genitori o rappresentanti legali, delle accuse portate contro di lui, e di beneficiare di un’assistenza legale o di ogni altra assistenza appropriata per la preparazione e la presentazione della sua difesa;
III) che il suo caso sia giudicato senza indugio da un’autorità o istanza giudiziaria competenti, indipendenti e imparziali per mezzo di un procedimento equo ai sensi di legge in presenza del suo legale o di altra assistenza appropriata, nonché in presenza dei suoi genitori o rappresentanti legali a meno che ciò non sia ritenuto contrario all’interesse preminente del fanciullo a causa in particolare della sua età o della sua situazione;
- IV) di non essere costretto a rendere testimonianza o dichiararsi colpevole; di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la comparsa e l’interrogatorio dei testimoni a suo discarico a condizioni di parità;
- V) qualora venga riconosciuto che ha commesso reato penale, poter ricorrere contro questa decisione e ogni altra misura decisa di conseguenza dinanzi un’autorità o istanza giudiziaria superiore competente, indipendente e imparziale, in conformità con la legge;
- VI) di essere assistito gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua utilizzata;
VII) che la sua vita privata sia pienamente rispettata in tutte le fasi della procedura.
- Gli Stati parti si sforzano di promuovere l’adozione di leggi, di procedure, la costituzione di autorità e di istituzioni destinate specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti colpevoli di aver commesso reato, e in particolar modo:
- a) di stabilire un’età minima al di sotto della quale si presume che i fanciulli non abbiano la capacità di commettere reato;
- b) di adottare provvedimenti ogni qualvolta ciò sia possibile e auspicabile per trattare questi fanciulli senza ricorrere a procedure giudiziarie rimanendo tuttavia inteso che i diritti dell’uomo e le garanzie legali debbono essere integralmente rispettate.
- Sarà prevista tutta una gamma di disposizioni concernenti in particolar modo le cure, l’orientamento, la supervisione, i consigli, la libertà condizionata, il collocamento in famiglia, i programmi di formazione generale e professionale, nonché soluzioni alternative all’assistenza istituzionale, in vista di assicurare ai fanciulli un trattamento conforme al loro benessere e proporzionato sia alla loro situazione che al reato”.
[43] P. TONINI, op. cit. – p.865 e C. Cost. n.222/1983.
[44] Si riportano: C. Cost. n. 397/1984 e C. Cost. n. 398/1984 circa la sottrazione del minore alle regole processuali ordinarie nell’ambito delle misure limitative della libertà personale. Recentemente, tale principio è stato ribadito in C. Cost. n.90/2017 in relazione alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p., per violazione dell’art. 31, co. 2, Cost., nel suo collegamento con l’art. 27, co. 3, Cost., nella parte in cui “non consente la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati”.
[45] M. BARGIS, “Procedura penale minorile”, 2016 – p.18
[46] P. ZATTI, “Trattato di Diritto di Famiglia – Diritto e procedura minorile”, 2011 – p.453
[47] Sulla distinzione fra “parte” e “soggetto”: P. TONINI in “Lineamenti di diritto processuale penale”, 2015 – p.472 e BELLLUTA-GIALUZ-LUPARIA in “Codice sistematico di procedura penale”, 2016 – p.138
[48] Sul tema: C.Cost. n.16/1981 nella quale si sottolinea come la diffusione dei fatti emersi in dibattimento può incidere negativamente “sulla formazione sociale ove si svolge o potrà svolgersi la personalità” e M. BARGIS, op. cit. – p.25
[49] C. Cost. n.433/1997: “il divieto di costituzione di parte civile trova ragione nelle esigenze di evitare che il processo rieducativo del minore rimanga turbato dalla presenza di un soggetto “antagonista”, portatore di interessi “privati” estranei a quelli perseguiti dallo Stato nei confronti dell’imputato minorenne, e di non appesantire la rapidità e snellezza del processo minorile, indirizzato a dare largo spazio all’esame della personalità del minore e alla individuazione di idonei strumenti di recupero”.
[50] Non è applicabile il decreto penale di condanna e l’applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. Patteggiamento). Il giudizio direttissimo e il giudizio immediato, invece, si applicano solo se è possibile compiere gli accertamenti sulla personalità del minorenne (art. 9 D.P.R.) ed assicurare a quest’ultimo l’assistenza affettiva e psicologica, ma comunque il PM “non può procedere al giudizio direttissimo o richiedere giudizio immediato nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore” (art. 25 c. 2ter D.P.R.)” in P. TONINI, “Lineamenti di procedura penale”, 2015 – p.478
[51] M. BARGIS, op. cit. – p.176
[52] I presupposti dell’irrilevanza sono tre, i primi due di natura oggettiva, ovvero l’occasionalità del fatto e tenuità della condotta, mentre il terzo attinente al pregiudizio cagionabile alle esigenze educative del minore dalla prosecuzione del processo.
[53] M. BARGIS, op. cit. – p.199
[54] La possibilità di sospensione con messa alla prova anche per i reati per i quali è previsto l’ergastolo è stata introdotta dall’art. 44 del D. L.vo n. 12 del 14 gennaio 1991. Tale possibilità è sostenuta con fermezza anche dalla Corte Costituzionale (C. Cost. n. 412/1990 in Giur. Cost., 1990, 2505).
[55] “La versatilità della sospensione con messa alla prova permette di soddisfare esigenze diverse, in risposta al significato che può assumere un reato nella vita del minore. Da un lato, infatti, può essere semplicemente un evento occasionale, in risposta a un periodo difficile o particolare del minore; dall’altro può essere, invero, un primo indizio di un modus vivendi che si sta orientando verso la criminalità”, P. ZATTI, op. cit. – p.285
[56] Di diverso avviso è la giurisprudenza di legittimità, la quale non ritiene la confessione un requisito per l’ammissione al percorso di messa alla prova. Tuttavia, l’autodichiarazione di responsabilità potrà essere valutata come elemento “sintomatico da cui desumere il ravvedimento, necessario per formulare un giudizio prognostico positivo sulla rieducazione ed evoluzione della personalità verso un reinserimento sociale”, Cass. Penale, Sez. I, 09.05.2017, n. 40512 e, conformemente, Cass. Penale, Sez. III, 06.06.2008, n.27754.
[57] P. ZATTI, op. cit. – p. 284
[58] M. BARGIS, op. cit. – pp.212-213
[59] Definizione data dal “padre” della giustizia riparative, H. ZEHR, “Changing lenses: A new Focus for Crime and Justice”, 1990 – p.181
[60] G. MANNOZZI – G. A. LODIGIANI, “La Giustizia riparativa, formanti, parole e metodi”, 2017 – p.96
[61] P. ZATTI, op. cit. – p. 50
[62] Sul tema, si segnalano inoltre le linee di indirizzo e di coordinamento in materia di mediazione penale minorile elaborate dal Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero di Giustizia con la circolare Prot. n. 14095 del 30 aprile 2008 in www.giustizia.it
[63] Sulle obbligazioni civili verso la vittima del reato e verso lo Stato: F. MANTOVANI, op. cit. – p.863, T. PADOVANI, “Diritto penale. X Ed.”, 2012 – p.376 e F. ANTOLISEI, “Manuale di Diritto Penale. Parte Generale”, 1991 – p.745
[64] C. Cost. n.433/1997, P. TONINI, op. cit. – p.471 e M. BARGIS, op. cit. – p.92
[65] Sulle responsabilità speciali del Codice Civile: C.M. BIANCA, “Istituzioni di Diritto Privato”, 2016 – pp.599 e ss.
[66] I. BAVIERA, “Diritto Minorile – Vol. II, Sistema minorile – Misure rieducative – Diritto civile minorile”, 2008 – p.702
[67] L’incapacità di intendere e di volere obbliga a ricondurre la responsabilità cd. aggravata in capo a chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salva la prova di non aver potuto impedire il fatto ex art. 2046 c.c., C.M. BIANCA, op. cit. – p.603, C. TURCO, “Lezioni di Diritto Privato”, 2011 – p.742 e S. ROSSI-CAMPANATO-V. ROSSI, “Il minore e il giudice civile”, 2000 – p.499
[68] Sulla solidarietà passiva dell’obbligazione: Cass. Civile, sez. III, 19.02.2014, n.3964 www.laleggepertutti.it, Cass. Civile, sez. III, 25.09.2012, n.16265 in www.iusinaction.com e Cass. Civile, sez. III, 13.09.1996, n.8263 in www.personaedanno.it.
[69] C.M. BIANCA, op. cit. – pp.600-601
[70] Cass. Civile, sez. III, 06.12.2011, n.26200 in www.dirittoegiustizia.it
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