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Premessa
Le Autorità Amministrative indipendenti sono soggetti giuridici, che svolgono un’attività diretta alla tutela di interessi sensibili di rilevanza costituzionale, dotati di cognizioni specialistiche nelle materie di loro competenza, e che, oltre ad essere posti in posizione di neutralità e autonomia, hanno poteri regolatori[1], ispettivi e sanzionatori.
In generale, si può dire che tali Autorità, pur in assenza di poteri normativi, esercitino funzioni di integrazione della disciplina vigente, soprattutto nei casi in cui la politica affidi loro un vero e proprio compito di “supplenza” in settori ritenuti particolarmente rilevanti[2].
Non si può negare, peraltro,che le Autorità amministrative indipendenti abbiano in taluni casi anche veri e propri poteri normativi.
La legge 28 dicembre 2005, n. 262 (recante “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”), per esempio, prevede espressamente “atti aventi natura regolamentare” della Banca d’Italia, della Consob, dell’Isvap e della Covip, stabilendo che siano appropriatamente motivati e accompagnati da una relazione che realizzi l’analisi di impatto della regolazione (A.I.R.).
La questione involgente la potestà normativa delle Autorità indipendenti è stata sottoposta anche al vaglio della giurisprudenza amministrativa, la quale ha superato le difficoltà inizialmente riscontrate nel riconoscere l’attribuzione di un vero e proprio potere normativo a soggetti non dotati di legittimazione democratica. Il Consiglio di Stato ha, in passato, affermato che le estese garanzie del contraddittorio possono compensare la carenza di legittimazione formale[3]. Successivamente ha confermato tale posizione, giustificando tale potere sulla base dell’esistenza di un procedimento partecipativo, sostitutivo della dialettica propria delle strutture partecipative[4].
Vi sono, tuttavia, notevoli disomogeneità tra le singole autorità dovute anche al fatto che non tutte utilizzano gli stessi strumenti di regolazione. Spiccano, in particolare,i numerosi interventi di moral suasion e altri atti caratterizzati da un elevato tasso di informalità e collocati al di fuori del sistema delle fonti normative tipizzate, che si può ritenere rientrino nel c.d. soft law.
Leggi anche:”Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida ANAC”
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Il soft law
Va precisatoche l’espressione soft law[5]nasce nel diritto internazionale, involgendo una serie di fenomeni di regolazione connotati dalla produzione di norme prive di efficacia vincolante diretta.
Il soft law si contrappone ai tradizionali strumenti di normazione quali leggi, regolamenti (c.d. hard law), emanati secondo determinate procedure da organi che avendone il relativo potere (parlamenti, governi ecc.) generano norme dotate di efficacia vincolante nei confronti dei destinatari.
Solitamente il soft law consiste in accordi, che non creano obblighi giuridici tra le parti contraenti, ma solo impegni politici il cui rispetto è rimesso alla volontà delle parti. Anche gli atti normativi veri e propri, tuttavia, possono produrre norme di soft law qualora scelgano di imporre al destinatario obblighi non vincolanti sul piano giuridico (c.d. soft obligation).
La ragione del ricorso a norme del genere può consistere anche nel creare una disciplina flessibile, in grado di adattarsi alla rapida evoluzione tipica di alcuni settori della vita economica o sociale. Si può dire in conclusione che il termine soft law inglobi diversi fenomeni[6], che mostrano le caratteristiche della legge perché in qualche modo influenzano e restringono la volontà e la libertà dei loro destinatari, ma che dall’altro lato non stabiliscono una vera e propria obbligazione né prevedono una specifica sanzione[7].
Se non si considera la sanzione attributo necessario della norma, si può riconoscere agli strumenti in esame la natura di fonti del diritto, oppure in ragione dell’efficacia imperfetta, si può parlare di “fonti atipiche”[8].
La natura controversa e la difficile definibilità della locuzione fanno del soft law una “zona d’ombra” del sistema delle fonti del diritto, ma a contribuire alla nascita di “nuovi fenomeni del diritto” è senz’altro il contesto culturale, in continuo e rapido mutamento[9].
Le caratteristiche del soft law potrebbero portare a ritenere che non si tratti di regole “giuridiche” [10]. Si rende, comunque, necessario un approfondimento del fenomeno, che sta assumendo una rilevanza sempre più importante non solo nel nostro ordinamento[11].
3.L’ANAC come autorità di regolazione
Nella politica di contrasto alla corruzione negli ultimi anni ha assunto risalto, anche mediatico, una nuova autorità amministrativa ritenuta indipendente, l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC)[12], che, nata all’origine come Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, ha assunto anche le funzioni della soppressa Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (art. 19, d.l.24 giugno 2014, n. 90).
L’ANAC è stata istituita dall’art. 1 della legge 190/2012, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” ed è stata incaricata di svolgere attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.
Il nuovo codice degli appalti (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), nello specifico colloca l’ANAC in posizione centrale e le attribuisce delicate funzioni normative[13] e decisorie. La centralità del ruolo dell’ANAC si evince, in particolare, dall’art. 213, primo comma, il quale afferma che “La vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e l’attività di regolazione degli stessi [contratti pubblici] sono attribuiti, nei limiti di quanto stabilito dal presente codice, all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) (…..)”. La più importante novità è costituita proprio dall’attribuzione espressa all’ANAC della funzione di regolazione. Tale funzione si esplica, come previsto dal secondo comma dell’articolo citato, attraverso linee guida, bandi – tipo, contratti – tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati (….)”. Dal dettato normativo si evince, quindi, che con riferimento a tali atti in primo luogo non è rilevante il nomeniuris, bensì la natura sostanziale del provvedimento; in secondo luogo che si tratta di veri e propri strumenti di “regolazione”, seppur di tipo “flessibile”, ma non per questo meno vincolanti. Siamo, quindi, di fronte ad un vero e proprio atto di regolazione, con efficacia conformativa dei comportamenti degli operatori ai quali si rivolge.
Dal punto di vista sostanziale la legge delega riconduce le linee guida e tutti gli altri atti comunque denominati al genere degli “atti di indirizzo” qualificandoli, al pari del Codice dei Contratti pubblici, come strumenti di “regolazione flessibile”.
4.Le linee guida ANAC
Il recente fenomeno delle linee guida ANAC è una novità assoluta per l’ordinamento giuridico italiano[14], che merita di essere esaminato più approfonditamente. Secondo la concezione tradizionale, infatti, le linee guida dovrebbero costituire una manifestazione propria del potere di direttiva, come si desume anche dalla valenza semantica dell’espressione usata per il loro nome, che si declina, a sua volta, per mezzo di raccomandazioni, istruzioni operative e, quindi, in definitiva, mediante l’indicazione delle modalità attuative del precetto normativo, ma mai per mezzo di regole cogenti e vincolanti, che, invece, dovrebbero costituire semplicemente il presupposto dei chiarimenti affidati alle linee guida.
Le linee guida ANAC non appaiono di certo riconducibili al soft law[15]in senso stretto in quanto pongono in taluni casi norme vincolanti assistite da sanzioni, la cui irrogazione è rimessa alla stessa Autorità [16].Solitamente, infatti, il soft law consiste in accordi, che non creano obblighi giuridici tra le parti contraenti, ma solo impegni politici il cui rispetto è rimesso alla volontà delle parti. Il fenomeno del soft law postula logicamente l’assenza di vincolatività della regola di cui si tratta, il cui rispetto viene sostanzialmente rimesso dall’adesione volontaria, anche per effetto della moral suasion dell’autorità che la emana[17]. Le linee guida, al contrario, sono state pensate e previste, perlomeno in larga misura, come idonee a costituire diritti e obblighi in capo ai destinatari, tanto da sostituire le disposizioni sicuramente regolamentari contestualmente abrogate. Peraltro, il soft law ha spazi molto ristretti nel diritto amministrativo, nel quale gli atti non possono essere affrancati da un controllo di legalità.
Nel Codice degli appalti è stato assegnato all’ANAC, per mezzo dello strumento delle linee guida, proprio perché più agile del regolamento, un compito strategico ed essenziale nella definizione della di-sciplina normativa secondaria.E’stata, infatti, riservata alle linee guida la disciplina di aspetti determinanti del regime normativo delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, sicché si impone una loro qualificazione giuridica alla quale consegue l’identificazione del modello al quale devono essere ascritte. Il problema principale è quello della loro natura giuridica, se cioè possano essere considerati come atti amministrativi in senso proprio [18] o si tratti, invece, di atti a carattere vincolante erga omnes o, piuttosto, di atti innominati, comunque riconducibili alla categoria di “altri atti di regolazione flessibile”.
Tale già complessa operazione ermeneutica si rivela, tuttavia, complicata dalla diversità delle tipologie di linee guida contemplate dal Codice degli appalti, sia quanto ai contenuti, sia quanto all’autorità emanante, sia, ancora, quanto alla procedura formale prescritta per la loro adozione.
5.Le tipologie di linee guida
Tra i diversi modelli di linee guida, il Consiglio di Stato nel parere n. 855 del 2016 ne ha catalogate tre tipologie: a) quelle approvate con decreto ministeriale, b) quelle vincolanti adottate dall’ANAC e c) quelle non vincolanti, sempre adottate dall’ANAC.
Le linee guida adottate con decreto del Ministero delle infrastrutture e trasporti, su proposta di ANAC, sono da considerarsi un vero e proprio atto normativo di natura regolamentare, considerata, sempre secondo il Consiglio di Stato, la loro “chiara efficacia innovativa nell’ordinamento, cui si accompagna il carattere generale ed astratto delle norme in esso contenute”. Si tratta, quindi, di un regolamento ministeriale a carattere normativo, da cui discende la necessità di seguire, per la sua emanazione, l‘iter procedurale previsto dall’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988.
Mentre le linee guida non vincolanti sono inquadrabili come ordinari atti amministrativi, le linee guida a carattere vincolante dell’ANAC, sono, invece, quelle previste da disposizioni del codice che hanno un contenuto specifico. Alle stesse, secondo l’interpretazione del Consiglio di Stato, non può riconoscersi una pari natura normativa, in quanto non in linea con il sistema delle fonti italiane. Data la valenza di carattere generale dei provvedimenti in questione, nonché la natura del soggetto emanante, la quale si configura a tutti gli effetti come Autorità indipendente, con funzioni (anche) di regolazione, le linee guida dell’ANAC dovrebbero ricondursi agli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio, ma atti amministrativi generali e, appunto, “di regolazione”[19].
Tale ricostruzione, a giudizio del Consiglio di Stato, consente di chiarire e risolvere una serie di problemi sul piano applicativo. Innanzitutto essa non pregiudica, ma anzi riconferma gli effetti vincolanti ed erga omnes di tali atti come disposto dalla delega, che parla di “strumenti di regolazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante”. Tale assimilazione consente di assicurare anche a questi provvedimenti dell’ANAC tutte le garanzie procedimentali e di qualità della regolazione già vigenti per le Autorità indipendenti quali l’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione ad una preventiva fase di “consultazione”; la necessità di munirsi di strumenti di Analisi di impatto della regolazione (AIR) e di verifica ex post dell’impatto regolatorio (VIR); l’esigenza di adottare tecniche di codificazione tali da determinare la concentrazione di “testi unici integrati” di tutta la disciplina di settore. Tale ricostruzione consente anche la realizzazione, per gli atti di regolazione dell’ANAC, di forme di adeguata pubblicità quali la pubblicazione sul sito della stessa Autorità, ed anche sulla Gazzetta Ufficiale.
Ma la catalogazione in questione non è destinata a concludere il dibattito.
Il Consiglio di Stato nel parere n. 1767 del 2016 ha considerato le linee guida non vincolanti come atti amministrativi generali con consequenziale applicazione dello statuto del provvedimento amministrativo, affermando che l’amministrazione può disattendere l’osservanza delle linee guida adottando un atto che contenga un’adeguata e puntuale motivazione.
Successivamentepoi, all’interno del parere n. 1257 del 29 maggio 2017,pronunciatosi su specifiche linee guida recanti “Aggiornamento delle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”, ha affermato che tali linee guidain materia di anticorruzione possono essere disattese dall’amministrazione purché ne siano motivate le ragioni.Il Supremo organo amministrativo ha riconosciuto le linee guida in questione riconducibili al novero delle linee guida non vincolanti, mediante le quali l’ANAC fornisce ai soggetti interessati indicazioni sul corretto modo di adempiere agli obblighi previsti dalla normativa e sull’adempimento dei quali ha poteri di vigilanza, indicazioni che costituiranno parametro di valutazione per l’esercizio di tali poteri e l’adozione dei provvedimenti conseguenti. I destinatari (in primis, presso ciascuna società o ente privato controllato, partecipato o vigilato da p.a., il responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza, di cui agli artt. 1, comma 7, della legge 190/2012, e 43 del d.lgs. 33/2013, ed i funzionari incaricati dei diversi adempimenti; nonché, i funzionari incaricati del controllo e della vigilanza presso le p.a. di riferimento) possono discostarsi dalle linee guida mediante atti che contengano un’adeguata e puntuale motivazione, anche a fini di trasparenza, idonea a dar conto delle ragioni della diversa scelta amministrativa. Al di fuori di questa ipotesi, la violazione delle linee guida può essere considerata, in sede giurisdizionale, come elemento sintomatico dell’eccesso di potere, sulla falsariga dell’elaborazione che si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari. Tale posizione è stata ribadita dal TAR in merito alla determinazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 241 del 8 marzo 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 marzo 2017, avente ad oggetto “Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14, del d.lgs. 33/2013 «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016”; tale determinazione ANAC ha stabilito espressamente che “per gli ordini professionali, sia nazionali che territoriali (…) sussiste l’obbligo di pubblicare i dati di cui all’art. 14, relativamente agli incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati”. Avverso tale atto è stato proposto da alcuni consigli nazionali ricorso per l’annullamento parziale, previa sospensione, del provvedimento. Il TAR con la sentenza 1736 del 14 febbraio 2018 ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso le linee guida,richiamando proprio il citato parere della Commissione speciale n. 1257 del 29 maggio 2017,reso sullo schema in tema di “Aggiornamento delle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza”.
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Il sindacato giurisdizionale
Alla capacità di regolazione, e cioè di diretta incidenza sulla sfera giuridica dei soggetti destinatari, non può non conseguire la impugnabilità e la soggezione di tali atti al controllo giurisdizionale. Lo precisa in modo inequivocabile la stessa legge delega dalla quale origina il codice degli appalti, il cui art. 1, comma 1, lett. t), ha posto in capo ad ANAC, accanto ai vari poteri “di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio“, quello di adozione di “atti di indirizzo, quali linee guida, bandi – tipo, contratti – tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, eventualmente anche dotati di efficacia vincolante e fatta salva l’impugnabilità di tutte le decisioni e gli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa “.Si tratta di disposizione che, pur contenuta nella delega, e non nel decreto delegato, non sembra potersi ritenere priva di immediata efficacia precettiva, atteso il suo tenore estremamente preciso e circostanziato. E del resto, ove si dovesse ritenere che tale prescrizione abbia bisogno di una ricezione nella normativa delegata per potersi ritenere efficace, non si potrebbe non ammettere che tale ricezione non potrebbe che essere meramente riproduttiva del tenore della norma contenuta nella legge delega[20].
Peraltro, lo stesso Consiglio di Stato nel già citato parere n. 855 del 2016 ha sottolineato che resta confermata la piena giustiziabilità delle linee guida ANAC di fronte al giudice amministrativo.
Si tratta, come visto, di strumenti di regolazione estremamente tecnici, ma in nessun ordinamento giuridico si può prescindere da un controllo giurisdizionale sugli atti di regolazione.
La questione principale è quella dei limiti del sindacato del giudice amministrativo nei confronti di regolazioni tecniche e complesse.
La significativa sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato, n. 162/2016 ha analizzato i rischi che possono verificarsi in questi casi trattando della regolazione delle tariffe della distribuzione del gas da parte dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas.
Muovendo dalla ovvia considerazione che le “scelte regolatorie sulle tariffe sono spesso altamente complesse e tecniche, e richiedono una conoscenza di discipline di settore sia economiche che tecniche”, il Consiglio di Stato ha affermato che tale complessità non può giustificare “un indebolimento del sindacato giurisdizionale, che, anzi, in questi casi deve essere particolarmente approfondito, specie sotto il profilo dell’attendibilità, della ragionevolezza e della adeguata motivazione, proprio al fine di evitare che l’utilizzo della tecnica possa giustificare una forma di arbitrio nell’esercizio della regolazione”; e che il giudice “deve ri – utilizzare gli stessi criteri tecnici usati dal regolatore” allo scopo di “verificare dall’interno” se la scelta regolatoria è “attendibile e ragionevole”.
Nel caso trattato il TAR aveva annullato il provvedimento regolatorio poiché si era “arrestato in superficie”, considerando “irragionevole e non adeguatamente motivato tutto ciò che sfugge alla immediata comprensione del profano”.
Al contrario, afferma il Consiglio di Stato, il giudice amministrativo ha il dovere di “andare oltre le apparenze” e di verificare la “effettiva razionalità” delle scelte regolatorie.
Un’utile perimetrazione delle possibilità per il giudice è fornita sempre dalla sesta sezione del Consiglio di Statocon la sentenza n. 2888/2015 relativa alle tariffe di trasporto del gas.
La sentenza supera definitivamente i vecchi criteri del “sindacato forte” e del “sindacato debole”[21], affermando che il giudice, pur non potendosi sostituire al regolatore, non può limitarsi “ad un esame estrinseco della valutazione discrezionale (secondo i noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria)”, ma deve estendersi invece “all’esatta rappresentazione dei fatti, all’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della correttezza dei criteri applicati, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie rilevante: quanto sopra in coerenza con il principio costituzionale e comunitario di effettività della tutela giurisdizionale”[22].
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Conclusioni
La ricostruzione offerta dal Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1 aprile 2016, ha consentito di chiarire e risolvere una serie di questioni emerse sul piano applicativo. In primo luogo, essa non pregiudica, ma anzi riconferma, gli effetti vincolanti ed erga omnes di tali atti dell’ANAC, come disposto dalla delega, che, come si è detto, parla di “strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante”.
L’ascrizione delle linee guida alla categoria degli atti amministrativi generali lascia, però, aperta una pluralità di questioni. Non è ancora del tutto chiara la qualificazione degli effetti prodotti dalle linee guida nei confronti dei destinatari (non ultime le stazioni appaltanti), nonché la precisazione delle conseguenze dell’eventuale violazione di esse.
Ancora, nel caso delle linee guida ANAC la legge ha definito in modo piuttosto puntuale le condizioni e i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione tipica degli atti legislativi. Si tratta, come evidente, di un potere lato sensu amministrativo che, indubbiamente, si allontana dal modello di pubblica amministrazione di cui all’articolo 95 Cost., intesa come apparato servente del Governo.Ci si chiede allora se questo potere trovi un solido aggancio costituzionale nei principi di legalità e buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione, nella parte in cui sembra evidente che l’ANAC dovrebbe esercitarepoteri neutrali di attuazione della legge e non adottareatti generali di indirizzo politico. E tuttavia di tale evidenza sembra potersi dubitare, laddove si consideri che, in numerose decisioni ANAC è rilevabile quantomeno un chiaro indirizzo (difficilmente non qualificabile come “politico”) volto ad ampliare la propria sfera di influenza. Come è stato efficacemente rilevato in dottrina, è quanto accaduto nel settore degli appalti, dove ANAC ha assunto diverse decisioni volte ad ampliare la sfera di applicazione del regime vincolistico, sia sotto il profilo soggettivo, con riferimento alla individuazione della platea degli enti di diritto pubblico soggetti alle procedure di evidenza pubblica, sia sotto il profilo oggettivo, con riferimento alla sostanziale inclusione nel campo di applicazione delle predette procedure anche di settori esclusi dalle conferenti fonti europee (le direttive appalti)[23].
Quanto, poi, alla possibilità di colmare il “gap democratico” nell’adozione di tali atti, invero riscontrabile in tutti i provvedimenti adottati dalle Autorità indipendenti, siamo di fronte ad una problematica superabile, probabilmente, sul piano procedimentale, attraverso la valorizzazione di una serie di strumenti di better regulation, come affermato dal Consiglio di Stato.
Con riguardo al sindacato giurisdizionale, nel parere si è affermato che la conformità dell’azione amministrativa alle linee guida ANAC non può comportare la sua insindacabilità in un’eventuale fase di contenzioso giudiziale. Diversamente, si contrasterebbe con il principio secondo cui il sindacato del giudice amministrativo è un sindacato c.d. pieno, tale da estendersi anche alla verifica in concreto della tenuta delle linee guida nel momento della loro concreta attuazione da parte delle stazioni appaltanti. Ma lo stesso ricorso nei confronti delle linee guida, tuttavia, comporta delle criticità. Laddove il giudice le consideri non vincolanti, infatti, le stesse diventano di fatto non impugnabili, mentre è difficile che le pubbliche amministrazioni possano discostarsene. Data la difficoltà di avere certezzasulla natura vincolante o meno delle linee guida sembrerebbe che le pubbliche amministrazioni debbano in ogni caso fare ricorso al giudice amministrativo per cautelarsi in via preventiva, generandosi in tal modo, tuttavia, un vero e proprio cortocircuito.
Gli strumenti di regolazione flessibile, in definitiva, se assolvono alla condivisibile funzione di permettere una normazione di secondo livello flessibile e meno formale di quella regolamentare, non possono, tuttavia, sfuggire ad un penetrante controllo giurisdizionale del corretto esercizio della loro potestà, anche perché prodotti da un’autorità sprovvista di legittimazione democratica e, spesso, sulla base di disposizioni primarie prive di principi e limiti alla loro emanazione.
Dall’analisi emerge che in ogni caso le problematiche sono ancora tante e tali da far pensare che il dibattito in materia sia tutt’altro che chiuso.
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Note
[1] La Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 2019 ha sottolineato che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha poteri “pararegolatori”, negando che la stessa sia legittimata a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale nell’ambito di un procedimento sanzionatorio diretto ad accertare un’intesa restrittiva della concorrenza. La Corte ha affermato che malgrado nel tempo sia stata accolta una nozione “elastica” di giudice a quo, riconoscendosi la legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale anche ad organi non incardinati in un ordine giudiziario, tuttavia, condizione imprescindibile per riconoscere la qualità di giudice è sempre l’essenziale requisito della terzietà, di cui l’AGCM risulta priva.
[2]C. Benetazzo,I nuovi poteri regolatori e di precontenzioso dell’ANAC nel sistema europeo delle Autorità indipendenti, in www.federalismi.it, n. 5/2018, p. 35.
[3]Consiglio di Stato, sez. VI, 27 dicembre 2006, n.7972, in Giur.it., 2007, p.1811.
[4]Consiglio di Stato, 2 marzo 2010, n. 1215; Id., sez.VI, 2 maggio 2012, n. 2521; Id., sez. VI, 1 ottobre 2014, n. 4874.
[5]Sulla distinzione rispetto ad altri concetti, come il diritto “mite” di Gustavo Zagrebelski, si veda A. Pizzorusso, La produzione normativa in tempi di globalizzazione, Torino, 2008, nota 26.
[6] E. Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, 2008, 1 afferma che “l’espressione in parola non allude a un concetto stabile e ben sedimentato (… ) al contrario, nell’uso corrente, essa mostra di avere un significato a volte vago, altre autonomamente interpretato, senza che sembri rintracciabile un centro di gravità attorno al quale le accezioni del termine convergano in modo coerente”.
[7]N. Foster, Eu Law, 5a ed., Oxford, 2015, 122, per il quale il soft law “incapsula varie regole di condotta che non sono legalmente vincolanti o giustiziabili, o dove il disattenderle non porta necessariamente ad una certa e specifica sanzione”.
[8]E. Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, cit., 27.
[9]R.Bin, G.Pitruzzella, Le fonti del diritto, Giappichelli, 2012, p. 231.
[10] R. Bin, Soft law, no law, in A. Somma (a cura di), 33-37.
[11] Per una prospettiva europea sul soft law si veda Conseil d’État, Le droit souple, 2013.
[12]N. Longobardi, L’Autorità nazionale anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, in Dir. e proc. amm. I/2017, p.15; N. Longobardi, Autorità indipendenti di regolazione dei mercati e Autorità atipiche. L’Autorità nazionale anticorruzione, in Dir. e proc. amm. 3/16, p. 823.
[13]La tesi che nega la potestà normativa in capo a quest’Autorità indipendente risulta sconfessata dal dato normativo e dal Consiglio di stato, come si vedrà più avanti.
[14] Consiglio di Stato, parere della Commissione speciale del sul Codice degli appalti, 1 aprile 2016, n.855.
[15]Sulla distinzione rispetto ad altri concetti, come il diritto “mite” di Gustavo Zagrebelski, si veda A. Pizzorusso, La produzione normativa in tempi di globalizzazione, Torino, 2008, nota 26. E. Mostacci, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Padova, 2008, 1 afferma che “l’espressione in parola non allude a un concetto stabile e ben sedimentato (…) al contrario, nell’uso corrente, essa mostra di avere un significato a volte vago, altre autonomamente interpretato, senza che sembri rintracciabile un centro di gravità attorno al quale le accezioni del termine convergano in modo coerente”.
[16]C. Benetazzo,I nuovi poteri regolatori e di precontenzioso dell’ANAC nel sistema europeo delle Autorità indipendenti, in www.federalismi.it, n. 5/2018, p. 41.
[17] S. Morettini,Il soft law nelle autorità indipendenti: procedure oscure e assenza di garanzie?, in Osservatorio sull’AIR.
[18] L. Torchia, Il nuovo codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in Gior. di dir. amm., n. 5/2016, p.606.
[19]M.C. Romano, Atti amministrativi generali, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Giuffrè, 2006, p. 491 e ss.
[20] Cfr.A. Pizzorusso, Fonti del diritto, seconda edizione, Bologna-Roma,2011, p. 496.
[21]C. Deodato, Nuove riflessioni sull’intensità del sindacato del giudice amministrativo. Il caso delle linee guida ANAC, in www.federalismi.it, 2017, p. 3.
[22] Sull’effettività G. Abbamonte, Completezza ed effettività della tutela giudiziaria secondo gli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost. in Studi in onore di F. Benvenuti, Modena, 1996; Galvazzi, Effettività (principio di), in Enc. giur., vol., XII, Roma, 1988, p.420; Tra i contributi successivi al c.p.a. G. Mari,La giurisdizione amministrativa, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di M. A. Sandulli, vol. I, Milano, Giuffrè, p. 61; M. A. Sandulli, Principio di legalità e effettività della tutela: spunti di riflessione alla luce del magistero scientifico di Aldo M. Sandulli, in Dir. e Soc, 2016; Id.,Poteri dei giudici e poteri delle parti nei processi sull’attività amministrativa, in www. federalismi.it, 2015, 18. Sull’effettività della tutela al giudizio amministrativo, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 4266.
[23]G. Colavitti, Concorrenza, trasparenza e autonomie. Regolazione dei mercati e nuove forme di governo pubblico dell’economia, Cacucci, 2018, 121 e ss.
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